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«Il vasto Castello della Venaria, non meno che li annessi fabbricati assegnati alla 16.ma Coorte della Legione d’Onore, rappresentano a dir vero, Signor Cancelliere, tutto l’orrore del vandalismo, e della dilapidazione; il tutto è siffattamente degradato, che non si scorge più se non lo scheletro constituito dalle muraglie di si ben intesi fabbricati; non v’esiste più né porte, né finestre, o quantomeno le poche che v’esistono, o son prive di ferramenta, o sono fracassate. Non v’ha neppure un vetro alle finestre, li sterniti, li palchetti sono similmente mancanti, li plaffoni, e stibi, sono per intiero dirocati; non si perdonò né ai marmi, né agli stucchi, né alle ballaustre, né alle rimanenti decorazioni; le ringiere delle scale, li parapetti de pogioli sono stati del pari tolti, assieme ai trumò, e specchi, e quant’altri mobili decoravano un sì vasto Castello. Le chiavi di ferro persino, che contenevano degli archi sono state tagliate, e asportate assieme a quanto di rame, o piombo serviva a riparare li tetti, a riceverne, e condur via le acque pluviali…». Questa la è la situazione che l’Ingegnere Mercandini descrive nella Relazione sullo stato del Castello e Parco della Venaria dopo la Rivoluzione del 1798 con un calcolo approssimativo della spesa necessaria per impedire la totale rovina di essi, (ASTO, II Archiviazione, mazzo 6, XLV). È il 1804.

Ma com’è potuta cadere così in disgrazia la dimora reale di Venaria?

La costruzione, gli ampliamenti e le decorazioni l’avevano tenuta in vita per un secolo finché nel 1796 Vittorio Amedeo III deve cedere all’astro di Napoleone: il re, firmata la pace, muore di crepacuore. Il figlio Carlo Emanuele IV, che gli succede, nella notte dell’8 dicembre 1798 è costretto all’esilio e i Savoia spostano la residenza a Firenze, Roma e Napoli. Venaria cade in ostaggio delle truppe napoleoniche, è assegnata al patrimonio della Legion d’Onore e cessa di essere, per sempre, una residenza di corte.

Già nel maggio successivo, siamo nel 1799, la Reggia è ormai priva degli arredi, che in parte sono stati venduti all’asta e in parte riutilizzati in alcune residenze ex-sabaude divenute “dimore imperiali” nel 1804-05. Se una lista del 21 aprile 1800 offre il ritratto, pur ampiamente incompleto, dei mobili del palazzo, la relazione di Mercandini del 1804 restituisce un immobile in completa rovina: «Si tratta di uno smantellamento progressivo, organizzato dall’Intendente ai Beni della Corona Imperiale in Piemonte (ormai dipartimento francese) Carlo Salmatoris di Roussillon. Coadiuvato dall’architetto Giuseppe Battista Piacenza e da Ferdinando Bonsignore per le stime, in breve “spolpa” la carcassa inutile della residenza di Venaria a favore del restauro e dell’arricchimento del Palazzo di Torino, anch’esso divenuto imperiale e destinato ad ospitare Napoleone in caso di passaggio torinese. Vengono così asportati i pavimenti lignei degli appartamenti e quelli marmorei delle Gallerie, gli arredi fissi quali porte volanti, zoccoli, camini, i quattro Gabinetti cinesi dei duchi di Savoia, le sculture delle terrazze, delle Gallerie e della Citroniera. Lo smontaggio e il riposizionamento in altre residenze di opere e materiali prosegue anche durante la Restaurazione: rientrato nei suoi possedimenti nel 1814, Vittorio Emanuele I conferma l’abbandono di Venaria Reale. Una esigua parte di arredi fissi, pavimenti marmorei, sculture è stata individuata nei palazzi sabaudi a Torino, Stupinigi, Moncalieri, Genova e Roma».

Nel 1823 Carlo Felice insedia la Scuola Militare di Equitazione e nel 1848 la Reggia di Venaria diventa sede del V Reggimento di Artiglieria: vasche e i giardini fanno spazio ad una piazza d’armi e la dimora resta una caserma fino alla proclamazione della Repubblica. Meglio un uso improprio dell’oblio?

Le carte d’archivio della Soprintendenza, tra denunce del soprintendente e resoconti del custode, documentano lo sfregio novecentesco: «Ignoti ladri hanno forzato le sbarre di una finestra della monumentale chiesa di Sant’Uberto di Venaria ove, oltre a compiere azioni di vero e proprio vandalismo, hanno rotto innumerevoli vetri delle finestre per asportarne gli elementi di piombo», scrive il funzionario nel 1958. Nello stesso anno nasce l’A.V.T.A. – Associazione venariese tutela ambiente per la salvaguardia del Borgo, della Reggia e del Parco della Mandria. Ma poco sembra cambiare: nel 1960 «ignoti hanno bruciato, usando stracci imbevuti di benzina, parte del portone principale della monumentale Chiesa di Sant’Uberto». Lo squarcio è di ampie proporzioni. Non è il primo danno e non sarà nemmeno l’ultimo alla cappella perché, in quel periodo, sarà visitata più dai ladri e dai vandali che dai fedeli. Tuttavia nel 1961, in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia, il Governo stanzia 200 milioni di lire per il restauro della Chiesa di Sant’Uberto e della Galleria Grande.

Da due note del guardiano, entrambe del 1964, sappiamo che «dei 60 vetri formanti le finestre del salone, 34 sono stati rotti» e «dei vetri delle finestre basse è stata fatta vera ecatombe». Inoltre «cinque ragazzi si aggiravano armati di piccone» nel castello.

Nonostante l’interesse di cittadini e istituzioni nel 1970 il degrado è ancora padrone: «certamente, nella Galleria prima o poi troverò un accampamento di girovaghi od un’alcova», avverte il custode, e «un via-vai di persone, aggiunte alle altre che con corde e ramponi si dedicano alla Chiesa di Sant’Uberto». La situazione precipita: «La Galleria si trasforma, specialmente nei giorni di pioggia, in un palazzo dello sport, prestandosi l’ampio salone alla pratica di diverse discipline (sembra vogliasi far dell’ironia, però, nella Galleria si gioca a calcio, tennis, pallavolo e si corre sui pattini a rotelle)». Siamo nel 1974 e «il Ministro per i Beni Culturali e Ambientali promette 3 miliardi di lire per il recupero del complesso, ma nel triennio 1974/77 vengono assegnati alla Soprintendenza 118 milioni». Resta tutto fermo.

Nel 1980 Sandro Pertini, Presidente della Repubblica in carica, richiama all’ordine coscienze e competenze: «È un complesso affascinante, purtroppo ridotto a condizione di degrado gravissime: recuperare Venaria, questa straordinaria opera architettonica, è un dovere dello Stato, della Repubblica!». Lettera morta. Nel 1984 «risultano essere pericolanti l’intera balaustra esistente tra il Torrione B sud-est e la Torre dell’Alfieri», ma nel frattempo la «Regione Piemonte e la Soprintendenza per i Beni Architettonici del Piemonte ottengono dallo Stato 130 miliardi di lire per il recupero delle Residenze Sabaude (Fondi F.I.O.). In 10 anni vengono assegnati alla Reggia 20 miliardi e 600 milioni».

Incomincia la risalita: nel 1994 «lo Stato assegna 2 miliardi e 793 milioni per interventi di conservazione e valorizzazione», il 5 dicembre 1996 si costituisce il Comitato per il recupero e la valorizzazione della Reggia di Venaria e del Parco della Mandria e nel 1997 l’Unesco dichiara la Reggia di Venaria e le Residenze sabaude Patrimonio mondiale dell’umanità. Il 24 settembre 1999 iniziano finalmente i lavori: «le fasi costruttive e il degrado della Reggia hanno reso necessario un nuovo modello di progettazione del restauro, basato sulla ricerca scientifica e storico-archivistica. Gli interventi di recupero statico, impiantistico e architettonico sono stati definiti caso per caso incrociando i risultati della ricerca con le analisi diagnostiche che hanno indirizzato anche la sperimentazione di tecnologie innovative e nuovi materiali, garantendo l’abbattimento dei costi. L’intervento ha restituito una visione formale d’insieme, permettendo una corretta lettura storico-artistica dei manufatti e della loro trasformazione nel tempo».

A sei anni “dalla prima pietra” comincia la serie di cerimonie d’inaugurazione: il Centro Conservazione e Restauro, la Cappella di Sant’Uberto e il Borgo Antico nel 2005; i Giardini, il Centro Internazionale del Cavallo nella Cascina Rubbianetta e la Reggia di Venaria (12 ottobre) nel 2007; la Piazza della Repubblica, la Corte d’onore con la Fontana del Cervo e la Cascina Medici nel 2008; il Gran Parterre Juvarriano, le Sale delle Arti nei piani alti della Reggia, il Parcheggio Juvarra e il raccordo della tangenziale Savonera/Venaria nel 2009; le Scuderie Juvarriane nel 2010; il Potager Royal e la circonvallazione Venaria/Borgaro nel 2011; il Cortile delle Carrozze nel 2012 e infine l’anno successivo le aule didattiche. «Il Progetto La Venaria Reale costituisce a oggi il più importante programma europeo per il recupero e la valorizzazione di un patrimonio architettonico, artistico e paesaggistico. Il restauro del complesso ha dato luogo a un’esperienza unica e innovativa per la concordia istituzionale e operativa degli enti che hanno preso parte del progetto, rendendo possibile il raggiungimento dell’obiettivo nel rispetto dei tempi e delle risorse finanziare disponibili».

Qualche numero della “Reggia ritrovata”: 950.000 metri quadri tra Reggia, Giardini e Parco della Mandria (118.000 “solo” di Reggia e 60 ettari di Giardini), 196.000 metri quadrati di stucchi e intonaci, 14.800 metri di cornici decorative, 1.600 metri quadrati di affreschi, oltre 500 opere tra dipinti, sculture, mobili, arazzi, incisioni, lampadari, tappeti, argenti o orologi, anche «grazie ai prestiti e alle donazioni concessi, con generosa e solidale disponibilità, delle altre Residenze Sabaude, da musei e istituzioni culturali, enti bancari e collezionisti privati».

Se abbiamo potuto qui ripercorrere tutta la storia, dall’abisso al trionfo, è grazie alla Reggia di Venaria stessa che, durante il percorso di visita, mette a disposizione di cittadini e turisti un racconto senza sconti e, nella meraviglia ritrovata, espone le ferite del tempo, dell’incuria e dell’inerzia.

Venaria non dimentica e «le straordinarie fotografie di Pino Dell’Aquila instaurano un dialogo con il passato, ricordandoci com’era la Reggia fino a pochi decenni fa, rendendo drammatico il contrasto tra l’abbandono di ieri e lo splendore del presente».

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