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Io sono l’Arcangelo Michele, e sono sempre alla presenza di Dio…

Ci sono siti che racchiudono in sé una potenza misteriosa, al cui cospetto anche le menti più brillanti e scettiche non riescono a comprenderne a fondo l’essenza autentica e profonda, rimanendone semplicemente affascinati, perfino rapiti.
Contesti dove la natura e l’uomo si fondono in un equilibrio perfetto che il tempo, nonostante le aggressioni, invece di indebolirne l’aura, ha reso più preziosi, rafforzandone la dimensione divina e spirituale.
L’abbazia di San Michele della Chiusa, conosciuta come “Sacra” è certamente uno di questi luoghi. Umberto Eco ne rimase ammaliato e pare vi si ispirò per la scrittura del suo più celebre romanzo, “Il Nome della Rosa”.

Un edificio che ha più di mille anni di storia, fondato tra il 983 e il 987 d.C., in un periodo di grandi conflitti, ma anche di attese millenariste.
Una costruzione ardita, che svetta dal monte Pirchiriano sulla Val di Susa, nelle immediate adiacenze di uno dei tratti più importanti della via Francigena, solcata per secoli dai pellegrini lungo la strada che da nord, partendo da Santiago di Compostela, arriva a Mont S. Michel, si snoda a sud in direzione Roma e a est verso San Michele nel Gargano.
Il suo fondatore, Ugo di Montboissier (940-1016), originario dell’Alvernia e devoto pellegrino, colse probabilmente questa peculiarità geografica, mettendola in connessione con il proprio credo religioso, fondendo il tutto in un unicum che rimanda verso l’alto, alla dimensione ultraterrena della divinità.
Un luogo in cui si è sperimentata sapientemente la componente ascetica dei religiosi con la concreta azione di assistenza a favore dei viandanti, ispirata al modello offerto dall’abbazia di Cluny.
L’abbazia di San Michele, pur godendo di benefici, dispense e donazioni, mantenne per lungo tempo una forte indipendenza, diventando un punto di riferimento per il papato, le gerarchie ecclesiastiche locali e per le casate nobiliari e reali che si sono avvicendate nei secoli in quei territori. L’abate era a capo di una giurisdizione diretta sugli abitanti dei territori circostanti. L’amministrazione sul territorio era affidata ai castellani che attendevano alle case abbaziali di S. Ambrogio di Susa e Giaveno. Un’indipendenza riconosciuta da Federico Barbarossa e confermata dai Savoia sin dal 1209.
Un equilibrio politico destinato a traballare con la crisi a partire dal Trecento fino al commissariamento da parte dei Savoia, seguito dell’interdizione papale del 1381. Da quella data in poi l’abbazia fu controllata da abati commendatari scelti se non direttamente cooptati tra gli esponenti della dinastia sabauda. Fattore che ha comportato l’abbandono dell’abbazia, se non la presenza di uno sparuto nucleo di monaci.
L’abbazia tornerà a rivivere in parte gli antichi fasti nell’ottocento, dopo la parentesi napoleonica e purtroppo la dispersione della biblioteca. Carlo Felice di Savoia decise di rinnovarla, partendo dal suo recupero monumentale e cambiando la tradizione religiosa che passò dai benedettini ai certosini, provenienti dalla Certosa di Collegno. Questa esperienza tuttavia fallì. Carlo Alberto di Savoia decise, nel 1836, di affidare la struttura religiosa ai rosminiani che, in seguito, ottennero l’assenso papale. Di particolare rilevanza fu la decisione del regnante di traslare le salme di ben ventiquattro dignitari di casa Savoia, dal Duomo di Torino alla Sacra. Questa gestione, di fatto, si è prolungata fino ai giorni nostri. Dal 1885 furono avviati importanti lavori ricostruttivi curati dall’architetto Alfredo d’Andrade, a cui sono seguiti gli interventi dei primi anni ’40 del secolo scorso.

Abbazia di San Michele della Chiusa, conosciuta anche come “Sacra” (Foto: wikipedia).

La Sacra è uno scrigno di capolavori architettonici ed artistici: i rilievi del Portale dello Zodiaco, lo Scalone dei Morti opera dello scultore Nicolao (attivo nel 1100). Vi sono le opere a soggetto religioso dei pittori Defendente Ferrari , Secondo del Bosco, Giovan Battista Vignale e Antonio Maria Viani.
Un patrimonio culturale variegato, che rimanda anche alle reliquie dell’eremita San Giovanni Vincenzo, che sarebbero state poste alla base del monte, già caratterizzato dalla presenza di edifici religiosi sin dall’epoca longobarda. Un aspetto questo della devozione religiosa che ha contribuito anche alla nascita di leggende locali come quella di Alda che, per sfuggire alla violenza dei soldati (forse le truppe dell’imperatore Federico Barbarossa), si gettò dalla torre muraria dell’abbazia e fu salvata da un provvidenziale intervento divino. In conseguenza a ciò, la stessa fanciulla, ritenendo di possedere doti straordinarie, ripeté sconsideratamente il gesto, ma trovò la morte. Massimo d’Azeglio, noto pittore e scrittore, nonché Senatore e primo ministro del Regno di Italia, scrisse su questa leggenda in dialetto piemontese. Un frammento di questi scritti, molto crudo e quasi ammonitorio, si ricorda ancora nella frase che descrive icasticamente la sorte tremenda della giovane donna: “’L tocc pi gross l’è staita l’ourìa” (il resto più grande era l’orecchio) .

Dopo questo inquadramento storico, sono doverose alcune considerazioni su aspetti meno poetici, probabilmente quelli che, oggigiorno, più di altri, fanno la differenza.
In primis il potenziale economico esprimibile da un sito culturale come questo. Il protocollo di intesa sottoscritto anni fa dalla Regione Piemonte, l’ente gestore della Sacra e l’unione dei comuni delle aree limitrofe, si prefigge di mantenere un flusso di attrazione turistica di centomila presenze l’anno. Un risultato di tutto rispetto.
Tuttavia bisogna tenere conto della possibile insorgenza di eventi critici: degrado ambientale, calamità naturali, pandemia, difficoltà nella conduzione delle attività connesse.
L’area dove insiste l’abbazia, è stata valutata come zona sismica 3S, in cui la sismicità, seppur di intensità inferiore, può cagionare danni rilevanti (si pensi ai terremoti del 1885 e 1886 che hanno provocato danni alla Sacra, già in stato di precaria conservazione).
Non da meno il fenomeno degli incendi che, in Val Susa è ulteriormente gravato dai cambiamenti climatici, dalle scarsità di precipitazioni, dalle condizioni di manutenzione e siccità dei boschi, dall’incuria in generale e marginalmente anche dalle condotte dolose.
La notte del 24 gennaio del 2018, un incendio divampò nella manica est della Sacra. Le fiamme (infernali?) aggredirono il tetto che in quel periodo era in via di ristrutturazione. Furono danneggiati irrimediabilmente gli alloggi dei padri rosminiani e alcune pertinenze. I Vigili del Fuoco, accorsi da tutto il circondario, condussero la loro attività con estrema difficoltà, a causa della posizione elevata dell’area e della particolare architettura dell’edificio. L’incendio venne domato all’alba del giorno seguente. La stima dei danni riguardò le volte dell’ultimo piano, interessate dalla precipitazione rovinosa delle strutture lapidee e lignee. Dopo le ispezioni tecniche e le perizie disposte dall’Autorità Giudiziaria, a seguito dell’archiviazione del procedimento penale aperto dalla Procura di Torino per incendio colposo, cominciarono i lavori di ristrutturazione diretti dall’allora MiBAC e conclusasi nel 2021. Ѐ fondamentale sottolineare, anche in questa occasione seguita ad un evento sfavorevole, l’importanza di affrontare e minimizzare i rischi per fronte alle conseguenze dirette e indirette, attivando strategie ad hoc.
Verso questo orizzonte, sono state intraprese diverse iniziative, che si prefiggono di promuovere l’abbazia e i territori circostanti in un ambito sovranazionale, in connessione con gli altri siti oltre le Alpi. Ѐ stato presentato anche un progetto di possibile candidatura come sito seriale da inserire nella lista Unesco, lungo l’itinerario del cammino micaelico e la via Francigena. Sarebbe un obiettivo importante per valorizzare ulteriormente quei territori, non prima di aver rafforzato il necessario coordinamento degli stakeholder in ragione di una ricaduta positiva per l’intero distretto culturale.
Molto probabilmente sono maturi i tempi per darsi da fare, migliorare, perché non si può confidare solo sui miracoli.
La mobilitazione dovrebbe essere corale, per cui è fondamentale trovarsi pronti nelle schiere giuste, per vincere sull’infernal nemico.

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