Amelia (TR) ritrova i suoi guerrieri. Restituite al territorio 4 figurine laminari in piombo trafficate da Robin Symes
Dopo decenni di assenza, sono tornate nella loro terra d’origine le sculturine plumbee raffiguranti antichi guerrieri armati: manufatti di grande valore storico-archeologico, saccheggiati nel territorio amerino e rimasti a lungo lontani dall’Italia
Le piccole figurine frammentarie in lamina di piombo, databili tra il V e il IV secolo a.C. e intrise di significato rituale, erano da tempo scomparse, disperse nel circuito del collezionismo internazionale. A farle riemergere insieme a numerosissimi altri reperti archeologici è stata un’indagine che ha riportato l’attenzione sulla rete dell’antiquario britannico Robin Symes, figura già nota per il suo coinvolgimento in traffici illeciti di antichità. Dopo anni di oblio, sono state recuperate, insieme a moltissimi altri materiali, grazie a un’azione coordinata tra il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), la Procura della Repubblica di Roma, il Ministero della Cultura e l’Avvocatura dello Stato.

Il grande merito di averle individuate tra i materiali oggetto del sequestro Symes, approdati a Roma tre anni fa e in deposito a Castel Sant’Angelo, va a Stefano Alessandrini, docente del Postgraduate Certificate Programmes in Art Crime and Cultural Heritage Protection promosso dall’Association for Research into Crimes against Art (ARCA), che si tiene annualmente nella cittadina di Amelia. Durante la cerimonia di restituzione, lo studioso ha chiarito in un racconto appassionato come sia giunto ad associare i materiali al territorio amerino. La sua intuizione è stata supportata dalla valutazione tecnico-scientifica dell’archeologa Valeria Roscini, che ha attribuito con coerenza stilistica e tipologica i reperti alla rara categoria dei cosiddetti “guerrieri armerini“, noti unicamente in ambito umbro. Con questa scoperta salgono a undici gli esemplari finora conosciuti. Gli altri sette sono al British Museum, dove giunsero nel 1865 in seguito alla vendita da parte di Alessandro Castellani (1823–1883), membro della celebre famiglia di orafi e protagonista di un fiorente commercio di antichità, provenienti anche dall’Umbria. Il restauro delle nostre, affidato a Nicola Bruni, ha messo in luce la delicatezza degli assemblaggi: si tratta infatti di frammenti ricomposti, che hanno richiesto interventi puntuali e una lettura attenta dei materiali e delle tecniche di manifattura.
Una volta confermata l’origine umbra dei reperti, è stata avviata la richiesta ufficiale per il loro trasferimento al Museo Civico Archeologico e Pinacoteca “Edilberto Rosa” di Amelia. Dietro a questa iniziativa c’è la volontà di ridare un’identità a frammenti di storia strappati al terreno. Oggi gli enti preposti possono richiedere l’assegnazione dei materiali in base alla Circolare n. 12 del 2024 del Ministero della Cultura. Si tratta di un documento tecnico, certo, ma che in filigrana comunica una cosa semplice: i reperti archeologici restituiti allo Stato non sono solo oggetti. Sono testimoni. E devono trovare casa. Una casa vera, non un magazzino. L’Amministrazione comunale di Amelia ha sostenuto con determinazione l’iniziativa, non certo per orgoglio campanilistico, ma perché la restituzione del maltolto è un dovere verso i territori. Il trasferimento è stato possibile grazie a un decreto del Ministero della Cultura e al lavoro capillare della Soprintendenza dell’Umbria, che ha curato inventario, restauro e allestimento scientifico, in stretta collaborazione con il Comune.
Il trasporto, affidato ai Carabinieri TPC, è stato un’operazione quasi chirurgica. Ogni passaggio pianificato, ogni spostamento calibrato. Da Castel Sant’Angelo ad Amelia, i reperti hanno viaggiato come si trasporta una reliquia: con rispetto, attenzione, quasi con devozione. Perché ciò che è fragile, ciò che ha attraversato i secoli, merita sempre protezione. Insieme ai Carabinieri dell’Arte, si è così concretizzato un ritorno atteso: quattro sculturine laminari piccolissime (misurano in media 8 centimetri), ma dense di tempo, memoria, civiltà. Sono tornate a casa lo scorso 20 giugno, accolte da una cerimonia sobria e dalla nuova teca espositiva del Museo Civico di Amelia.
Oggi funziona così. O almeno, così dovrebbe funzionare: con la certezza che restituire non è semplicemente un gesto simbolico. Per tali ragioni, l’auspicio è che si possa compiere un ulteriore passo verso la valorizzazione piena e consapevole dei “guerrieri armerini” e, più in generale, dei reperti archeologici recuperati dal traffico illecito. Esporli all’interno del Museo è certamente un momento significativo, ma non può dirsi sufficiente se accompagnato soltanto da un cartellino che indica tipologia e cronologia dei reperti. Questi oggetti meritano di essere inseriti in un racconto più ampio: un racconto che ne restituisca non solo la funzione, ma anche la complessità della loro storia recente, quella della sottrazione, del recupero, del ritorno. È proprio attraverso questo intreccio narrativo che la restituzione può acquisire un significato più profondo e completo: non solo come rientro fisico nei luoghi d’origine, ma come opportunità di riscatto culturale e consapevolezza collettiva.

All’evento organizzato ad Amelia erano presenti esponenti di primo piano delle istituzioni coinvolte. Oltre ai nomi già citati, hanno partecipato il Magg. Fabio Alfieri, da poco alla guida del Nucleo TPC di Perugia, e il Col. Paolo Befera, comandante del Reparto Operativo del TPC. Questi, con un intervento tanto lucido quanto diretto, ha illustrato alla platea l’attività operativa dei Carabinieri dell’Arte. Ha parlato di “Leonardo”, il vasto database grazie al quale si cerca ogni giorno di ricomporre un’Italia smembrata, trafugata, venduta a pezzi. Un archivio vivo, aggiornato, in cui si registrano le opere rubate e grazie al quale si dà la caccia ai fantasmi dell’arte perduta. Con l’ausilio di un nuovo strumento, S.W.O.A.D.S., che sfrutta l’intelligenza artificiale, captando su Internet opere d’arte e reperti archeologici, possibili oggetto di traffico illecito. Befera ha spiegato come, sempre più spesso, i trafficanti operino sul web attraverso piattaforme digitali, social network, vendite all’apparenza innocue. Eppure dietro tanti profili si muove un mercato oscuro, fatto di arte saccheggiata, memorie strappate, identità deformate. Non bastano le finzioni, però. Non basta aggiungere o cancellare un dettaglio sul quadro rubato. Grazie al confronto con le immagini all’interno di “Leonardo”, i ragazzi del TPC riescono a individuarlo, perché le opere d’arte, anche alterate, continuano a parlare e si fanno riconoscere dall’occhio sapientemente allenato.
Una parte significativa della relazione è stata dedicata al traffico illecito di reperti archeologici. Un crimine che non si limita a svuotare siti: svuota anche la ricerca scientifica. Il Colonnello ha ricostruito il modus operandi delle organizzazioni criminali che, per anni, hanno saccheggiato il sottosuolo italiano come se fosse terra di nessuno. Scavata di notte, venduta di giorno, attraversata da rotte clandestine che un tempo portavano oro, oggi portano vasi, bronzi, divinità mutilate. E allora, viene da chiedersi: quanto ci costa, davvero, ogni reperto che sparisce? Quanto ci impoverisce?

All’interno di questo contesto, Amelia si conferma ancora una volta come un centro propulsore della legalità, non solo grazie all’evento descritto, ma anche per il ruolo sempre più centrale che la città svolge nella promozione della legalità e dell’etica pubblica. Un ruolo che si concretizza in modo emblematico anche con l’apertura alle iniziative promosse da ARCA, che ha scelto proprio il piccolo e suggestivo centro umbro per tenere la sua Amelia International Conference, giunta quest’anno alla quindicesima edizione sotto l’insostituibile coordinamento di Lynda Albertson e che richiama specialisti e studenti da tutto il mondo. Oggi la conferenza è riconosciuta come un polo dinamico di aggregazione e confronto, dove le parole diventano azioni e la legalità smette di essere un concetto astratto per trasformarsi in pratica quotidiana, in impegno concreto. Un traguardo che testimonia non solo la continuità e la solidità dell’iniziativa, ma anche il legame profondo tra il territorio e i valori della legalità e del dialogo tra istituzioni, società civile e mondo accademico.
“Oggi la nostra comunità ha riconquistato un frammento della propria memoria storica”, ha dichiarato il Sindaco di Amelia, Avio Proietti Scorsoni, “un risultato ottenuto grazie a una forte cooperazione tra enti locali e strutture statali, che sottolinea ancora una volta l’importanza della tutela attiva del nostro patrimonio culturale. Amelia, che da oltre dieci anni ospita un corso internazionale e una conferenza sui crimini contro l’arte, conferma il proprio impegno in prima linea nella difesa dell’identità culturale”. È anche grazie a luoghi come questo, e a comunità come quella di Amelia, che si costruisce un tessuto sociale capace di resistere alle derive dell’indifferenza. Una città che non si limita a fare da cornice agli eventi, ma che si fa protagonista di un cammino collettivo verso una società più consapevole.


Archeologa PhD candidate e giornalista. Specialista in art crime e archeologia legale, si occupa di informazione e di comunicazione del patrimonio culturale.
Laureata con lode in Conservazione dei Beni Culturali, indirizzo archeologico, presso l’Università del Salento, ha conseguito con lode il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica “Dinu Adamesteanu”, il Master di II livello in “Valorizzazione del Patrimonio Culturale”, promosso dalla Scuola Superiore ISUFI dell’Ateneo salentino, e il Master biennale di II livello in “Esperti nelle attività di valutazione e di tutela del patrimonio culturale” all’Università di Roma Tre. Ha conseguito quindi l’attestato di partecipazione al corso on line su “Antiquities Trafficking and Art Crime” della Glasgow University e al corso promosso da UNESCO,“Engaging the european art market in the fight against illicit trafficking in cultural property”. Presso la LUISS ha frequentato il Corso Executive in “Intelligenza Artificiale e Personal Media: Nuovi Modelli per la Comunicazione e Giornalismo”, organizzato dal Master in “Giornalismo e Comunicazione multimediale” del Centro di Ricerca Data Lab in collaborazione con la School of Government dell’Università LUISS Guido Carli. Ha partecipato a numerose campagne di scavo in ambito universitario e successivamente come responsabile di cantiere per la Soprintendenza Archeologica di Roma. Ha fondato e dirige dal 18 settembre 2018 The Journal of Cultural Heritage Crime, la prima testata giornalistica on line in Italia sul tema del traffico illecito di beni culturali e, più in generale, sulla tutela del patrimonio culturale. È socio fondatore dell’Associazione Culturale Art Crime Project APS; socio di EAA – European Association of Archaeologists; socio simpatizzante dell’Associazione Nazionale Carabinieri-Tutela Patrimonio Culturale. Fa parte del Gruppo di Lavoro ICOM “Musei, Legalità e Territorio”.





