L’incontro con la Grande Bellezza
Nel giugno del 1934 e nel maggio del 1938 Hitler scese in Italia per incontrare Mussolini. Furono due brevi soggiorni che non ebbero solo i ben noti, tragici risvolti in ambito geopolitico, ma finirono per suscitare nel Führer un’ossessiva fascinazione per le bellezze artistiche della penisola
Quando Hitler giunse in Italia per la prima volta, dal 14 al 16 giugno del 1934, voleva conoscere di persona il suo idolo, Mussolini. Il fondatore del fascismo, l’uomo che dal 1922 era al vertice dello Stato Italiano e aveva relegato il re Vittorio Emanuele III a un semplice ruolo di rappresentanza, era stato una ben nota fonte d’ispirazione per Hitler nella creazione del nazionalsocialismo tedesco e nel processo di ascesa al potere. Le mire tedesche sull’Austria trovavano però Mussolini fortemente contrario. Nel fatidico incontro del 1934, i due si proponevano dunque degli obiettivi contrapposti. Esaltando la superiorità della propria posizione, Mussolini voleva approfittare del suo ascendente per convincere Hitler a rinunciare all’espansione, mentre questi era smanioso di confrontarsi con il suo “maestro” e di ottenerne l’appoggio.
Hitler fu accolto nello splendore veneziano della sontuosa Villa Pisani a Stra, affrescata da Giambattista Tiepolo nel 1761-62 e oggetto di una frettolosa ristrutturazione appositamente realizzata per l’arrivo dell’ospite tedesco. L’antica dimora non era solo uno straordinario esempio artistico, ma emanava il potere di chi vi aveva soggiornato, dalla famiglia dogale Pisani, che l’aveva fatta costruire, a Napoleone e i sovrani che ne avevano poi preso possesso. Giunto al Cancellierato solo l’anno precedente, Hitler appare nei filmati d’epoca nervoso e quasi intimidito di fronte a Mussolini e alla pomposa cornice in cui si trova. Ciò è evidente soprattutto nel passaggio a Venezia, con il Duce che arringa la folla acclamante in Piazza San Marco, mentre Hitler sta a guardarlo ammirato, in disparte. Durante la breve permanenza veneziana egli ebbe modo di visitare Palazzo Ducale e la basilica di San Marco, rimanendo affascinato dagli affreschi bizantini della cupola. Non mise piede, invece, nelle sale della Biennale, dove si recò il Duce da solo: il disprezzo di Hitler per l’arte contemporanea diventerà ben noto a tutti con le grandi mostre di Monaco del 1937.
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Hitler e Mussolini a Stra e Venezia nel 1934
Nonostante la bellezza del contesto, l’incontro in sé fu piuttosto fallimentare dal punto di vista diplomatico: Mussolini rimase sgradevolmente impressionato da Hitler e questi non mollò la presa sull’Austria. Infatti, solo poche settimane più tardi, il Cancelliere Dollfuss, iniziatore del fascismo austriaco appoggiato dal Duce, rimase vittima di un attentato fomentato dai nazisti. Nel 1938 però la situazione politica è profondamente cambiata. Fregiato ora del titolo di Primo Maresciallo dell’Impero, Mussolini vedeva in Hitler, proclamatosi Führer nell’agosto del 1934, uno scomodo ma necessario alleato con cui controbilanciare l’isolamento politico internazionale provocato dalla guerra d’Etiopia. L’avvicinamento tra i dittatori era già stato sottolineato dalla visita del Duce in Germania tra il 24 e il 30 settembre del 1937, e Mussolini aveva finito per mandar giù anche l’annessione dell’Austria avvenuta nel marzo del 1938. Il viaggio di Hitler in Italia era perciò occasione per saldare i rapporti di amicizia e ricambiare la solennità con cui il Duce era stato ospitato a Monaco e Berlino, accecando il Führer con la forza delle italiche bellezze.
Hitler e Mussolini a Roma nel 1938
L’evento fu organizzato con cura certosina dalle istituzioni fasciste, che predisposero dal 3 al 9 maggio un tour di tre luoghi chiave: Roma, Napoli e Firenze. L’arrivo di Hitler a Roma nella nuova stazione Ostiense e il suo trionfale passaggio tra le vie della città, con la folla urlante in camicia nera, è stato magistralmente riproposto da Ettore Scola nel film Una giornata particolare (1977). La capitale era zeppa di striscioni, bandiere, fasci e croci uncinate di legno e cartongesso dipinto. Tra parate ed esercitazioni militari Mussolini era intenzionato a vantare tutta la potenza bellica delle sue truppe di terra, di aria e di mare, prevedendo anche un trasferimento a Napoli (5 maggio) per assistere alle manovre navali.
Hitler e Mussolini a Napoli nel 1938
Ma accanto al valore militare l’Italia poté far bella mostra del suo incredibile patrimonio artistico, riflesso della ricchezza e della gloria storica del Paese. Le antichità romane, ripulite e svettanti lungo il circuito di rappresentanza, riportavano in auge i fasti dell’Impero, mentre la città di Firenze (9 maggio) fu scelta quale simbolo dello splendore rinascimentale.
Essendo nota la passione artistica del Führer, fu chamato quale cicerone d’eccezione il già autorevole archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975), all’epoca docente di storia dell’arte all’università di Pisa. Come lui stesso racconterà nelle pagine pubblicate nel 1948, un telegramma gli ingiunse di recarsi al ministero della Pubblica Istruzione, dove gli fu chiesto, data la sua cultura e il suo fluente tedesco, di fare da guida a Hitler e Mussolini presso i monumenti e i musei di Roma e Firenze. Nonostante l’esplicito diniego per motivi ideologici, alla fine si vide costretto ad accettare l’incarico, pur arrivando a vagheggiare di compiere un improbabile attentato ai danni dei dittatori nel corso della visita. L’episodio è ricostruito, non senza ironia, nel recente film-documentario di Enrico Caria, L’uomo che non cambiò la storia (2016), presentato fuori concorso alla 73ma Mostra del Cinema di Venezia.
Hitler e Mussolini a Firenze nel 1938
Filmati e foto d’epoca ritraggono così Bandinelli, mentre accompagna i due “condottieri” con addosso un misero fez e un’informe divisa da camicia nera. Fondamentale tappa romana fu il Pantheon, dove Hitler chiese di entrare per primo, da solo, e dette poi sfoggio delle sue conoscenze dichiarando all’archeologo di essere rimasto a studiare il monumento tutta la notte, per quanto lo avesse già analizzato durante i suoi anni viennesi. Il Führer, che si piccava di essere un artista e un esperto di architettura, stava allora progettando la sua nuova Berlino insieme ad Albert Speer; è facile dunque immaginarlo mentre fantastica sulla cupola del Pantheon romano proiettandola in quella enorme – e mai realizzata – della sua Volkshalle. Viva impressione suscitò la Mostra Augustea della Romanità, ammirata da Hitler ben due volte a Palazzo delle Esposizioni. Un successo fu anche la visita alle Terme di Diocleziano: qui Bandinelli si diffuse nell’illustrazione dei frammenti della celebre Ara Pacis, di cui si stava ultimando la ricomposizione. Hitler, dal canto suo, non perse l’occasione di sentenziare sui danni provocati in Europa dal cristianesimo, definendolo prima ondata di bolscevismo e paragonando con disprezzo un sarcofago paleocristiano all’arte degenerata del Secessionismo e dell’Espressionismo, entrambi banditi in Germania dal 1937.
Oculata tappa intermedia tra Roma e Firenze, la collezione di Villa Borghese ben illustrava quel gusto aristocratico per l’antichità e l’arte esaltato al massimo durante la visita agli Uffizi e a Palazzo Pitti. Ancora una volta però, fu soprattutto l’architettura italiana ad estasiare il Führer mentre ammirava i tetti di Firenze dall’alto di Piazzale Michelangelo, esprimendosi con i toni parossistici ricordati da Bandinelli.
Rassegna del Comune di Firenze, VIII 6 (1938).
Per la venuta del Führer Firenze è apparsa sfolgorante di bellezza. Il sole aveva indorato l’incanto delle sue ridenti colline e la vetusta magnificenza dei suoi palazzi, dei suoi monumenti che costituiscono la testimonianza della sua gloria artistica: mai tante bandiere, mai tanti arazzi e damaschi preziosissimi avevano adornato le finestre e i balconi dei suoi antichi edifici. E gli addobbi non coprono, ma inquadrano ed esaltano quanto il genio ha creato nei secoli in una successione di pittoresche apparizioni, in un’apoteosi di colori.
Quando, poco dopo l’armistizio del 1943, fu attivato in Italia il servizio della Kunstschutz (protezione dell’arte), proprio a Firenze venne stabilita la sede principale, collegata ma indipendente da quella di Roma, sotto la direzione del colonnello delle SS, Alexander Langsdorff. Con una perfetta macchina strategica, in equilibrio tra falsa diplomazia e aperte minacce, la Kunstschutz provvederà in breve tempo a razziare sistematicamente musei, depositi e collezioni private di quella parte d’Italia su cui ancora si estendeva il controllo tedesco. Man mano che l’esercito risaliva, treni carichi di opere d’arte partivano per la Germania diretti nei bunker allestiti per nascondere, più che proteggere, quei capolavori. Fu un furto studiato a tavolino che prese le mosse proprio dalle indicazioni del Führer e dalla sua fascinazione per ciò che aveva visto nei due brevi viaggi in Italia. Una “lista della spesa” che era stata di certo arricchita dalle indagini degli esperti d’arte tedeschi, ma che non poteva prescindere dalle fissazioni di Hitler. Fu così, ad esempio, che il dittico di Cranach Adamo ed Eva, che agli Uffizi aveva fatto brillare gli occhi del Führer, venne portato via da Firenze dallo stesso Langsdorff, dopo aver mentito spudoratamente al soprintendente Giovanni Poggi che ne aveva denunciato la scomparsa. Entro settembre del 1944, tutte le opere sottratte all’Italia avevano raggiunto le miniere di sale dell’Altaussee, vicino a Salisburgo, e aspettavano ora di venir ritrovate.
Approfondimenti:
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Dal diario di un borghese e altri scritti, Milano 1948
- Francesca Bottari, Rodolfo Siviero. Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell’arte, Roma 2013
- Robert M. Edsel, The Monuments Men: Allied Heroes, Nazi Thieves and the Greatest Treasure Hunt in History, 2010.
- Maurizio Martucci, Hitler Turista. Viaggio in Italia, Greco e Greco 2005
- Sergio Romano, L’arte in guerra, Milano 2013
- Trasmissione Rai – Passato e Presente (St.2017/18), di Paolo Mieli
- Archivio dell’Istituto Luce Cinecittà