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C’è un fremito alle pendici del Vesuvio che guardano Pompei. Nel settore nord della Villa dei Misteri, là dove il tempo sembrava sospeso, la legalità ha aperto un varco nella materia: la memoria riaffiora, viva e ostinata. Il silenzio ha finalmente ceduto il passo al canto metallico delle spatole, al respiro profondo della terra che si muove di nuovo; qui, dove un tempo l’archeomafia scavava tunnel segreti che divoravano il passato dalle fondamenta, corridoi ciechi del saccheggio, e una casa abusiva — un ecomostro cresciuto di sanatoria in sanatoria — schiacciava il suolo sacro dell’antichità, oggi fiorisce un cantiere che profuma di riscatto. «Nonostante i danni degli scavi clandestini, stiamo trovando resti in ottimo stato. Questo ci fa ben sperare per ciò che ancora si cela nei livelli inferiori», confida con un sorriso Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco, mentre le sue parole rimbalzano sulle pareti in opera quadrata dell’area nord appena riportata in luce, come se la materia antica stessa rispondesse con un sussulto di approvazione. La Villa dei Misteri, rosso pompeiano vivo come un cuore in fiamme, affascina il mondo dal 1909 con il suo celebre ciclo dionisiaco; eppure un’intera ala giaceva in ombra.

Amedeo Maiuri, titanico regista degli scavi pompeiani, aveva già fiutato il segreto nel 1929: con il Banco di Napoli alle spalle — una sorta di “art bonus” ante litteram — avanzò tra affreschi e marmi finché, nel quadrante nord-ovest, la sua corsa venne sbarrata da una dimora privata che poggiava sfrontata su secoli di storia; il sogno si spense lì, sotto un tetto di abusi. Novant’anni dopo, il sogno brucia di nuovo, più luminoso: nel 2019 l’allora Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, e il Procuratore della Repubblica facente funzioni presso il Tribunale di Torre Annunziata, Pierpaolo Filippelli, hanno firmato un protocollo — rinnovato nel 2021 — per contrastare in modo sistematico il saccheggio di reperti e i cunicoli clandestini. Nel corso di una delle ricognizioni previste da quell’accordo, è stato individuato all’interno di un’abitazione privata un tunnel di scavo abusivo, riconducibile ad attività clandestine e spoliazioni di reperti nell’area archeologica.

È stato quindi attivato un secondo protocollo pilota, tuttora in vigore, che affida al Parco il finanziamento degli abbattimenti e alla Procura la direzione tecnica e l’appalto: così, nel 2023, la casa abusiva è crollata sotto i colpi delle ruspe della legalità, rivelando vene oscure che succhiavano reperti dal ventre della domus, ora sigillate come prove in un processo che innalza la giustizia a custode del futuro. «Abbiamo unito le forze per colpire il traffico illecito di reperti e restituire dignità a un luogo simbolo del patrimonio mondiale», proclama il Procuratore Nunzio Fragliasso, scolpendo una nuova definizione di tutela: “giustizia culturale”; l’archeologia diventa alleata della magistratura, e la legge si fa strumento di restituzione, cura, memoria.

Dal buio riemergono i basoli della via Superior, lucidi d’umidità come se un acquazzone imperiale li avesse appena lavati; riappare il piano superiore del quartiere servile, con pavimenti a cocciopesto punteggiati di conchiglie, tegole adagiate dove le lasciò l’eruzione, intonaci che conservano l’alito dei gesti quotidiani; poco più in là, un muro curvo sorreggeva l’orto pensile di un tempo e una cisterna a botte custodiva l’acqua e il silenzio, pronta ora a riflettere la luce delle torce come uno specchio fra due millenni. Le ferite lasciate dai tombaroli, pur visibili, non riescono a cancellare del tutto la dignità delle strutture superstiti, come se una memoria ostinata risalisse, da sola, dalle profondità violate. Il cantiere è archeologia circolare: i materiali di risulta vengono studiati e riutilizzati, i rilievi 3D alimentano banche dati aperte, le buone pratiche giuridiche sedimentano come strati di tufo e responsabilità, mentre il protocollo vigente permette di demolire ogni abuso nella fascia protetta, acquisendo le aree al demanio.

Il Direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, e il procuratore Nunzio Fragliasso (Foto: Ufficio Stampa Parco Pompei)

«Abbiamo bisogno di nuovi finanziamenti per completare l’indagine», avverte Zuchtriegel, ma la sua voce non trema: la direzione è tracciata e porta dritta al cuore della Villa, là dove Maiuri aveva lasciato una domanda in sospeso che oggi trova risposta nel tintinnio degli scalpelli, nella polvere che si fa storia, nella luce che sfiora gli intonaci come un gesto d’amore tardivo. Scavare qui non è soltanto un’operazione scientifica: è un risarcimento simbolico, un’offerta all’anima stessa di Pompei; ogni pietra riemersa, ogni affresco svelato, ogni tegola lambita dal sole campano prova che la bellezza può essere salvata in extremis, che la legalità può diventare gesto creativo, che la memoria — anche se profanata — sa rialzarsi più splendida. L’opera di restituzione qui non è solo archeologia: è “giustizia poetica”, dono civile alla memoria di Pompei; è cura, è riparazione, è memoria che si ricompone in luce. Ogni frammento restituito dimostra che la bellezza può sopravvivere all’oblio e la legalità farsi cura rigenerante. Qui, tra silenzi antichi e voci ritrovate, la storia non è più soltanto passato: è scelta di protezione, promessa di futuro. E mentre Dioniso continua la sua danza vermiglia, l’eco della giustizia vibra sotto le rovine, non richiamo di ieri ma garanzia di domani, sigillo incorruttibile della memoria.

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