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Dal 3 al 12 maggio 2023 si è tenuta da Christie’s a Ginevra una vendita di gioielli da più di 200 milioni di dollari, che ha fatto superare alla celeberrima casa d’aste britannica il record raggiunto nel 2011 con la collezione di Elizabeth Taylor. A suscitare grande clamore e ad attirare l’interesse non solo della stampa non sono state però tanto le cifre da capogiro raggiunte dall’asta – a cui è stato dato l’avvio già qualche giorno prima on line – quanto la provenienza della collezione: si tratta infatti di circa 700 pietre preziose che comprendono diamanti, gemme, giade e uno dei più importanti assortimenti di Bulgari mai venduti all’incanto, appartenute ad Heidi Horten, moglie di Helmut Horten. 

Questo nome è ben noto a molti sia in Germania che in Svizzera, perché si tratta dell’imprenditore che negli anni ’60 ha inaugurato a Duisburg, in Germania, uno dei primi grandi magazzini a 6 piani. La carriera del magnate tedesco, però, ha avuto i suoi esordi in tutt’altra epoca e la sua storia ha diversi aspetti oscuri e controversi. Nel 1936 Horten era entrato a far parte del partito nazionalsocialista ed era diventato un fedelissimo collaboratore dei nazisti, traendo un grosso vantaggio da questa cooperazione e riuscendo ad arricchirsi grazie alle “vendite forzate” che venivano fatte ai danni degli ebrei. 

Con la diffusione delle leggi razziali e l’inizio delle persecuzioni, infatti, molti ebrei furono costretti a vendere o mettere all’asta il proprio patrimonio, nel tentativo di racimolare denaro per pagare la fuga all’estero e quindi la salvezza, per sé stessi e per la propria famiglia. Non di rado i beni, soprattutto le opere d’arte o i gioielli, venivano però venduti a prezzi nettamente inferiori rispetto al valore reale, a vantaggio ovviamente dei compratori. A trarre profitto da questa situazione, tra gli altri, fu anche lo stesso Horten che proprio nel 1936 acquisì l’azienda tessile Alsberg a Duisburg, appartenuta in precedenza ad un imprenditore ebreo fuggito dalla Germania. Questa fu solo una delle tante imprese che egli rilevò durante il periodo del regime nazista, vantandosi, secondo alcuni, di averle così “arianizzate”. Al termine della guerra egli fu arrestato dai Britannici e internato in una struttura dell’allora Germania Ovest, nella Renania Settentrionale – Vestfalia. In seguito ad un lungo sciopero della fame riuscì a farsi liberare e ad iniziare la sua nuova vita nel Dopoguerra; a partire dagli anni ’50 tornò, appunto, a fare l’imprenditore, ottenendo grande successo con i suoi supermercati e grandi magazzini. Nel 1966 sposò in seconde nozze Heidi Jelinek, con la quale in seguito decise di trasferirsi in Svizzera, nel Canton Ticino, fino alla sua morte, avvenuta nel 1987. Qui insieme alla moglie egli diede vita alla Fondazione Villalta, con l’obiettivo di finanziare la ricerca medica; in sua memoria è stata poi rinominata “Fondazione Horten”. 

Heidi ed Helmut Horten.

In seguito alla scomparsa di Heidi, avvenuta nel giugno 2022, la Fondazione ha deciso di mettere all’asta l’intera collezione di gioielli, che vanta, tra gli altri pezzi di gran pregio ed elevato valore economico, un anello di Cartier con un rubino di più di 25 carati e il famoso “Briolette of India”, un diamante di circa 90 carati appartenuto, tra gli altri, anche a Caterina de’ Medici, regina di Francia e moglie del re Enrico II. 

A seguito della decisione di vendere tutto, si sono però sollevati tantissimi dubbi, soprattutto da parte della Comunità ebraica. Non ci sono incertezze, in effetti, sul fatto che Helmut Horten sia stato in stretto contatto con il regime nazista ed è fuor di dubbio che si sia arricchito alle spalle di moltissimi ebrei, costretti a fuggire dalle persecuzioni. La stessa collezione di gioielli potrebbe essere stata finanziata, almeno in parte, proprio grazie a queste attività. 

Secondo Abraham Cooper, il rabbino del Centro Simon Wiesenthal, sarebbe stato auspicabile effettuare una ricerca accurata prima dell’asta e rendere pubblici i cataloghi, in modo da verificare la provenienza di questo patrimonio ed eventualmente restituire i beni ottenuti forzatamente ai proprietari o ai legittimi eredi. In un comunicato emanato dal Centro si legge: “Da un lato, questa potrebbe essere l’ultima occasione per i sopravvissuti di riconoscere i propri cimeli di famiglia. Dall’altro lato, i proprietari consapevoli degli oggetti non meritati stanno diventando più frenetici nel vendere”. 

Anche l’American Jewish Committee si è espresso in questo senso, chiedendo a gran voce quantomeno di “congelare” la vendita in attesa di ulteriori approfondimenti. Ha inoltre avanzato una proposta: “Una volta determinato, il patrimonio dovrebbe essere destinato a sostenere i sopravvissuti all’Olocausto, bisognosi e malati, che sono ancora tra noi e i programmi educativi che raccontano le loro storie”.

Dal canto suo, Christie’s ha risposto a queste critiche informando che i proventi saranno devoluti a cause filantropiche e che verranno anche versate delle donazioni ad organizzazioni che si occupano delle ricerche sull’Olocausto, ma non ha fermato l’asta, che ha avuto luogo come da programma.

La questione di fondo è che da un lato negli ultimi anni si è ampliata sempre di più la ricerca sulla provenienza delle opere e in particolare di quelle immesse nel mercato durante l’epoca del nazionalsocialismo, soprattutto a seguito della firma dei Principi di Washington – ratificati nel 1998 da 44 stati (tra cui anche la Svizzera) e 13 organizzazioni non governative – dall’altro questi stessi Principi sono delle soft laws, ovvero delle indicazioni non vincolanti. Il problema di base è proprio il modo in cui la Svizzera affronta il problema della Raubkunst, ovvero dell’arte rubata, soprattutto nell’epoca nazista. Pur avendo firmato gli accordi di Washington, come anche quelli di Terezin del 2009 che affrontano la stessa tematica, la Svizzera, a differenza di altri Stati Europei come la Germania, la Francia, l’Austria, etc. non si è mai dotata di una propria commissione indipendente dedicata a questa tematica. Non solo: mentre negli altri Stati i beni rubati vengono trattati legalmente alla stessa stregua di quelli venduti forzatamente, in Svizzera viene fatta una distinzione. Questi ultimi, infatti, non vengono considerati oggetto di furto e quindi non sono soggetti a restituzioni.

Qualcosa però si sta muovendo; è infatti del 2021 la mozione presentata al Consiglio nazionale dal parlamentare Jon Pult, che richiede l’istituzione di una commissione indipendente che possa avere una funzione consultiva e soprattutto la richiesta di aggiungere anche le vendite forzate alle acquisizioni criminose, ampliando l’ambito di ricerca non solo alle requisizioni naziste ma anche all’epoca coloniale. Delle due mozioni presentate da Pult è stata al momento approvata, nel maggio 2022, quella che richiede l’istituzione della Commissione. Nel frattempo, però, la prima vendita all’asta dei gioielli di Helmut Horten è già stata fatta e per di più come si diceva con cifre esorbitanti. La collezione, d’altro canto, è stata divisa in due parti, per evitare di immettere sul mercato tutti questi beni in contemporanea e la seconda parte si terrà a novembre di quest’anno. Speriamo tutti che per questa data si sia mosso qualcosa e si decida di approfondire la storia di questi gioielli e del patrimonio degli Horten e di trovare per gli eventuali, legittimi proprietari, una soluzione giusta ed equa, come auspicato, per l’appunto, dai Principi di Washington. 

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