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Il patrimonio culturale rappresenta, così come affermato nella Convenzione di Faro, che ne tratta in termini di eredità culturale, “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”. Da tale assunto si evince come i reati perpetrati ai danni del patrimonio culturale costituiscano una lesione delle testimonianze della nostra identità. Dinnanzi a tale consapevolezza, le organizzazioni internazionali hanno progressivamente iniziato a predisporre una serie di misure volta a contrastare le varie forme assunte dal crimine contro il patrimonio culturale.

Ne parliamo in questa sede con Corrado Catesi, coordinatore della Works of Art Unit del Segretariato Generale di INTERPOL, soffermandoci in particolare sul tema del traffico illecito di beni culturali.

Dott. Catesi, nelle ultime decadi il traffico illecito di beni culturali ha assunto connotati sempre più allarmanti. Qual è, ad oggi, il quadro della situazione e come si articola, rispetto ad esso, il programma concepito all’interno dell’Unità da Lei coordinata nell’INTERPOL?
Quando si parla di traffico illecito di beni culturali, se ne sente spesso trattare quale terza o quarta entrata delle organizzazioni criminali. Rispetto a tale qualifica, però, si rivelano necessarie alcune considerazioni. Per poterne stimare l’entità, dovremmo avere i dati esatti e completi di tutti i Paesi. Il problema è dato dal fatto che non tutti i Paesi sono dotati di unità specializzate nel contrasto ai crimini contro il patrimonio culturale, e, al contempo, anche laddove tali unità siano presenti, non sempre esistono database nazionali tramite i quali registrare i beni culturali oggetti di furto. Questo determina che non tutti i Paesi hanno, realmente e consapevolmente, il sentore di ciò che a tal riguardo avviene nel proprio territorio. Come valido esempio è possibile addurre il caso degli Stati Uniti d’America. Due sono le unità si occupano della protezione del patrimonio culturale: l’FBI, con l’Art Crime Team, e l’Homeland Security. Nel momento in cui negli USA avviene un furto di un’opera d’arte, a meno che questo non sia considerato un reato federale e quindi inserito nel Database dell’FBI, esso verrà trattato come un normale furto al pari di quello di una bici. La trascrizione non opera, in questo contesto, in relazione alla natura culturale del bene. Si evince, quindi, come sia impossibile l’identificazione del numero dei furti ai danni del patrimonio culturale.       

A partire dallo scorso anno abbiamo iniziato a raccogliere dati reali dai Paesi aderenti al network di INTERPOL. In questa direzione, ben 58 Paesi hanno fornito la loro collaborazione. Il risultato al quale siamo pervenuti è di vitale importanza, ma non possiamo di certo ritenere che sia completo. Infatti, un ulteriore motivo per il quale è impossibile stimare l’entità del traffico illecito di beni culturali è rappresentato dal fatto che esso, oltre a esserlo dai furti, è alimentato dagli scavi clandestini. In relazione a questi ultimi, è noto che il numero di beni archeologici individuabili è estremamente variabile. Conseguentemente, i dati riguardanti il traffico illecito di cui disponiamo sono parziali, e ciò anche in virtù del fatto che solo un terzo dei Paesi ha potuto procedere all’individuazione di dati, che si soffermano esclusivamente sul furto, non potendo essere riportati con riferimento agli scavi illeciti. Nonostante ciò, ci si può riferire ad un dato sul 2017, rispetto al quale possiamo parlare di circa 55 mila opere d’arte rubate, mentre 200 mila sono le opere sequestrate dalle forze dell’ordine nello stesso anno. Ciò induce a riflettere su un problema che si rivela essere unico nel nostro settore. A differenza di quanto avviene, ad esempio, in relazione al traffico di droga, una volta prodotta essa viene immessa sul mercato, nel mondo delle opere d’arte gli oggetti non sempre vengono venduti immediatamente dopo essere stati rubati.

Dei 200 mila beni culturali considerati, la maggior parte è costituita da reperti archeologici dei quali risulta impossibile individuare il momento esatto in cui sono stati scavati. Ciò conferma la difficoltà nell’identificare la stima del traffico illecito. Sicuramente, e ciò è confermato da quanto sta avvenendo in Siria, in Iraq, sulla base dei rapporti mediatici che pervengono, ne possiamo parlare in termini di fenomeno devastante. Ciò non deve indurre però a pensare che tali crimini avvengano esclusivamente in queste zone. Si pensi ai sequestri, avvenuti in Spagna e Bulgaria, di oltre 30 mila reperti archeologici, tra i quali sono stati individuati molti falsi. Se individuare un volume del traffico illecito è estremamente complicato, con certezza possiamo invece affermare che esso è retto da organizzazioni criminali ed ha un carattere transnazionale ed il sommerso, ciò che viene trovato in fase di scavo illecito, assume una notevole pregnanza.           

Quale è il ruolo svolto dall’INTERPOL Works of Art Unit?
Innanzitutto, essa rappresenta l’anello di collegamento tra INTERPOL e le altre organizzazioni internazionali che si occupano, in virtù del proprio mandato internazionale, della protezione del patrimonio culturale. Ciò si concretizza primariamente con i Memoranda of Understanding, fonti di una proficua quanto intensa collaborazione. Rilevano, in questa direzione, i MoU con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), con il World Customs Organization (WCO), l’International Council of Museums (ICOM), il Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali (ICCROM). Importante accennare poi al forte legame sorto con l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).

Attività di rilievo condotta dalla Works of Art Unit è dunque il configurarsi quale elemento di coordinamento a livello internazionale di tutte le operazioni poste in essere per la difesa del patrimonio culturale e in tema di traffico illecito. A proposito di UNESCO, spicca l’operato dell’unità che si occupa di contrasto al traffico illecito. Noi operiamo energicamente con questo team organizzando workshop, campagne di raise awarness, video di sensibilizzazione. Le dogane mondiali si configurano quale nostro alter-ego nella protezione dei confini nazionali. Con il World Customs Organization predisponiamo dunque non solo operazioni di contrasto a livello globale ma anche training regionali. Nell’ambito delle nostre conferenze viene sempre ribadita l’importanza del supporto delle dogane mondiali, con le quali scambiamo dati sensibili, dal momento che non si può prescindere dall’esperienza da esse maturata nel contrasto al traffico illecito dei beni culturali. Risale allo scorso anno l’Operazione Athena, che ha dispiegato la propria efficacia anche nell’ambito dell’operazione Pandora, quale focus speciale in Europa.

Anche l’ICOM rappresenta un alleato fondamentale. UNESCO e ICOM hanno fornito, nell’ultima decade, informazioni riguardanti più di 1400 oggetti rubati che sono stati inseriti nel database di INTERPOL. Nel corso dello scorso anno è stato sottoscritto con ICCROM un Memorandum of Understanding. Si tratta di un network importante, dal quale siamo certi di poter ricevere informazioni essenziali sugli oggetti rubati e di poter collaborare al fine di approntare workshop finalizzati a specializzare le forze di polizia, con un particolare accento al recupero delle opere d’arte dopo i disastri naturali o i conflitti.

Particolare valore assume la collaborazione con l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (UNIDROIT), in virtù del link giuridico tra INTERPOL Works of Art Unit e la Convenzione UNIDROIT, adottata nel 1995, sui beni culturali rubati o illecitamente esportati. L’articolo 4 stabilisce infatti che il collezionista, prima di acquistare un oggetto d’arte, dovrebbe consultare i registri nazionali o internazionali per capire se l’opera sia stata rubata o meno. Uno dei registri internazionali è il database di INTERPOL, accessibile a tutti.

Rispetto ai nostri obiettivi, inoltre, si rivela decisiva la sinergia sia con l’Ufficio europeo di polizia (EUROPOL): esempi emblematici, in tal senso, sono l’Operazione Pandora, condotta d’intesa dal 2016 e le varie operazioni regionali; sia con l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Con quest’ultima il programma attuale prevede la sensibilizzazione delle frontiere ai confini dell’Europa, non solo verso l’Asia ma anche nel Mediterraneo, e il coinvolgimento dei Paesi terzi nelle criticità alle quali il traffico illecito espone il patrimonio culturale. 

Va poi tenuto conto delle Istituzioni museali e delle Università. Si pensi al dialogo intrattenuto con la Durham University, la Queen Mary University of London e il British Museum, avvalorato dai progetti avanzati e fini ai nostri interessi. La predisposizione di workshop a livello globale mira essenzialmente a incoraggiare i Paesi membri, che ancora non ne siano dotati, a creare unità specializzate. Senza di esse, tali Paesi non potranno mai fronteggiare questo crimine, ma esserne unicamente colpiti. Nello scorso anno ci siamo rivolti ai Balcani; nel corso del prossimo sono stati già programmati ben 18 workshop in Asia e nel secondo semestre ci rivolgeremo alle Americhe.

Da quanto detto finora si evince che tra le funzioni di cui è investita la Works of Art Unit di INTERPOL figura il contrasto al traffico illecito.
In quest’ottica, dal 2009, l’Assemblea Generale di INTERPOL ha ritenuto fondamentale garantire l’accesso pubblico al proprio Database delle opere di arte rubate. Il Database può contare sul contributo di ben 134 Paesi e attualmente sono inseriti 51 mila oggetti, rubati e non localizzati. Il carattere di assoluta eccezionalità del Database è costituito dalla sua accessibilità, garantita non solo alle forze di polizia, ma a tutti i cittadini, giornalisti, mercanti d’arte, esperti del settore, case d’asta, università, curiosi. In questo settore, la scelta di abbattere ogni confine, rendendo fruibile e consultabile alla collettività uno strumento del quale, invece, tradizionalmente, possono avvalersi esclusivamente le forze di polizia, rappresenta di gran lunga uno degli aspetti fondamentali sui quali si erige il mandato internazionale di INTERPOL nel contrasto al traffico illecito.

L’adozione di una misura dai risvolti così incisivi si è rivelata indispensabile al fine di incoraggiare costantemente gli Stati membri affinché essi trasmettano le informazioni reperite sui beni rubati. Ricevere, processare e pubblicare questi dati è compito della Works of Art Unit. Il concatenamento di queste azioni è necessario per implementare il Database, senza il quale INTERPOL non sarebbe potuta pervenire ai risultati a oggi conseguiti. Ciò in virtù del fatto che il Database fonda la sua peculiarità su informazioni di polizia. L’inserimento di ogni dato è subordinato alla presenza di una denuncia sporta dinanzi un’autorità giudiziaria. Conseguentemente, qualora l’oggetto venga localizzato, il Paese che ha proceduto all’identificazione dà avvio ad un procedimento di polizia che, nella maggior parte dei casi, comporterà la restituzione al Paese vittima del furto. Questo nota distintiva è il motivo per il quale il Monitoring Team del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite esalta il carattere di unicità e lo considera un key tool, la chiave di volta nel panorama degli strumenti di contrasto al traffico illecito. 

Il nostro supporto, inoltre, va considerato in riferimento alle attività di contrasto al traffico illecito poste in essere dai Stati membri del network INTERPOL. A essi sono messi a disposizione i nostri strumenti, tra i quali si annovera, al fianco del Database, il nostro sistema di comunicazione I-24/7 System. Parliamo di un sistema criptato utilizzato unicamente dalle forze di polizia. La notice alla quale maggiormente ricorriamo è la Purple Notice. Normalmente indirizzata agli organi di polizia, può essere resa pubblica. È uno strumento con il quale informiamo i 194 Paesi membri del modus operandi del quale si avvalgono le organizzazioni criminali al fine di rubare e trafficare i beni culturali. Stiamo dando un forte impulso a questa attività in modo tale che del traffico illecito si possa garantire un’informazione che travalichi ogni confine, essendo certa e immediata. Dalla raccolta di questi dati emerge con nitidezza che non solo l’Europa è vittima e destinataria del traffico illecito di beni culturali, ma tutte le Regioni del mondo, le Americhe, l’Asia, l’Oceania, sono Paesi di origine, transito e destinazione delle opere d’arte rubate. In un secondo video di sensibilizzazione per UNESCO, abbiamo preso in considerazione il sequestro, avvenuto a Buenos Aires, di opere d’arte, tra cui c’erano reperti archeologici provenienti dall’Egitto. Un ulteriore caso al quale possiamo appellarci riguarda il sequestro, attuato nell’estate del 2017, in una casa d’aste in Uruguay, di oltre 300 beni archeologici provenienti dall’Italia, dalla Grecia, dalla Siria e dall’Egitto. Ciò a conferma del carattere transnazionale del traffico illecito di beni culturali, dell’assenza assoluta di confini che delimitino il suo attuarsi.

Un’ulteriore funzione di significativa importanza a noi demandata è l’analisi del fenomeno delle falsificazioni delle opere d’arte. Il nostro operato si volge in supporto ai Paesi membri nelle fasi di indagine e nel monitoraggio dei dati. Nel 2017 circa 45 mila oggetti falsi sono stati sequestrati a livello globale. Poche unità al mondo sono specializzate nel contrasto al traffico illecito di oggetti falsi. Avvalendosi del contributo fondamentale apportato dalle Risoluzioni UNESCO 2199 (2015) e 2347 (2017), esse sono in grado di restituire, al termine degli accertamenti e delle expertise di autenticità, ai Paesi vittime, i beni culturali sottratti. La criticità più influente è rappresentata dal fatto che l’ordinamento giuridico di taluni Paesi non preveda e disciplini il reato di falsificazione. Le autorità libanesi confermano che il 90 per cento dei beni culturali provenienti dalla Siria rappresenti una falsificazione. Ciò conferma come il falso stia conoscendo una diffusione progressivamente maggiore. Bisogna, inoltre, tener conto del fatto che è stata messa all’asta la prima opera d’arte prodotta da un’intelligenza artificiale. Ciò fa comprendere come stiamo per assistere alla comparsa di cloni che sarà sempre più difficile distinguere. 

Le Risoluzioni UNESCO di cui prima richiamano la Works of Art Unit non solo a contrastare il fenomeno delle falsificazioni, ma anche a supportare tutte le conflict zones i cui beni risultino essere illecitamente sottratti. Ci si riferisce non solo alla Siria e all’Iraq, ma a tutti i Paesi in conflitto: Mali, Afghanistan, Libia. Siamo chiamati, con UNESCO e UNODC, a intervenire come attori principali e a svolgere le funzioni contemplate dal follow up delle due Risoluzioni. 

Da un punto di vista prettamente giuridico, ritiene che le convenzioni internazionali forniscano un valido supporto all’attività da Voi posta in essere in collaborazione con le forze dell’ordine degli Stati membri, oppure pensa che ci siano importanti lacune da colmare?
Partendo dal presupposto che non compete a INTERPOL l’analisi delle convenzioni internazionali da una prospettiva giuridica, senza ombra di dubbio il contributo da esse apportato si rivela decisivo. Particolare menzione merita la Convenzione UNESCO, adottata nel 1970, riguardante le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali. L’articolo 5 evidenzia la necessità, per ciascun Stato membro, di dotarsi di un referente, al fine di coordinare, a livello nazionale e internazionale, l’attività di protezione e contrasto ai crimini del patrimonio culturale. Abbiamo poi la Convenzione UNIDROIT risalente al 1995, sui beni culturali rubati o illecitamente esportati; la Convenzione UNESCO, adottata nel 2001, sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo. Compito della Works of Art Unit è promuoverne la relativa ratificazione. Questo impulso si ha attualmente nei confronti della Convenzione UNESCO del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, la quale sta acquistando notevole importanza con l’ampliarsi degli attacchi terroristici contro i siti culturali e i palazzi monumentali. Le Convenzioni si rivelano indispensabili al fine di richiamare gli Stati al problema del traffico illecito che si contraddistingue per la sua natura transnazionale e contrastabile esclusivamente attraverso unità ad hoc. 

Rispetto al passato, sono subentrate nuove dinamiche, che dimostrano come il traffico illecito non solo rientri tra i più cospicui proventi del crimine organizzato, ma sia uno strumento di finanziamento del terrorismo. Alla luce di ciò, quali sono i cambiamenti che più significativamente sono intervenuti in relazione agli strumenti e alle metodologie di indagine e di supporto all’attività operativa?
Che il traffico illecito di beni culturali, specialmente quello proveniente dalle conflict zones, si configuri quale strumento di finanziamento del terrorismo è stabilito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dai membri aderenti, dalle Risoluzioni UNESCO 2199 del 2015 e 2347 del 2017. Si tratta di attività investigative in cui subentrano molteplici difficoltà, ma bisogna evidenziare che non compete a INTERPOL stabilire se il traffico illecito di beni culturali sia fonte di finanziamento delle organizzazioni terroristiche. Non ci sono dubbi che, con quanto sta accadendo in Siria ed in Iraq, a causa dell’occupazione dei territori da parte dell’ISIS e delle altre organizzazioni terroristiche, lo scavo delle aree archeologiche si è trasformato da estemporaneo, che può concretizzarsi indistintamente in tutti i Paesi con un governo stabile, a massivo e altamente distruttivo. Lo scavo illecito, comportando la decontestualizzazione dei reperti archeologici, costituisce già di per sé una forma di distruzione del patrimonio culturale. Quando, come in questo caso, si rivela sistematico, con drammaticità si comprende come esso conduca alla distruzione totale del sito archeologico considerato. Per questo motivo un’altra Convenzione importante da citare è lo Statuto di Roma, che considera la sistematica distruzione delle aree archeologiche, perpetrata anche tramite lo scavo illecito, un crimine contro l’umanità. Lo Statuto è stato assunto come parametro, alla stregua del quale la Corte penale internazionale ha emesso nel 2017 la prima sentenza di condanna contro la distruzione del patrimonio culturale, in riferimento alla distruzione attuata dall’organizzazione terroristica Ansar Dine dei mausolei di Timbuktu; una condanna dal valore particolarmente simbolico. 

Nell’ottobre del 2018 si è tenuto ad Hanoi il decimo Simposio internazionale sul furto ed il traffico illecito di opere d’arte, beni culturali e antichità. Quali sono stati i temi più specificamente affrontati e quali nuove consapevolezze è stato possibile acquisire?
L’importanza assunta dal Simposio tenutosi ad Hanoi è estremamente significativa. 131 soggetti sono intervenuti in rappresentanza di 81 Paesi. Ben 47 speaker ci hanno rappresentato, approfondendo diversi topic. Il Simposio ha rappresentato l’occasione di confronto e dialogo con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con UNESCO, ICOM, UNODC, WCO. Abbiamo trattato del danneggiamento e degli attacchi del patrimonio culturale, soffermandoci anche sui siti archeologici sommersi, non solo nei mari,  ma anche nei laghi e nei fiumi. Abbiamo analizzato la problematica posta in essere dal fenomeno della falsificazione e approfondito, per la seconda volta dopo la Conferenza Regionale a San Pietroburgo nel 2016, avvalorata da due INTERPOL Expert Group, l’importanza di specializzare le forze di polizia nel primo aiuto alle opere d’arte a seguito dei disastri naturali. Dopo i disastri naturali, così come avviene nel corso e dopo i conflitti, c’è una situazione tale per cui lo status quo viene sospeso, essendo in corso una calamità, e le organizzazioni criminali ne approfittano per depredare il patrimonio culturale della Nazione vittima. Con enfasi, si sta facendo strada in INTERPOL l’esigenza di specializzare le forze dell’ordine nel sapere innanzitutto come operare quando avviene una calamità. Esempio brillante in Italia è rappresentato dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale con la Task Force Unite4Heritage. Si tratta di un’eccellenza nazionale non replicata negli altri Paesi. In ragione di ciò, il Comando TPC sta mettendo a disposizione dei Paesi esteri i propri saperi e la propria professionalità, maturata a seguito del devastante terremoto dell’Aquila avvenuto in Italia nel 2009. Nel momento in cui avvenga una calamità naturale, è necessario che le forze di polizia specializzate si pongano al centro dell’unità di crisi per coordinare tutte le autorità (quali, ad esempio, la protezione civile, il Mibac, i vigili del fuoco). L’assenza di questo coordinamento, finalizzato al reperimento di dati sui i beni culturali rubati, fa sì che le organizzazioni criminali siano facilitate nell’attuare il traffico illecito delle opere d’arte. 

È auspicabile che ciascun cittadino, prima di acquistare un bene culturale, controlli che esso non sia presente nel Database di INTERPOL. L’accesso si richiede tramite il sito pubblico ed è gratuito; ciò è consigliato non solo ai collezionisti e ai mercanti d’arte, ma anche ai curiosi, perché ognuno di noi può trovarsi di fronte a un bene culturale rubato. Inoltre, se si è vittima di un furto, ricorrere prontamente alle forze di polizia con foto che illustrino nitidamente il bene sottratto. Fondamentale richiedere la trasmissione dei dati relativi a INTERPOL. Poiché il traffico illecito affligge la totalità dei Paesi, più dati vengono raccolti, maggiori possibilità di intervento si prospettano. 

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