Dalla comunicazione digitale dei musei italiani al ripensare le forme organizzative. E al ripensarci cittadini

Se consideriamo la partecipazione come elemento di interesse e buona riuscita di un evento, allora possiamo già anticipare che la giornata formativa organizzata dal Coordinamento Regionale Friuli Venezia Giulia, Trentino – Alto Adige e Veneto di ICOM Italia su “Problematiche e buone pratiche della comunicazione e promozione digitale dei musei” è stata un successo e una scommessa vinta

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L’evento che si è tenuto nella sala conferenze del MUSE, il Museo delle Scienze di Trento, lunedì 4 marzo ha riunito nella città del Concilio un nutrito pubblico di addetti ai lavori, provenienti anche da fuori provincia, e di molte persone interessate alla vita e al funzionamento dei musei. Presenti in platea i rappresentanti di diversi e importanti musei regionali: da Michele Lanzinger, direttore del MUSE e padrone di casa che ha avviato i lavori pomeridiani, al Museo Diocesano Tridentino, dal Castello del Buonconsiglio al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige, dal Bersntoler Museum di Palù del Fersina al Museion di Bolzano.

Antonia Caola, membro del Coordinamento triveneto di ICOM Italia e responsabile della comunicazione e marketing del MUSE, ha coordinato gli interventi alternando le testimonianze ai quesiti proposti dalla sala. Prisca Cupellini, responsabile della comunicazione e digital del MAXXI di Roma, ha contribuito invece ad entrare rapidamente in media res: qual è lo stato dell’arte della comunicazione digitale dei musei italiani? L’ISTAT nel 20171 ha fatto “la conta”: «il patrimonio culturale italiano vanta 4.889 musei e istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico. Di questi 4.026 sono musei, gallerie o collezioni, 293 aree e parchi archeologici e 570 monumenti e complessi monumentali, di varie dimensioni e distribuiti diversamente sul territorio». Un ‘altra ricerca ISTAT ha evidenziato che solo «il 30% offre almeno un servizio digitale in loco (comprendendo tra questi app, QR code, wifi, ma anche le più tradizionali audioguide) e almeno uno online (sito web, account social, biglietteria online). Ciò significa che il 70% non lo fa. E questo è un dato importante anche se, negli ultimi cinque anni, si rileva una continua crescita rispetto all’utilizzo degli strumenti digitali». Il Politecnico di Milano attraverso l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali2 ha promosso una “Ricerca mirata ad analizzare i processi di adozione, utilizzo e impatto delle tecnologie digitali nel settore dell’arte e dei beni culturali e in particolare nei musei”. «In uno studio condotto nel 2017 su un campione base di 500 musei – ha sottolineato Cupellini – è risultato che appena il 43% ha un sito web proprietario, solo il 23% una biglietteria online mentre il 67% ha in homepage le icone per l’accesso facilitato alle pagine social dell’istituzione. Questo 67% fa riferimento al 100% di coloro che hanno anche i profili social e quindi ci chiediamo come mai non si valorizzi – attraverso il primo strumento online di un’istituzione – anche la presenza sui social? Il 55% consente l’accesso alla propria collezione digitalizzata e il 57% è attivo sui social – trend appunto in crescita – per la comunicazione e la condivisione di contenuti. Instagram ha registrato una crescita importante di cinque punti percentuali in un anno. Ma solo il 18% è presente contemporaneamente sulle tre piattaforme più diffuse, Facebook, Twitter e Instagram». Il 75% è recensito su Tripadvisor, un dato che conferma quanto sia importante l’elemento reputazionale online ma solo 4 istituzioni su 10 formalizzano un piano per l’innovazione digitale: «si è in un processo per il quale ci si rende conto che è importante utilizzare questi strumenti ma lo si fa senza una consapevolezza strutturata e con poca strategia». Offrire una maggiore visibilità ai contenuti e alle proprie collezioni, facilitare l’interazione tra le opere e il pubblico, diversificare l’esperienza di visita, intercettare la più ampia platea, questi i principali obiettivi che spingono musei ed istituzioni ad implementare l’offerta digitale che si spinge dagli strumenti tradizionali, come il sito web, i social e la newsletter, alle app, la realtà virtuale aumentata, mixata, i chatbot. «La cosa importate è scegliere e scegliere con consapevolezza rispetto agli obiettivi che ciascuna istituzione si dà e che non sono sempre gli stessi. E ognuno deve trovare il suo modo di utilizzo, a seconda anche del personale che ha a disposizione». A livello mondiale Facebook resta la piattaforma preferita seguita da Youtube, si registra un incremento del traffico su quelle di messaggistica istantanea (WhatsApp e Facebook messenger, in particolare).

Una delle criticità, emersa in un studio del Politecnico di Milano ancora in corso, è che i dati restituiti dai social non vengono letti: «si continua a fare cose – commenta Cupellini – senza valutarne il ritorno e quindi si va avanti un po’ per abitudine. Quando invece è importate sapere cosa succede quando si pubblica un tweet, un post, una stories su Instagram per capire se vale la pena continuare ad investire su quel canale». Inoltre «l’utilizzo dei link, degli hashtag e delle mentions3 è alla base dei social» oltre che funzionale all’engagement delle conversazioni e delle interazioni.

L’esperienza social del MAXXI di Roma ha inizio nel 2007, tre anni prima della sua apertura che gli hanno consentito di sperimentare su piattaforme come Youtube e Flickr, all’epoca poco frequentate dalle istituzioni culturali, e di raccontare con video e foto il cantiere del museo. Ad oggi il MAXXI rappresenta una eccellenza riconosciuta e premiata per la sua dimensione digitale.

Maria Elena Colombo, docente di Multimedialità e beni culturali all’Accademia di Brera e curatrice della rubrica di Artribune Musei e digitale, in collegamento via Skype, ha proposto una riflessione e una lettura critica degli strumenti: «questo è un Paese che per decenni ha manifestato dal punto di vista (dell’élite) culturale una resistenza rispetto a tutto il mondo digitale. Tra il 2017 e il 2018 l’editoria si è aperta ad un contributo di riflessione critica sul digitale come The Game di Baricco, Bassa risoluzione di Mantellini, Tienilo acceso di Gheno e Mastroianni, per citarne alcuni. E mi sembra si sia fatto un passo avanti in termini di riconoscimento e legittimità dei mezzi». Resta da lavorare ancora su una formazione approfondita «perché si finisce per imparare sul campo» e sull’aspetto valoriale che gli strumenti possono offrire; ciò è strettamente connesso alla trasparenza, alla sostenibilità e soprattutto alla partecipazione in quanto canale anche di ritorno: «possiamo ricevere dai pubblici, dai visitatori, dagli ammiratori locali e da quelli lontani. È un potenziale enorme». Se le statistiche registrano un aumento digitale dei musei, assistiamo ad un calo dei visitatori reali, infatti solo il 26% degli italiani li frequenta (appena) una volta l’anno.

Stefania Zardini Lacedelli, ricercatrice specializzata in Museum Studies all’Università di Leicester e fondatrice del museo virtuale Dolom.it, ha posto l’accento sull’audience development e sulla digital engagement: «la comunicazione è partecipata quindi la persona si sente protagonista delle sue esperienze e non accetta più soltanto di fruire i contenuti ma vuole essere coinvolta, quindi attivare conversazioni anche sulle riflessioni di significato del museo e del suo patrimonio». La curatela online è un ambito in espansione dalla duplice valenza di rendere digitali ed accessibili le collezioni. Tuttavia sullo scenario attuale permangono diverse problematiche. Anzitutto l’integrazione di competenze: «siamo stati abituati ad una formazione disciplinare e settoriale ma oggi il digitale non ci permette più di ragionare per compartimenti stagni, tanto più è importante abbracciare e coinvolgere i curatori, i conservatori anche nell’uso dei social network». La “rivoluzione digitale” – paragonata all’avvento della stampa a caratteri mobili – ha innescato quindi una ibridazione e un ripensamento del ruolo del museo e del suo funzionamento: sono richiesti infatti una maggiore osmosi tra i livelli organizzativi, non più gerarchici ma orizzontali e intersettoriali, una condivisione periodica delle strategie, dei piani operativi, dei saperi, e lo sforzo di non utilizzare «il digitale con una mentalità analogica».

Dagli interventi del pubblico sono emerse problematiche organizzative, come la carenza di personale dedicato alla comunicazione social, e ostacoli culturali interni come la difficoltà di trovare un compromesso linguistico che possa interpretare il tecnicismo, senza disperdere o banalizzare il bagaglio scientifico, adattandolo alle necessità di brevità e accessibilità dei canali digitali.

In conclusione, oggi più che mai e grazie anche alle sfide che pone il digitale, qual è l’obiettivo che un museo dovrebbe perseguire? La costruzione nel visitatore di uno spirito critico, della capacità di guardare e quella di farsi domande rispetto ad una sequenza cronologica e nei confronti delle scelte che l’istituzione culturale ha inevitabilmente operato per «creare un collegamento fra le comunità» e formare una nuovo senso di cittadinanza.


Note

1 L’indagine sui musei e le istituzioni similari è consultabile al seguente indirizzo: https://www.istat.it/it/archivio/167566.

2 Il portale dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturale è consultabile a questo indirizzo: https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/innovazione-digitale-nei-beni-e-attivita-culturali.

3 Rispettivamente utilizzati per il 10%, il 34% e il 6% nei post o nei tweet.

 

Mercoledì 20 marzo 2019

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