L’arte del traffico illecito
di Diletta Gambirasi e Maria Rocca, 5A sezione Aureus, Liceo Augusto, Roma – a.s. 2023-24
Abstract: Questo articolo raccoglie le riflessioni che gli studenti della 5A AUREUS del Liceo Augusto di Roma hanno maturato in seguito alla conferenza del giornalista Fabio Isman tenutasi a scuola il 14 novembre 2023 e organizzata dalla professoressa Claudia Terribile nell’ambito del progetto di istituto “Incontri con l’esperto”. Il Liceo ha voluto così aderire alla Giornata internazionale contro il traffico illecito dei Beni Culturali e alle iniziative promosse – per la prima volta in Italia in questa ricorrenza – da The Journal of Cultural Heritage Crime con l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. La conferenza, trasmessa in streaming in tutte le classi che lo hanno richiesto, è stata seguita da circa 250 alunni. I ragazzi del giornalino dell’Augustus hanno registrato l’intervento ed effettuato anche una video intervista al relatore, che si possono vedere sul canale You Tube della scuola.
“Vitam brevem esse, longam artem” sono parole del filosofo latino Seneca che, se estrapolate dal loro contesto originario, assumono la forma di una sentenza condivisa. La vita è breve, l’arte lunga. A noi studenti della 5A Aureus del Liceo Classico Augusto, che abbiamo studiato storia dell’arte sin dal primo anno, questa “lunghezza” è parsa, prima di tutto, un valore cronologico, un parametro tanto ampio da avere al suo estremo remoto lo Stendardo di Ur, e a quello prossimo le opere di Maurizio Cattelan. L’altra grande dimensione di cui l’arte si costituisce, poi, è lo spazio, la lontananza e la differenza tra i luoghi, i popoli e le nazioni di cui è necessario sapere per comprenderla nel modo migliore possibile. La terza, infine, è tanto stratificata che non la potremmo definire altrimenti che “profondità”; l’arte è complessa, si ramifica sopra un denso tessuto di rapporti storici e sociali, di sommovimenti culturali. Non basta un’intera vita a contenere i confini di ciò che l’umanità ha chiamato arte nel corso dei millenni. Eppure, per quanto essa possa catturare attenzione e interesse; spingere il ragionamento a sforzarsi oltre i suoi soliti slanci; far vibrare in modo intuitivo e immediato le più intime corde di ognuno, l’attenzione che sappiamo realmente rivolgerle nelle nostre vite si tinge troppo spesso della bellezza fugace delle questioni temporanee. Una volta conseguito il diploma, la maggior parte delle persone abbandona lo studio di molte cose e tra queste, anche quello della storia dell’arte, nobile disciplina che troppo diffusamente nell’istruzione italiana viene insegnata come se fosse una lista di cose preziose sulle quali studiosi autorevoli del passato hanno sviluppato una narrazione efficace ed esplicativa che si è tenuti ad imparare, e poi a mettere da parte. Sembra quindi, dopo anni passati ad apprendere come l’arte abbia a che fare con tutto, che non abbia a che fare con niente. Prende le sembianze di un sapere indipendente dal sapore antiquariale che esiste al di fuori di noi e che non ci riguarda.
Quando la scuola sa essere finestra aperta sul mondo accade invece che nel percorso didattico degli studenti ci siano incontri destinati a lasciare un segno. Questo ha rappresentato per noi il 14 novembre 2023. In occasione della Giornata internazionale contro il traffico illecito dei Beni Culturali, abbiamo avuto modo di ascoltare il giornalista Fabio Isman, che con la sua appassionata narrazione, frutto di un quarantennio di studi dedicati all’argomento, ci ha trascinato nel cuore di una incredibile serie di vicende inerenti furti, saccheggi, scavi clandestini, commercio illegale delle opere arte. La sua conferenza ha avuto per noi qualcosa di inusitato, di sorprendente: ci ha raccontato di una storia dell’arte errante, sfuggente, misteriosa, ricca di dati irrecuperabili o forse solo irrecuperati. Il suo percorso si è snodato su quel che una volta era sul nostro suolo, ma che è ora altrove, e su ciò che è andato perduto e non abbiamo più. È stato insomma un intervento tutto forgiato sull’assenza, su una storia dell’arte negata e invisibile, punteggiata di nomi di trafficanti che Isman non ha esitato a definire “assassini della storia e della cultura”.
Si è così aperto ai nostri occhi un modo diverso, vivo e dinamico, di avvicinarsi allo studio della disciplina e ci siamo resi conto che il traffico illecito è una questione trasversale sulla quale la scuola – ma anche l’università, come ha ribadito lo stesso Isman – dovrebbe concentrarsi maggiormente. La storia dell’arte non appare più tanto avulsa dalla realtà quando si tiene a mente che le opere sono da sempre oggetto di furto, di distruzione o di commercio, con il mero profitto come movente. Scoprire i metodi illegali con i quali ci si è appropriati nel corso dei secoli dei più svariati manufatti, e soprattutto apprendere della grande razzia del patrimonio archeologico a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, è stato sconcertante e ha richiamato le nostre coscienze a un senso civico di responsabilità che non andrebbe mai tralasciato. Le avventurose vicende delle opere trafugate sono argomento di cui si parla troppo poco, a fronte dell’incredibile identità culturale del nostro paese, e questo fa venir meno la coscienza di una cultura condivisa, contribuendo a diffondere una generale indifferenza verso un qualcosa che rischia di essere percepito, dicevamo appunto, come un trastullo intellettuale riservato a pochi. Il rischio al quale l’arte è continuamente esposta, cioè quello di essere alienata dal proprio contesto, dalla cultura di un popolo, è anche conseguenza della sua scomparsa dall’orizzonte e dagli interessi dei comuni cittadini. Il patrimonio artistico e culturale italiano non prospererà in perpetuo solo grazie alla propria bellezza: preservarlo è un compito collettivo, che ci riguarda da vicino.
Attraverso la sua circostanziata e coinvolgente narrazione, Isman ci ha trasmesso la sua devozione nei confronti della verità, e della riscoperta, insieme alle grandi soddisfazioni che si ottengono dedicandosi a un simile compito. Ci hanno colpito specialmente i successi del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, il primo reparto al mondo specializzato in questo compito, a partire dal 1969. Sono più di 80.000 le opere da loro recuperate: una cifra che la dice lunga su quanto l’arte sia interconnessa con il tessuto sociale politico ed economico del nostro paese e di quanti diversi e inaspettati approcci possa tingersi lo studio della storia materiale delle opere. Vale la pena celebrare uno dei più celebri successi del TPC, quello che ha riportato in Italia il preziosissimo Cratere di Eufronio, ceramista greco vissuto nel V secolo a.C., che ci ha lasciato le più raffinate raffigurazioni degli eroi omerici: il corpo morto del re Sarpedonte, guerriero sconfitto da Achille durante la lunga guerra di Troia cantata nell’Iliade, giace come addormentato tra le braccia delle personificazioni del sonno Hypnos e della morte Thanatos, vegliato da due guerrieri con lancia e protetto dal dio Hermes. Sul lato opposto del cratere, dei giovani uomini si preparano a combattere, forti dei loro corpi statuari. L’opera fu saccheggiata nel 1971 da un complesso funerario etrusco a Cerveteri e venduta, illegalmente, al Metropolitan Museum di New York. Solo nel gennaio del 2008, grazie all’attività operosa del Comando dei Carabinieri e della rete diplomatica, il Cratere è potuto tornare in Italia. Una storia questa che dà certamente speranza, ma che ha un lieto fine che alcune opere d’arte ugualmente preziose possono solo, per ora, sognare.
Il caso forse più eclatante di un’opera contesa e illecitamente trafugata è quello dell’Atleta di Fano, rinvenuto nel 1964 nel Mar Adriatico, a largo della cittadina marchigiana, da un peschereccio italiano. La statua è attribuita a Lisippo (che nome rispolverato dalla memoria del primo liceo!) e affondò probabilmente in epoca romana insieme alla nave che lo trasportava. Se potessimo contemplare la statua, non ci sfuggirebbe di certo quella bellezza innata e naturale che Lisippo ci ha lasciato in eredità: come sembra amasse dire egli stesso, per creare un’opera si doveva imitare la natura e non un artista. Il corpo armonico e rilassato, il viso efebico e orgoglioso, lo sguardo rivolto verso l’orizzonte e la bocca sottilmente chiusa: come ci ricorda Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, “gli antichi rappresentavano gli uomini quali essi sono, lui quali sembrano essere”, perché evidentemente simile a un dio Lisippo voleva rendere l’atleta. Purtroppo, per ammirare questo celebre bronzo, uno dei pochi originali che ci è pervenuto dall’antichità, dobbiamo acquistare un biglietto aereo e volare in direzione Malibu, facendo sosta al Getty Museum, dove la scultura oggi è esposta. Questo perché la statua, dopo alterne vicende, fu venduta nel 1977 da un commerciante al Getty Museum per quasi 4 milioni di dollari. Alla richiesta dello Stato italiano di riconsegnarla, in virtù della nostra legislazione (articolo 840 del Codice civile), nel 2018 il museo americano ha risposto con un comunicato stampa decisamente lapidario: “qualsiasi ordine di confisca è contrario alla legge statunitense e internazionale”. Sembra così che l’Atleta di Fano, ancora per un po’, si dovrà adattare alle laws americane e tarderà il rientro a casa.
Ascoltando questi racconti scolpiti nella memoria di Fabio Isman in modo tanto vivo e presente, istintivamente molti di noi si sono sentiti “attaccati” e “ingannati” o per dirlo com’è davvero, derubati di qualcosa che ci apparteneva, e che non sempre è tornato da noi in Italia. E poiché qualcosa ci avranno pur insegnato cinque anni di studi classici, vorremmo ricordare che la parola latina patrimonium, veniva utilizzata dai nostri antenati per indicare in ambito giuridico l’eredità lasciata da un padre a un figlio. Il termine si compone di due parole, essenzialmente importanti per interpretare l’accezione che questo assume oggi in italiano: pater e munus, dove quest’ultimo vuol dire tanto “dono” quanto “dovere”. È più semplice ora forse capire cosa dobbiamo intendere per patrimonio artistico: abbiamo ricevuto un bene prezioso in eredità dagli uomini che ci hanno preceduto ed è nostro dovere preservarlo per noi stessi e per le future generazioni. Da un lato c’è da provvedere alle esigenze pratiche e materiali della salvaguardia delle opere, la loro manutenzione e messa in sicurezza; dall’altra, va garantita la piena attuazione delle garanzie legislative che ci vedono da secoli in prima linea e all’avanguardia circa le normative sui beni culturali.
Sin dal 1909, infatti, l’Italia scelse di dotarsi di una legge di tutela, decretando che qualunque oggetto di interesse culturale rinvenuto nel sottosuolo o sul fondo del mare è di proprietà dello Stato e cioè di tutti i cittadini, che devono poterne fruire. Una decisione che appare tanto più lungimirante se si considera la vastità dei beni che restano ancora da recuperare. Forse siamo l’unico paese oggi che abbia una carta costituzionale in cui tra i principi fondamentali trovi posto un riferimento al patrimonio e alla necessità della sua protezione (art. 9); l’unico in cui sicuramente l’interesse estetico-culturale del bene scavalca la sacralità della proprietà privata.
Tuttavia, per quanto colonne portanti di tutta la nostra nazione, gli articoli e le leggi rimangono precetti astratti se non vengono agiti, o peggio, se per ignoranza, non si conoscono affatto. In questo contesto è da un lato fondamentale il ruolo delle istituzioni, e in primo luogo della scuola, nella formazione di una coscienza civica: ognuno di noi dovrebbe considerarsi “cittadino” impegnato e consapevole e non un mero “abitante” dell’Italia. Dall’altro, è necessario che i riflettori siano sempre accesi sul problema e che si possa contare su un’informazione corretta e appassionata, che non si limiti a colmare di nozioni sterili il lettore, come riempiendo un secchio di acqua, ma che riesca ad attivare la curiosità e l’interesse di fare propria una causa, come accendendo un fuoco. Tra i primi ad aver compreso il ruolo fondamentale del giornalismo nell’ambito del traffico illecito delle opere d’arte, vi fu Leonardo Sciascia (1921-1989) che trattando del furto della Natività di Caravaggio dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo (tuttora ricercata dal 1969) si domandò “se opere d’arte e testimonianze di passate civiltà siano nel nostro Paese importanti come le leggi e gli atteggiamenti retorici vogliono far credere, o se non siano invece un gravame, un intralcio, di cui una classe dirigente tanto profondamente ignorante quanto vorace voglia al più presto, e con ogni mezzo, liberarsi”. Su questa strada di investigazione e di divulgazione ogni giornalista dovrebbe lavorare; qui ha camminato e continua a camminare Isman e speriamo umilmente di instradarci noi con questo piccolo articolo. L’Italia è la nazione più colpita dai furti d’arte e circa 20.000 opere vengono rubate ogni anno; è fondamentale che tanta bellezza ottenga giustizia e non venga dimenticata. Noi studenti ci impegniamo per questa missione: il nostro contributo inizia da qui.
The Journal of Cultural Heritage Crime (JCHC), con sottotitolo L’Informazione per la Tutela del Patrimonio Culturale, è una testata giornalistica culturale, registrata presso il Tribunale di Roma con n. 108/2022 del 21/07/2022, e presso il CNR con ISSN 2785-7182. Si configura sul web come contenitore di approfondimento, il primo in Italia, in cui trovano spazio i fatti che quotidianamente vedono il nostro patrimonio culturale minacciato, violato e oggetto di crimini. I fatti sono riportati, attraverso un linguaggio semplice e accessibile a tutti, da una redazione composta da giornalisti e da professionisti del patrimonio culturale, esperti nella tutela. JCHC è informazione di servizio, promuove le attività di contrasto ai reati e sostiene quanti quotidianamente sono impegnati nella attività di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio culturale.