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Il beato Francesco, per testimoniare la fede di Cristo, volle entrare in un gran fuoco con i sacerdoti del Sultano di Babilonia. Però nessuno di essi volle entrare con lui ma tutti fuggirono subito dalla presenza del Santo e del Sultano
(Bonaventura di Bagnoregio, Legenda Maior IX, 8).

Il 7 ottobre 2023 era sabato ovvero shabbāt, giorno di riposo per il popolo ebraico, parimenti giorno della preghiera pubblica in moschea per i musulmani, Jimu’a. Eppure, nonostante ciò, sarà probabilmente ricordato nei libri di storia come il giorno in cui è stato versato il sangue di tanti innocenti; l’inizio o forse l’acuirsi di un conflitto terribile, che perdura da tempo, tra alti e bassi, tra attenzioni e distrazioni, tra disimpegno e interesse, tra attentati e tregue.

Non approfondiremo oltre e in senso stretto l’argomento guerra israelo-palestinese, se non per i temi di interesse culturale. È una vicenda molto complessa, spinosa anche per i più esperti analisti ed osservatori, che faticano, anche alla luce degli ultimi avvenimenti, a trovare una spiegazione soddisfacente, utile a comprendere dove potrebbe trascinarci questa escalation di barbarie e violenza. Certo è che al mondo imperversano decine di conflitti, alcuni dei quali, incluso questo, molto delicati per l’equilibrio socio-politico globale: Russia/Ucraina, Armenia/Azerbaigian, quelli interni dell’Iran, dello Yemen, dell’Etiopia, della Repubblica del Congo e Haiti. A tutto ciò si aggiungono le tensioni politiche in Pakistan e Taiwan. Uno scenario inquietante, ma purtroppo reale, di cui spesso ci si dimentica.

In situazioni del genere, il patrimonio culturale è più che mai a rischio. I mezzi per prevenire ed intervenire sui danni cagionati dalle guerre, come ribadito più volte anche su queste pagine, sono deboli, non abbastanza incisivi.

Questo tipo di conflitti, oltre a lacerare il fronte dei contendenti, innescano reazioni su scala planetaria. Le autorità nazionali ed europee sono sotto pressione su vari livelli. Numerose le manifestazioni pro o contro l’uno o l’altro versante. Sono già stati compiuti, oltre i confini geografici del conflitto, più atti terroristici con vittime. Proseguono i bombardamenti a Gaza anche su obiettivi protetti dalla Convenzione di Ginevra. Diversi gli episodi dimostrativi, gli allarmi bomba segnalati nei luoghi sensibili quali i siti religiosi, che coincidono talvolta con i siti culturali tutelati. La tensione, anche su questo versante è alta, basti pensare alle precauzioni del Louvre di Parigi e dal palazzo-museo di Versailles. Il 14 ottobre le due strutture sono state evacuate a seguito di allarmi per possibili attentati. Non sono mancate polemiche su come sono state seguite le procedure, attesa la concitazione derivante dalla massiccia presenza di visitatori. Pare abbia inciso anche la scarsezza di informazioni e di personale destinato alla sorveglianza. Le forze armate e di polizia sono state impegnate per controllare l’esterno delle strutture e le vie di comunicazione.

L’UNESCO, massimo organismo sovranazionale per la promozione e la tutela della cultura e dell’educazione a livello planetario, tramite la direttrice Audrey Azoulay, in occasione dei bombardamenti dello scorso luglio sui siti culturali ucraini, ha espresso ferma condanna, richiamando la Convenzione dell’Aia del 1954 e del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: più di questo, di fatto, non può fare. Gli indirizzi che l’UNESCO dispensa ai paesi aderenti, anche in termini di prevenzione e prepardness su adeguati standard per mitigare gli effetti delle crisi, sono frequentemente disattesi. Ciò costituisce un ulteriore problema in funzione delle azioni successive, riferite al post-evento, che saranno perciò più difficili da coordinare e gestire.

La basilica della Natività di Betlemme (foto: Wikipedia).

La Palestina ha quattro siti riconosciuti: la basilica della Natività di Betlemme, il paesaggio a sud di Gerusalemme-Battir, la città di Hebron-Al Khalil e l’antica Gerico. Israele, fuoriuscito – non senza polemiche – dall’UNESCO nel 2018, unitamente agli USA, ha quattordici siti nel patrimonio mondiale: Masada, l’antica città di Acri, la città bianca di Tel-Aviv, la via dell’incenso nel Negev, Megiddo- Hazor-Be’er Sheva, i luoghi santi della Galilea occidentale, le pendici del monte Carmelo, le grotte di Maresha e Bet-Guvrin, la necropoli di Belt She’arim e la città vecchia e le mura di Gerusalemme.

Il sito di Gerusalemme, è bene ribadirlo, rientra tra quelli patrimonio dell’umanità in pericolo, sin dal 1982. Questo dato è molto significativo, in quanto la decisione di ascriverlo tra quelli in pericolo è causa del perdurare del conflitto israelo-palestinese.

Tutto evidenzia la complessità di approccio verso questi contesti, in cui sembra profilarsi una cesura definitiva con altre realtà e rinforzarsi una presa di posizione unilaterale, anche su scelte politiche concernenti il patrimonio culturale. La Terra Santa, centro spirituale e culturale d’elezione per le tre principali religioni monoteiste, è eternamente martoriata da guerre. Non si può fare a meno di pensare alle Crociate, alle invasioni dei Romani e alle guerre giudaiche, fino all’Esodo narrato nella Bibbia. Sarà possibile una conciliazione basata sul dialogo e perché no su tematiche inclusive e culturali?

Si potrebbero trovare spazi di dialogo sulla preservazione dei simboli culturali e religiosi in un’ottica di mediazione, di un ecumenismo allargato e comprendente, seguendo le orme di frate Francesco da Assisi che, armato solo di pura fede, più di otto secoli fa, mentre imperversava la V Crociata, incontrava il sultano Malik al Kalmil. Attualmente il Patriarca di Gerusalemme, Custode del Santo Sepolcro, Cardinale Pierbattista Pizzaballa fa parte (sarà il caso?) dello stesso ordine religioso fondato dal Santo. È chiamato a svolgere un alto compito, che peraltro ha già dimostrato di voler assolvere fino in fondo, offrendosi in ostaggio al posto dei bambini rapiti da Hamas. Dovrà confrontarsi, secondo il carisma francescano fondato sul legame della fraternitas, col Gran Mufti e col Gran Rabbino di Israele, con i quali condivide gli spazi destinati ai rispettivi culti religiosi, inseriti nei siti salvaguardati dall’UNESCO. Si potrebbe partire da qui?

Al di là delle considerazioni politiche, del credo religioso, della critica storico-letteraria, di valutazioni sociologiche, quello di San Francesco rimane uno dei pochi esempi positivi di un confronto pacifico, basato sul dialogo aperto e sincero, perfino spirituale. Non di meno, per onestà intellettuale, non si possono non citare alcuni personaggi ed eventi spartiacque. Tra questi il presidente egiziano Sadat (premio Nobel per la pace nel 1978), in seguito assassinato dai terroristi della Jihad islamica egiziana, proprio per aver siglato trattati di pace con Israele. Dopo più di un decennio di alternanze e politiche multilaterali a trazione statunitense, vi sono stati gli accordi, di fatto mai definiti concretamente, firmati ad Oslo nel 1993, dal premier israeliano Rabin e il leader dell’OLP Arafat.

Tentativi di conciliazione e stabilizzazione sono stati compiuti in più occasioni, anche da missioni di cooperazione sotto l’egida ONU, a cui ha aderito anche l’Italia. In silenzio, con autorevolezza, sono stati ottenuti riscontri positivi dagli osservatori internazionali ad Hebron, dove anche i Carabinieri italiani hanno operato, senza armi, in maniera egregia anche per il rilancio dell’economia delle aree depresse dei monti della Giudea (TIPH, 1994 e successive).

Non si vogliono suscitare clamori o porsi al livello di illustri personaggi. Non serve a nulla alimentare leggende o peggio illudere i più con false aspettative. Probabilmente abbiamo bisogno semplicemente di sperare, ritrovare un po’ di fiducia nel prossimo, di ispirarci a modelli virtuosi, a guardare con un pizzico di ottimismo a nuove e condivise prospettive. In questi giorni, si sente spesso pronunciare la frase “la pace si fa tra nemici”. In parte è vero. Sarebbe tuttavia fondamentale perseguire e mantenere la pace in ogni circostanza, per assicurare a tutti una vita in cui sia garantita la reciproca libertà.

C’è un film, “Le Crociate-Kingdom of Heaven” (2005) diretto da Ridley Scott, in cui sono richiamati alcuni eventi di cui trattano le cronache di Guglielmo di Tiro (1130-1186), in particolare quelli della III Crociata. Questo parallelismo, forse un po’ irriverente ed ardito, per certi versi è utile a formulare alcune considerazioni etiche, riflettere sull’importanza dei principi e valori universali. Vi sono due scene in questo senso molto significative.

La prima ripropone l’incontro sul campo, tra Re Baldovino IV d’Angiò (detto il Re Lebbroso) e Saladino, a margine della Battaglia di Montisgard (novembre 1177). I due personaggi, pur essendo avversari, si comportano tra loro come autentici gentiluomini. Dialogano sugli esiti incerti dello scontro, condannando le condotte disumane di alcuni esponenti dei rispettivi schieramenti, in particolare dall’Ordine dei Templari. Ne scaturisce un impegno reciproco, basato sulla reciproca parola d’onore, a rispettare le regole cavalleresche. La situazione, come documentato, evolse a favore dei crociati, che ne furono tatticamente avvantaggiati. I resoconti dell’epoca narrano addirittura di un miracolo, avvenuto grazie all’ostensione della reliquia della Vera Croce e per intercessione di San Giorgio e Santa Caterina di Alessandria.

Il secondo episodio è particolarmente suggestivo. Riguarda la battaglia di Hattin e della successiva presa di Gerusalemme da parte dell’esercito ayyubide, guidato dallo stesso Saladino. Il dialogo si svolge appunto tra uno dei più grandi condottieri che la storia conosca e un cadetto della casata francese di Ibelin, Baliano. Il sultano, a fronte della consegna della città, dilaniata da giorni di assedio, propone una tregua e un salvacondotto verso le terre cristiane per tutte le “anime” . Il condottiero crociato si stupisce dell’offerta perché ricorda che i cristiani non furono affatto magnanimi con i musulmani, bensì sordidi e spietati, allorquando conquistarono Gerusalemme. Il sultano non si sorprende, lo rassicura, giurando fieramente su dio «…io non sono quegli uomini, io sono Salah al- Din…». La scena si conclude con la domanda di Baliano: quanto vale la Città Santa? Dopo una battuta di spirito, Saladino risponde «Tutto!».

Perdonerete questa parentesi, ma è importante intraprendere iniziative e profondere ogni sforzo per la pacificazione, per ritornare a visitare, in un clima di armonia, quei luoghi, quei monumenti, quelle testimonianze, opera mirabile e connubio di civiltà con cui dovremmo sentirci in empatia. Il preambolo dell’Atto costitutivo dell’UNESCO recita: «Le guerre nascono nell’animo degli uomini ed è l’animo degli uomini che deve essere educato alla difesa della pace».

Per la pace, per un orizzonte migliore da consegnare alle future generazioni, si può sopportare anche di attraversare, meglio ancora domare il fuoco, affinché ci riscaldi all’occorrenza e ci illumini nella comprensione, lungo il cammino di un’esistenza serena.

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