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Andrea Kerbaker è un promotore culturale di lungo corso, insegna all’Università Cattolica di Milano, collabora con il Corriere della Sera e con Il Sole 24 Ore, è uno scrittore. L’ultimo suo libro La vita segreta dei libri fantasma, per Salani Editore (2022), è dedicato a quei «libri speciali che ci parlano anche dopo essere scomparsi». Da dicembre 2012 ha aperto la Kasa dei Libri e messo a disposizione del pubblico la sua ricchissima e selezionata libreria che oggi conta circa 35mila volumi, e che ogni giorno si arricchisce di nuovi arrivi. Non una semplice raccolta, non una biblioteca, non un museo, uno spazio aperto alle persone e alla curiosità, senza etichette e senza barriere. L’abbiamo raggiunto telefonicamente per scambiare due battute sull’oggi e sul domani di questo patrimonio librario molto speciale e per sapere cosa ne pensa sulla sua tutela.

Parafrasando l’incipit delle interviste di una nota trasmissione, lei, Andrea Kerbaker, che bibliofilo si sente?
«Non mi sento un bibliofilo perché i bibliofili a me ricordano i necrofili e i pedofili, e non sono due categorie molto apprezzabili, e quindi uscirei da questa terminologia. Mi sento una persona a cui piacciono i libri. I bibliofili mi sono proprio antipatici. Non mi considero neanche un collezionista: conosco tutti quelli che raccolgono libri in Italia, anche perché saremo duecento mal contati, e onestamente, tranne qualcuno tipo Mughini che è abbastanza matto, li trovo tutti abbastanza insopportabili: gente che vive per lo sbaglio a pagina 15 eccetera. Ma chi se ne frega. Quella è necrofilia pura. Detesto queste formule che mi rendono uno strano animale rispetto agli altri, e se li vedo qua non mi fanno alcun piacere, mi piace la gente che ovviamente apprezza, che gira e che fruga».

Quando ha iniziato a collezionare libri?
«Verso i 16-17 anni. Abbastanza prestino. Alle scuole medie invece non leggevo niente».

Com’è maturata l’idea della Kasa dei Libri?
«Per noia. Facevo altri mestieri, avevo una serie di consulenze ma c’è stata, dopo la crisi del 2008-09, un po’ di remissione e ho smesso. Ero sufficientemente giovane per non andare a pescare e avevo questa collezione, allora ho detto, “ma perché non proviamo a fare qualcosa qua?”, molto casualmente. Anche senza sapere bene cosa e come farlo. “Abbiamo uno spazio, creiamo uno spazio libero per ospitare le persone, e vediamo cosa succede, se abboccano all’amo”. E così è successo. Come spesso capita però non c’era una forte predisposizione o una idea di fondo: “buttiamo un sasso nello stagno e vediamo se qualcuno reagisce”».

In una recente newsletter ha scritto: «Quando abbiamo aperto le nostre stanze al pubblico, l’idea che qualcuno potesse regalarci i suoi libri non ci sfiorava neppure l’anticamera del cervello. E che fosse una delle strade che da allora ci avrebbe accompagnato in fondo non l’abbiamo capito neppure quando, pochi mesi dopo l’apertura, ci ha telefonato una signora che non conoscevamo: “So che avete molti libri dedicati. Ne ho parecchi anch’io, non ho figli, mi farebbe piacere lasciarveli”. Abbiamo pensato a un caso fortunato, niente più. Invece stava cominciando un nuovo capitolo, importantissimo: da allora le offerte si sono moltiplicate, e oggi ne arriva praticamente una al giorno». Sono passati quasi 11 anni: accogliete indiscriminatamente tutte le donazioni o c’è una selezione, uno scarto? Penso a seconda della varietà e qualità libraria della raccolta o banalmente per ragioni di spazio non si può accogliere tutto.
«Non solo non si può, non si deve. Il 90% delle cose che ci vengono proposte non meritano di essere tenute. Quello che la Kasa dei Libri fa è cercare di avere delle copie uniche, uniche vuol dire che hanno una storia particolare o perché hanno delle dediche o perché hanno delle postille o perché sono appartenute a qualche persona meritevole di essere ricordata insieme al libro che ha posseduto. Ma se non è così, e questo è appunto il 90% delle biblioteche, noi diamo un’occhiata, ringraziamo e non le prendiamo. Accade anche a biblioteche belle e importanti che però non hanno alcuna caratteristica per essere conservate, se non quella di essere state un gabinetto di lettura per chi le ha possedute. Però, finito quello scopo lì, non c’è nessun motivo di tenere qui la quinta copia di un libro, anche di un libro che ho amato molto. Faccio un esempio: di Lessico famigliare di Natalia Ginzburg ne ho più copie, alcune autografe, altre particolari, chiunque me lo offre dico che l’ho molto amato, non merita per questo di essere buttato, ma non avrebbe senso conservarlo qua».

Quanti fondi donati conserva la Kasa dei Libri?
«Direi cinque».

La Kasa dei Libri non è una biblioteca, che è un luogo «dove tutto è nascosto e guai a pensare di allungare una mano» – ha detto al Corriere della Sera.it lo scorso 17 gennaio 2023 -, e non è un museo, che «fa scattare lo sbadiglio». Come le biblioteche e i musei adottate delle misure di tutela e di sicurezza per conservare e preservare i volumi più importanti?
«Nessuna. Zero. È contrario alla mia religione che è quella di lasciarli lì: sono degli oggetti e così li teniamo. Ho due piatti di Cocteau originali che stanno in mezzo a una scrivania e mi meraviglio che non vengano mai travolti da una pila dei libri e quindi distrutti. Sono lì. È veramente l’ultimo dei miei desideri: se devo imprigionare delle cose, tanto vale che vadano ad altri. Per carità! Odio la musealità, odio la ritualità, odio tutte queste cose. Io spero che questa collezione possa in qualche modo trasmettere delle storie e che c’è dietro una grande passione. Tutto qua, né più e ne meno di questo; però, se è meno, se è una raccolta di libri che si mettono sotto teca, come sono le biblioteche, no grazie».

Martedì 14 novembre la Kasa dei Libri ha festeggiato il suo personalissimo giorno del ringraziamento con un evento speciale, dedicato appunto al dono, e sono stati mostrati alcuni degli oggetti più straordinari ricevuti nel tempo, come disegni di Prévert, la prima edizione di Se questo è un uomo, dediche di Calvino, una onorificenza appartenuta a Cavour e lettere autografe di mostri sacri della letteratura, insomma – sempre lei scrive – «documenti rari e preziosi, ma soprattutto pezzi di una storia personale che in questo modo è divenuta collettiva». Ha già pensato al destino di questo patrimonio “dopo di lei”?
«Eh, sì (ride, ndr), ci ho pensato. Punto. Cioè non sono arrivato a nessuna soluzione. Uno può sempre finire sotto al tram, ma non sembra essere un problema di domani, però è un tema, è certamente un tema cosa farlo diventare. Una cosa è certa: non diventerà una collezione in mano al pubblico, inteso come potere pubblico, cioè ai Comuni, alle Regioni, questo è escluso a priori. Piuttosto la butto via perché quelle destinazioni sono la morte dei patrimoni ed è sicuramente l’unica cosa che escludo a priori. Sul resto ci sto lavorando, vedremo, non è facile evidentemente, non solo e non tanto per i libri che sono tanti, ma per i posti dove conservarli perché implicano una occupazione di suolo, di spazio molto importante. E quindi non possono in eterno stare come stanno oggi, e su questo bisogna lavorare un po’».

La regola aurea della Kasa dei Libri è “vietato annoiare”, per cui la chiudiamo così: quale libro fantasma avrebbe voluto possedere?
«Molti li possiedo, perché in realtà sono libri che sono usciti e si sono resi fantasmi dopo. Quindi prendiamo uno che invece effettivamente non c’è più… Non è proprio fantasma fantasma però se trovassi A lume spento, nella prima edizione di Pound del 1907 in cinquanta copie, sarei contento. Ragionevolmente».

Si ringrazia Andrea Kerbaker per la disponibilità e la Kasa dei Libri per le immagini fornite.

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