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Principi ispiratori, cornice normativa, metodo, reperti archeologici e storie riemersi, grazie al Tesoro della Legalità, sono stati al centro di uno degli appuntamenti della XXIX rassegna di Incontri di Archeologia. Lo scorso 4 aprile Marialucia Giacco, funzionaria archeologa del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e Ilaria Marini, maresciallo capo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli, hanno illustrato l’avanzamento dei lavori di ricognizione, riordino e studio su materiale archeologico affidato in custodia giudiziaria al MANN. L’attività, che ha coinvolto archeologi del museo, tirocinanti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e militari dell’Arma, è stata possibile grazie al protocollo d’intesa sottoscritto da Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Napoli e MANN per la tutela, la conoscenza e la valorizzazione di numerosissimi oggetti negati alla pubblica fruizione. Il progetto, già presentato lo scorso 8 novembre, ha interessato reperti archeologici sequestrati nell’ambito di indagini penali a contrasto del saccheggio e della devastazione dei siti e del patrimonio culturale campano. La risistemazione della documentazione d’archivio, relativa ai fascicoli amministrativi dei casi in cui erano avvenuti i sequestri, e quindi la verifica dell’iter e dello status processuale sono stati i passaggi iniziali, necessari e propedeutici, alla vera a propria ricognizione autoptica dei materiali requisiti e accumulati negli anni. Oggetti, vale la pena di ricordarlo, per lungo tempo inaccessibili anche al personale del MANN stesso in assenza di un provvedimento autorizzativo della magistratura.

Marialucia Giacco, archeologa.

Il doppio filone di indagine, documentale e materiale, ha fornito un aggiornamento della mappa geocriminale del traffico illecito di beni culturali: l’analisi comparata dei dati ha permesso la ricostruzione di una casistica circa le modalità di spoliazione dei siti e la sottrazione dei reperti. Parallelamente i promotori del progetto si sono posti l’obiettivo di promuovere un’azione di sensibilizzazione alla cultura delle regole, del rispetto e della legalità, attraverso il patrimonio del MANN. La valorizzazione, così intesa, si configura come strumento di educazione e di formazione per i giovani poiché, in base ai dati forniti dalla magistratura, la salvaguardia del patrimonio culturale campano è stata fortemente compromessa da un tessuto urbano e sociale piuttosto complesso, in alcuni casi depresso e degradato, a cui si è sommata una burocrazia sclerotizzata. È emerso che le minacce a cui i beni culturali sono esposti possono essere categorizzate in tre tipologie:
1. incuria, degrado e abbandono, frutto di condotte apertamente colpose (distrazione o superficialità);
2. alterazione, danneggiamento e devastazione, riconducibili ad atti vandalici e condotte strutturate che mirano al danneggiamento o al cambio di destinazione d’uso del bene;
3. spoliazione e saccheggio, connessi alla criminalità organizzata e alla capacità di piazzare i beni trafugati da parchi archeologici, archivi, biblioteche e istituti ecclesiastici, sul mercato antiquario, grazie anche alla convivenza di funzionari infedeli.

Giacco ha quindi proseguito elencando la cornice normativa internazionale e nazionale entro la quale si muove il contrasto ai crimini contro il patrimonio culturale:

Progressivamente il senso di appartenenza e la responsabilità personale e collettiva hanno fatto dell’uomo garante, custode ed erede del patrimonio materiale e immateriale. L’Italia ha ratificato tutte le Convenzioni in più, con la Legge n. 22 del 9 marzo 2022, ha trasferito nel codice penale i reati contro il patrimonio culturale, ha introdotto nuove fattispecie e inasprito le pene.

Ritornando al protocollo d’intesa, sono stati esaminati 279 fascicoli relativi a casi di sequestro che si sono verificati tra il 1969 e il 2017. Una prima analisi ha permesso l’individuazione delle indagini più significative a cui è seguita una verifica dell’iter e dello status processuale dei singoli casi. La ricognizione archeologica è tutt’ora in corso, ma si stima che saranno “liberati” circa 15.000 reperti: materiale estremamente eterogeneo, dalla ceramica di età romana alle monete, ritrovamenti subacquei e sotterranei, il cui stato di conservazione lascia intendere una provenienza da scavo clandestino. Al MANN inoltre è stata assegnata la Tomba del Cavaliere, ancora al centro di un intricato contenzioso internazionale. Il reperto è espressione della pittura funeraria di età ellenistica IV-II sec. a.C., stilisticamente (acclarata l’autenticità) potrebbe essere ascrivibile all’ambito pestano e il motivo del ritorno del cavaliere dalla battaglia rappresenterebbe un unicum, un’anomalia iconografica sul territorio. Purtroppo la perdita dei dati di scavo non permette la ricostruzione del contesto: si procede solo attraverso il confronto con materiale analogo, senza alcuna certezza o formulazione storica.

Il maresciallo capo Marini, che collabora con il gruppo intersezionale della tutela dei beni culturali della Procura di Napoli, un pool di magistrati dedicato al settore, ha brevemente accennato ai protocolli siglati con diversi istituti napoletani della cultura. In particolare i risultati del lavoro svolto nel Complesso dei Girolamini saranno presentati entro l’estate e riguardano la spoliazione della Chiesa – recentemente restituita alla fruizione pubblica – nel corso del Novecento. In sinergia con la Soprintendenza e il Comune di Napoli è in corso la ricognizione dei depositi che custodiscono opere d’arte ricoverate dopo il terremoto del 1980.

Il progetto realizzato in collaborazione con MANN, che fino al 2015 è stato anche sede della Soprintendenza, ha svelato come nell’arco degli ultimi 60 anni fosse altamente diffusa l’inconsapevolezza che la detenzione di reperti archeologici scavati illegalmente fosse un reato. Un dato: su 279 fascicoli esaminati, 156 hanno riguardato sequestri e perquisizioni domiciliari. E il possesso spesso era giustificato – su imbeccata degli avvocati – come eredità del nonno defunto o beni entrati nel patrimonio famigliare prima del 1909. A partire dagli anni ’70-’80 sono cambiate le leggi in materia di tutela del patrimonio e ne sono state introdotte di nuove, sono mutati la mentalità e l’approccio alla conservazione.

Dagli scatolini di reperti archeologici, posti sotto sequestro giudiziario, sigillati e mai più toccati nei depositi “Sing Sing” del sottotetto del MANN, sono usciti beni, talvolta propri tesori, e altrettante storie, come quella del conflitto a fuoco tra i banditi, che sequestrarono i custodi e rapinarono l’Antiquarium di Ercolano nel 1990, e la polizia. O la testa di efebo, comprata a 50mila lire da un contadino vicino Pompei, e scoperta nel portabagagli di un archeologo francese che si stava imbarcando su un volo per Parigi, o i reperti scavati in una necropoli a Calvizzano e documentati da un sacerdote – ispettore onorario della Soprintendenza – in una pubblicazione nel 1931, e rinvenuti nella casa del prelato lasciata in eredità alla perpetua, o ancora i reperti trovati dai Carabinieri del Nucleo Antisofisticazioni nel cassetto di una farmacia del centro di Napoli, o la scultura marmorea, messa in salvo nel 2016 dalla Soprintendenza e dai Carabinieri TPC, che per quasi un secolo ha abbellito il giardino di un condominio a Fuorigrotta.

Vicende affascinanti, talvolta incredibili, degne di essere riscoperte e raccontate come quella dei 9 vasi, di forme inusuali, sequestrati a Sorrento e rinvenuti nella cristalliera di un’abitazione privata: tutti contraffatti. Su questo singolo caso, per una valutazione puntuale dell’autenticità, è stato coinvolto il Laboratorio del falso dell’Università degli Studi di Roma Tre.

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