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La mostra, curata da Maria Paola Guidobaldi, Valentino Nizzo e Antonietta Simonelli, vuole essere un racconto particolareggiato delle vicende di Barnabei, dall’infanzia e l’adolescenza presso il comune di Castelli (TE), passando per l’avvento in politica, fino allo scandalo di Villa Giulia. 

Era il 1889 quando l’archeologo e politico decise di donare alla città di Roma un museo di antichità che potesse essere un punto di riferimento, non solo per i reperti in esso custoditi, ma anche un vero e proprio centro di ricerca della Storia Antica, un intervento necessario per l’Italia post-unitaria che, per la prima volta, rivede nella cultura la propria unità nazionale. 

Percorrere le tappe della vita di Barnabei, della sua famiglia e dei personaggi a lui vicini, visitando le sale del museo da lui fondato e creato, instaura un dialogo molto intimo che non si sviluppa in una sola area bensì in più stanze, a contatto con i manufatti che sono anche strettamente legati alla storia dell’archeologo abruzzese. 

I pannelli, le opere d’arte da lui realizzate, gli appunti raccolti nel periodo in cui fu docente di latino e greco della Regina Margherita e le azioni politiche denotano il profilo di una figura poliedrica che dedicò la sua intera vita all’arte, alla cultura e all’archeologia vista, per la prima volta, come scienza storica. Con stupore si può notare come la figura di Barnabei sia più vicina alle nostre vite di quanto pensiamo: ha introdotto l’idea contemporanea di museo, attraverso la fondazione di due luoghi chiave nel panorama romano come il Museo di Villa Giulia e il Museo Nazionale Romano, offrendo un volto nuovo ad edifici storici, quali le Terme di Diocleziano e la villa di Giulio III, e stabilendo dunque un dialogo tra antico e moderno, ma per aver posto anche le basi per il concetto di tutela del patrimonio culturale

La legislazione riguardante le cosiddette “antichità” era, all’epoca, ferma all’editto dello Stato Pontificio indetto dal Cardinal Pacca, il 7 aprile 1820, ed era necessario uniformare il diritto alla neonata nazione. Il ruolo cardine di Barnabei, in quanto consigliere fidato dell’archeologo Giuseppe Fiorelli e divenuto Segretario presso la Direzione Centrale degli scavi e musei del Regno, fu quello di creare un servizio di salvaguardia e protezione di scavi, monumenti e luoghi d’interesse, sempre più parcellizzato, grazie alla nomina di ispettori a cui venivano affidati dei territori da presiedere. Una sorta di Sovrintendenza ante-litteram. Le proposte di Barnabei, prima nell’ambito della Direzione e poi in Parlamento, si concretizzarono ulteriormente qualche anno dopo, nel 1902, con la Legge Nasi che riconosceva allo Stato la prelazione sui beni di interesse storico, in un periodo in cui gli oggetti di interesse culturale – ci vorrà ancora qualche anno per chiamarli e definirli “beni culturali” – circolavano senza divieti e tutele.

A 101 anni dalla sua scomparsa, le vicende di Bernabei fanno imprescindibilmente parte della storia del nostro paese e della storia della tutela del patrimonio e ben si sposano con la scelta del titolo della mostra: la famosa citazione catulliana qualifica l’archeologo come testimone e fautore di un’eredità culturale di cui la nostra nazione non ha potuto fare a meno. “Centum deinde Centum” indica, in questo caso, un tempo non quantificabile, un’unità di misura che tende all’eternità: quello che succede quando un’azione che si svolge in un momento ben definito lascia una traccia indelebile per le generazioni future

Il messaggio arriva forte e chiaro ed è molto apprezzabile il dialogo tra la collezione permanente e la mostra temporanea che rende ancora più evidente il legame tra i reperti e la figura di Barnabei. La ricchezza dei pannelli e il vasto numero di informazioni soddisfano ogni curiosità, tuttavia l’esposizione, a tratti, estremamente tecnica potrebbe risultare poco accessibile a un pubblico di non esperti del settore.

Il nuovo volume su Barnabei con la prefazione di Valentino Nizzo.

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