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Il 14 luglio 2023 la Monuments Men and Women Foundation ha dato l’annuncio della morte di Richard Morton Barancik, l’ultimo dei Monuments Men conosciuti. Barancik era nato a Chicago nell’Illinois e nel 1942 a 17 anni, su pressione del padre, si era arruolato nell’esercito, proprio mentre in Europa divampava il secondo conflitto mondiale, e lui infatti vi fu presto inviato come soldato semplice.

La sua Divisione avrebbe dovuto raggiungere la Francia per partecipare alla Battaglia delle Ardenne ma dopo che una nave fu affondata dai tedeschi e più di 700 dei suoi compagni d’armi persero la vita, fu trasferito prima a Marsiglia e poi in Austria, dove ebbe occasione di venire a conoscenza dell’esistenza della sezione Monumenti, alla quale chiese di poter essere aggiunto.

La storia di questa sezione e degli oltre 300 uomini e donne di diverse nazionalità, che hanno rischiato la vita per salvaguardare l’immenso patrimonio culturale europeo, è stata raccontata fedelmente, raccogliendo fonti di archivio e testimonianze, da Robert M. Edsel in Monuments Men e Monuments Men: missione Italia e portata al cinema nell’omonimo film del 2014 diretto e interpretato da George Clooney.

Sia i libri che il lungometraggio hanno riportato l’attenzione del pubblico su questa vicenda, che era stata nel tempo quasi dimenticata e che ben si presta ad una narrazione cinematografica. Mentre Hermann Göring, il maresciallo del Reich, si accaparrava tutte le opere migliori confiscate in Francia alle più potenti famiglie ebree, scegliendo con cura il suo bottino al Jeu de Paume – usato come suo deposito personale – e mentre i soldati nazisti giravano per l’Europa trafugando i più importanti capolavori come il Polittico dell’Agnello Mistico di Gand, capolavoro dell’arte fiamminga, nel dicembre del 1941 al Metropolitan Museum di New York Paul Sachs, direttore del Fogg Art Museum di Harvard spinto da George Stout, responsabile del Dipartimento di conservazione e ricerca tecnica dello stesso Istituto, mostrava ad un gruppo di studiosi e direttori dei musei le devastazioni causate dalla guerra. Li metteva così di fronte ai gravi rischi che la storia culturale europea stava correndo: essere completamente cancellata dai bombardamenti alleati. Lo scopo era convincere i presenti della necessità di formare dei professionisti in grado di agire sul campo per la conservazione e salvaguardia delle opere d’arte.

La proposta non fu subito accolta, ma quando la guerra si spostò sul suolo italiano a partire dal luglio del 1943, sembrò finalmente evidente la necessità di mandare degli esperti per fare delle ispezioni e controllare la situazione. In quella estate fu fondata prima la Commissione Roberts che prendeva il nome dal giudice della Corte Suprema Owen J. Roberts e poi, alla fine dello stesso anno, in base ad un accordo fra il presidente americano Roosevelt e il comandante in capo delle forze alleate Eisenhower, divenne la sezione MFAA, Monuments, fine arts and archives.

Durante tutto il restante periodo della guerra e anche dopo il termine del conflitto gli uomini e le donne della Monumenti, provenienti da più di 14 Paesi, hanno compiuto ogni sforzo possibile per istruire i soldati sulle zone da non bombardare, supportati anche da una direttiva dello stesso Eisenhower, che ricordava a tutti che gli occhi del mondo erano puntati su di loro, benché di fronte ad una necessità bellica la vita degli uomini valesse sempre di più di quella dei monumenti. Non era un compito facile: come si faceva a convincere dei soldati, che stavano mettendo a repentaglio la propria vita, dell’importanza di salvare statue, chiese o altri monumenti e non colpire quelle zone in cui, molto probabilmente, i nemici erano asserragliati? Come si poteva chiedere di avere a disposizione mezzi, benzina, scorte, per spostare le casse con i dipinti piuttosto che usarli per lo sforzo bellico? La loro sembrava una lotta contro i mulini a vento: ingenti erano stati i danni dei bombardamenti, come quello di Milano, che aveva distrutto tra gli altri edifici il refettorio di Santa Maria delle Grazie, lasciando in piedi solo la parete del Cenacolo di Leonardo da Vinci; altrettanto terribile era stato l’incendio divampato in seguito ad un bombardamento nel Camposanto di Pisa. Nulla si era potuto fare, poi, per evitare la totale distruzione dell’Abbazia di Montecassino, devastata dagli aerei alleati il 15 febbraio del 1944.

Quelli, che i commilitoni avevano soprannominato scherzosamente “gli aggiusta Veneri”, riuscirono a conquistarsi man mano una posizione di tutto rispetto all’interno delle loro armate, trovando spesso la collaborazione dei funzionari di zona e in alcuni casi anche di alcuni gerarchi tedeschi, interessati davvero a salvaguardare il patrimonio culturale.

Una volta arrivati sul campo di battaglia, però, gli esperti della MFAA si accorsero di un altro gravissimo pericolo, costituito dai numerosi furti effettuati dai nazisti per sfamare l’ingordigia del Führer e del suo braccio destro, che volevano arricchire le proprie collezioni: iniziarono da lì una “battaglia parallela” contro i tedeschi per intercettare tutti i depositi in cui le opere trafugate erano state nascoste.

Richard Barancik faceva parte proprio di questi circa 350 uomini e donne: dopo essere arrivato in Austria, in servizio nella 42a Divisione, lavorò a Salisburgo in uno dei famosi collecting points, creati per catalogare tutti i beni trafugati e restituirli ai legittimi proprietari. Approfittò poi della sua permanenza in Europa e al termine della guerra decise di studiare architettura a Cambridge e all’École des Beaux Arts di Fontainbleau. Una volta ritornato negli Stati Uniti ebbe in seguito una fortunata carriera come architetto fino al 1993.

La Monuments Men and Women Foundation, creata dallo stesso Robert M. Edsel nel 2007 e diretta attualmente dalla storica dell’arte Anna Bottinelli, lavora incessantemente non solo per tenere alta l’attenzione sui capolavori scomparsi e non ancora ritrovati, ma anche per mantenere viva la memoria di persone come Richard Barancik alle quali va l’eterna gratitudine dei musei e gallerie di gran parte dell’Europa, ma anche dei visitatori, che spesso ammirando le opere d’arte non sono a conoscenza dell’enorme rischio che i più grandi capolavori di Michelangelo, Botticelli, Tiziano, ma anche Van Eyck o Vermeer e tanti altri hanno corso durante la Seconda guerra mondiale.

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