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Chi scava la fossa agli altri, vi cade dentro egli stesso.

Proverbio antico

Il nostro paese, ricordiamolo perché non fa mai male, ha una storia millenaria. Tutti noi camminiamo su un suolo che è lo strato più esterno di un articolato costrutto storico, che ha le sue radici in profondità. Solo pochi sono in grado e legittimati ad esplorare questo particolare orizzonte. Per varcare correttamente tale soglia è necessario possedere due requisiti imprescindibili: la competenza specifica in materia e l’autorizzazione a svolgere questa attività secundum legem.

La premessa è utile per introdurre un argomento che spesso suscita numerose polemiche, derivanti dal fatto che vi è un po’ di confusione, talvolta dovuta a un’informazione sbagliata e/o mal interpretata, ovvero all’ignoranza (che non scusa) delle norme in materia di tutela del patrimonio culturale.

L’Italia è un paese che ha una lunga tradizione di tutela, archeologica in particolare, su cui si è legiferato sin dai primi anni del ‘900, arrivando alla cosiddetta Legge Bottai del 1939, confermata dagli adeguamenti successivi, fino al vigente Codice dei Beni Culturali (2004). Il bene archeologico gode della massima protezione, aspetto che ha assunto rilevanza anche in ambito giurisprudenziale, con plurime pronunce delle magistrature amministrative civili e penali che si sono consolidate nell’affermare che il substrato archeologico del terreno non costituisce un attributo del bene, suscettibile di apprezzamento economico, per la ragione che “le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico (…) ritrovate nel sottosuolo” fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato come richiamato anche dalle norme civilistiche (artt. 822-826 c.c.).

Norme la cui essenza è condivisa e ripresa anche in convenzioni internazionali, si pensi ad esempio alla Convenzione della Valletta del 1992, ratificata dall’Italia nel 2015, afferente la protezione del patrimonio archeologico a livello europeo.

È prerogativa dello Stato esercitare la tutela, attraverso l’azione amministrativa e di controllo. Questa è una della ragioni per cui sono stare create le Soprintendenze che svolgono tali compiti su tutto il territorio nazionale in collaborazione con gli altri enti preposti, nello specifico:

  • tutelare i beni archeologici attraverso una serie di attività finalizzate alla verifica sui beni di interesse, individuandoli sul territorio e garantendone la protezione e la conservazione per fini di pubblica utilità;
  • condurre le indagini archeologiche preventive in relazione a lavori pubblici e privati in aree vincolate o a rischio archeologico;
  • eseguire gli scavi archeologici programmati;
  • controllare gli scavi in concessione di ricerca, condotti da soggetti formalmente autorizzati dal MiC;
  • recuperare i beni archeologici rinvenuti fortuitamente e prescrivere le misure per la sua salvaguardia;
  • valutare e proporre provvedimenti per la protezione del patrimonio archeologico;
  • svolgere attività ispettiva e di vigilanza sullo stato di conservazione e sui lavori eseguiti sui beni archeologici, che devono essere preventivamente autorizzati;
  • dare corso a tutte le attività connesse alla tutela dei beni culturali, concedendo le eventuali necessarie autorizzazioni;
  • certificare con apposita dichiarazione ai soggetti esecutori il buon esito degli interventi eseguiti.

In definitiva tutte le attività connesse all’esplorazione del sottosuolo sono condotte dallo Stato attraverso le proprie articolazioni amministrative ovvero autorizzate secondo la Legge. Non sono contemplate eccezioni. Per svolgere attività di ricerca sul terreno e nel sottosuolo è necessario essere muniti della preventiva autorizzazione e non solo, bisogna possedere competenze specifiche che sono oggetto di attenta valutazione da parte del MiC.

Uso del metal detector (© Creative Commons Zero – CC0)

La previsione codicistica del ritrovamento fortuito (artt. 90-93 CBC), ha carattere di eccezione e determina solo l’obbligo in capo al ritrovatore fortuito di comunicazione all’Autorità entro 24 dalla scoperta, ottemperando alla conservazione del bene lasciandolo nel luogo della scoperta o rimuovendolo eventualmente per una migliore conservazione e sicurezza. Ne deriva che non è consentito munirsi di pala, piccone, trowel, metal detector (gli attrezzi tipici utilizzati dagli archeologi e delle altre figure professionali eventualmente coinvolte) per andare a condurre cacce al tesoro per mari e monti, peggio ancora se in aree sotto vincolo di legge. Il fatto di predisporsi a condurre questo tipo di azioni deroga chiaramente dal carattere di eccezionalità legato al ritrovamento fortuito. Anche a tale riguardo sono state introdotte ulteriori fattispecie di reato nel Codice Penale, a seguito della ratifica del trattato di Nicosia a tutela del patrimonio culturale.

Si richiamano di seguito i reati connesse alle potenziali condotte criminose poste in essere da chiunque effettui ricerche non autorizzate:

  • distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518-duodecies, punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000);
  • possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli (art. 707-bis, punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a euro 2.000);
  • violazioni in materia di ricerche archeologiche (art. 175 Codice dei Beni Culturali, punito con l’arresto fino a un anno e l’ammenda da euro 310 a euro 3.099: sanziona chiunque esegue ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di cose indicate all’articolo 10 senza concessione, ovvero non osserva le prescrizioni date dall’amministrazione e chi essendovi tenuto, non denuncia nel termine prescritto dall’articolo 90 c.1, le cose indicate nell’articolo 10 rinvenute fortuitamente o non provvede alla loro conservazione temporanea).

Il fatto che lo Stato abbia adottato queste misure repressive è probabilmente legato alla recrudescenza di certi fenomeni, purtroppo ancora esistenti nel nostro paese. Un po’ sorprende ma anche dispiace, perché la persistenza di queste condotte illecite porta a sostenere l’ipotesi secondo cui l’azione educativa e preventiva, legata anzitutto alla sfera di legalità, al rispetto del bello e della cultura, non sia stata abbastanza efficace.

Al di là delle dinamiche connesse ai traffici di beni culturali nazionali e transnazionali, in cui sono coinvolte le associazioni criminali e/o soggetti di spessore delinquenziale, non sono da sottovalutare le condotte irresponsabili che, se replicate, possono portare danni ingenti al nostro patrimonio culturale.
Purtroppo capita di leggere su alcuni blog, pagine social, quotidiani, di “ritrovamenti straordinari” di monete antiche, oggetti rari, manufatti ceramici, effettuati da soggetti improvvisati, in località non meglio identificate. In maniera quanto mai fuorviante queste iniziative censurabili vengono fatte passare impropriamente come uno svago, a volte perfino come un’azione meritoria, proponendo paragoni con realtà oltre confine ove vigono altre leggi di tutela, o peggio invocando supposti criteri pseudo scientifici per non dire assurdi.

Non ci si può limitare a osservare in maniera responsabile senza violare in alcun modo il contesto?
Bisogna avere il dovuto rispetto per i beni comuni, che appartengono a tutti noi, e secondo questa logica preservarli per la corretta fruibilità. Sarebbe in questo senso importante attivarsi per segnalare alle autorità le aggressioni di ladri, vandali o incivili a scapito di quei siti diffusi sul territorio che per vari motivi non sono soggetti a un controllo sistematico e sono quindi più esposti e vulnerabili ad atti di incuria o altri eventi peggiori.

Quale sarebbe la nostra reazione se improvvisamente qualcuno si mettesse a scavare nel nostro giardino o usare il metal detector, che “bippa” continuamente, tra le aiuole e i vasi, magari danneggiando piante e fiori: la questione quanto meno ci preoccuperebbe, anche se il reo fosse un’innocente talpa. Povera quella talpa! Passatemi, vi prego, la provocazione. Usiamo dunque il cervello, il buon senso, rifuggiamo da perverse fascinazioni e dal caos comunicativo, perché “fortunato l’uom che prende ogni cosa pel buon verso, e tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa”.

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