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Tutto quello che ho, l’ho ereditato. Ha fatto tutto mio nonno. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione. Io vi ho aggiunto il dovere della responsabilità

(Gianni Agnelli)

L’ultima indiscrezione è che Villa Frescot, dimora elegante sulla verde collina torinese, sia in vendita per una cifra superiore ai dieci milioni di euro. Per anni è stata abitata dall’avvocato Agnelli e da sua moglie, Donna Marella Caracciolo di Castagneto. Sembra che la scelta di alienarla sia stata della figlia Margherita, anche se le trattative, secondo il rigido stile torinese (semmai sia ancora in auge, sic!), sono strettamente riservate: nessuna conferma, nessuna smentita.

Una novità che si collega con le ultime cronache che hanno visto la dinastia Agnelli-Elkann al centro di una contesa in cui sono spuntati improvvisamente beni d’arte di consistente pregio e valore. È noto che Donna Marella fosse una raffinata appassionata d’arte. Una parte delle sue acquisizioni, per scelta condivisa col marito, sono state donate alla fondazione omonima creata ad hoc e sono tuttora esposte a Torino, nella collezione permanente della Pinacoteca del Lingotto, dal 2002.

Nel corso della loro vita i due coniugi, a cui non mancavano le disponibilità economiche, un certo gusto ma anche il fiuto per gli affari, hanno acquistato, per piacere e per arredare le loro lussuose dimore sparse per il mondo, numerose opere d’arte, beni di antiquariato, oggetti rari. Basti pensare che l’avvocato, con il contributo di Federico Zeri e di Giancarlo Gallino, suo antiquario di fiducia, sponsorizzò, nei primi anni novanta, la Biennale di arte antica al Lingotto. Una manifestazione che ha avuto solo quattro edizioni lasciando però un segno. Gli esperti del settore la ricordano ancora, con nostalgia, considerandola di un livello eccellente, soprattutto per la qualità e la ricercatezza dei beni proposti da mercanti d’arte e galleristi di fama internazionale.

Donna Marella, del resto, ha frequentato assiduamente, sin dagli anni cinquanta, gli ambienti artistici newyorchesi, dove si sono formati tutti i cosiddetti geni della pop art che adesso sono ricercatissimi dal mercato. Nota per la sua eleganza, per la sua capacità creativa nel mondo del design, della fotografia e della moda, è stata musa per Andy Warhol. L’eccentrico artista l’ha ritratta in una delle sue serie di serigrafie multicolour. Analogo destino è toccato anche all’avvocato, immortalato mentre fuma una sigaretta.

Tutto questo per sottolineare che i due protagonisti, al di là dell’allure che li ha da sempre contraddistinti, sapevano di certo il fatto loro anche in questo ambito.

La vicenda delle opere d’arte, salita alla ribalta delle cronache per la scottante inchiesta di Report, è essenzialmente legata al destino che i beni hanno avuto a seguito del decesso dapprima di Gianni (2003) e poi di Marella (2019). Qualcuno ricorderà la prima controversia legale, risalente al 2009, a seguito della vertenza promossa da Margherita contro la madre, Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfred Maron. Vertenza che si è conclusa a sfavore di Margherita, che reclamava un’ulteriore porzione di eredità, sostenendo vi fosse un tesoro nascosto all’estero di oltre un miliardo di euro.

L’ultimo avvenimento ha riaperto con forza un dibattito, che in realtà si protrae da lungo tempo, sulle modalità e gli interventi di tutela sul patrimonio di proprietà privata che, a fronte di un’oggettiva importanza, potrebbe essere sottoposto a provvedimenti amministrativi per valutarne la culturalità in conformità ai dettami del D.Lgs. 42/2004.

L’inchiesta di Report riferisce di ben 636 opere d’arte, tra dipinti e sculture, di autori importanti tra cui: Picasso, Klimt, Rothko, Bacon, Schiele, De Chirico, Monet, Balla. I valori sono da capogiro, nell’ordine di centinaia di milioni di euro. Fa riferimento in particolare a due elenchi, a dire il vero un po’ sommari, redatti a quanto pare dall’ex maggiordomo di casa Agnelli, da cui mancherebbero alcune pagine. Sarebbero quindi emerse incongruenze tra le opere trascritte su questa documentazione e l’effettiva consistenza nonché collocazione delle opere stesse. Collegato in parte a questi fatti è pendente un procedimento alla Procura della Repubblica di Milano, scaturito da un esposto presentato da Margherita Agnelli contro i figli John, Lapo e Ginevra Elkann. Le opere sarebbero state portate fuori dai confini nazionali verso la Svizzera, la Corsica, gli USA, il Liechtenstein e i porti franchi.

Al di là del sensazionale quanto per certi aspetti labile riscontro documentale, pare non vi sia altro carteggio, se non qualche pubblicazione dove sono presenti fotografie di alcune di queste opere in contesti abitativi ascrivibili alle dimore della famiglia. Non risulta al momento alcuna documentazione, riconducibile alle due liste, custodita al Ministero della Cultura e/o presso le Soprintendenze di Roma e Torino. Pare inoltre che le opere non siano mai state visionate da funzionari ministeriali nel corso di procedure d’ufficio. Eccezion fatta per i bassorilievi di Canova, di cui, nonostante la notifica, l’indagine penale e il processo amministrativo, si sono perse le tracce. Queste opere provenivano da Villa Franchetti di Preganziol, di proprietà della Provincia di Treviso, e nel 2004 si trovavano proprio a Villa Frescot, dove furono sequestrate dalla Guardia di Finanza e affidate in custodia alla famiglia Agnelli.

Un’altra polemica si è aperta per l’accesso agli atti al Ministero da parte dei giornalisti di Report, per verificare se esistesse una lista depositata di queste opere. Gli eredi Elkann si sono opposti, nonostante l’accoglimento del dicastero, attivando il TAR, sostenendo che la richiesta formulata non sarebbe di interesse pubblico.

Interesse pubblico o privato? Su questo fronte si fonda la diatriba tra due visioni opposte di concepire la tutela. Il sottosegretario Sgarbi sostiene a riguardo, in estrema sintesi, che se i beni sono di proprietà privata e non sono vincolati, l’avente titolo ne può fare ciò che vuole, perfino distruggerli. Di tutto altro avviso è lo storico d’arte Tomaso Montanari, che sostiene la posizione per cui sarebbe doveroso approfondire le verifiche del caso, visionando anzitutto dal vivo quella che potrebbe in effetti considerarsi una collezione, per valutarne un possibile interesse pubblico e consentire a tutti di goderne.

Detto ciò, quali sono in concreto gli strumenti per attuare queste verifiche e procedere di conseguenza? Su questo aspetto, nei fatti, si è detto poco.

Fermo restando quanto previsto dagli artt. 10 e 13 del Codice dei Beni Culturali, rispettivamente definizione di “beni culturali” e “dichiarazione dell’interesse culturale”, le ulteriori possibilità di intervento degli organismi di tutela, a fronte della consistenza di elementi conoscitivi, sono:
– l’art. 19 che autorizza l’ispezione per cui “i soprintendenti possono procedere in ogni tempo, con preavviso non inferiore a cinque giorni, fatti salvi i casi di estrema urgenza, ad ispezioni volte ad accertare l’esistenza e lo stato di conservazione o di custodia dei beni culturali” e la possibilità di verificare le prescrizioni di tutela indiretta date ai sensi dell’articolo 45;
– la competenza degli Uffici Esportazione della Soprintendenza, in base agli artt. 64-74 del Codice dei Beni Culturali, sulle procedure di esportazione/importazioni di beni culturali, a fronte di domanda in autocertificazione finalizzata ad ottenere le seguenti autorizzazioni: autorizzazione all’uscita definitiva, licenza di esportazione o spedizione temporanea, attestato di libera circolazione, certificato di importazione/spedizione temporanea, licenza di esportazione dal territorio dell’Unione Europea.

A margine di queste attività, sono previsti controlli in collaborazione con l’Agenzia delle Dogane e con il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per il contrasto e il recupero dei beni culturali illecitamente sottratti, esportati/importati. Questi organismi si avvalgono inoltre delle banche dati:
– quella del SUE, dove confluiscono, a partire dal 2011, tutti i documenti inerenti alla circolazione dei beni presentati agli uffici esportazione;
– la Banca dati dei Beni Culturali illecitamente sottratti, prevista dall’art. 85 del Codice dei Beni Culturali, di cui si avvalgono, per le loro attività, i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale che dipendono funzionalmente dal MiC.

Ovviamente questa normativa è applicabile autonomamente e/o parallelamente ad un’indagine giudiziaria.

Giova ricordare che, se da determinate condotte dovessero rilevarsi fattispecie di natura penale, sussiste l’obbligo di riferire all’Autorità Giudiziaria. I funzionari della Soprintendenza sono peraltro pubblici ufficiali ex art. 357 c.p. “…sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa…”. Nel caso, il pubblico ministero, avuto notizia del reato, nelle forme previste dall’art. 347 cpp., procede all’iscrizione dei responsabili sul registro degli indagati qualora noti. Sarebbero quindi valutate in primis le ipotesi e in seguito ravvisati i reati da contestare ai responsabili, adottando tutte le misure necessarie per ricercare le prove nel corso delle indagini preliminari, utili a sostenere l’accusa in giudizio. La Legge 9 marzo 2022, n. 22, a seguito della ratifica del Trattato di Nicosia, ha introdotto nel Codice Penale nazionale il Titolo VIII-bis Dei delitti contro il patrimonio culturale che, contrariamente alla normativa precedente, prevedono sanzioni penali rilevanti e la misura della confisca.

In astratto, come paventato anche dai giornalisti di Report, nella vicenda delle opere d’arte riconducibili alla famiglia Agnelli, potrebbero, il condizionale è di prammatica, essersi consumati reati specifici connessi ai beni culturali, in attinenza all’alienazione illecita, alla falsificazione in scrittura privata, all’importazione/esportazione illecita (artt. 518 octies-518 decies c.p.).

Vedremo se vi saranno altre sorprese, considerando anzitutto i luoghi e i tempi dell’eventuale commissione dei reati, l’estinzione e la prescrizione degli stessi. Fermo restando la possibilità di attivare nel caso rogatorie, ordini di indagini europei, in base a disposizioni e accordi internazionali, si rammenta che l’art. 518-undevicies c.p. contempla una disposizione di chiusura del Titolo VIII-bis, prevedendo l’inedita applicabilità delle disposizioni penali a tutela dei beni culturali anche ai fatti commessi all’estero in danno del patrimonio culturale nazionale.

Questa storia, data la portata e l’interesse suscitato sull’opinione pubblica, potrebbe contribuire in qualche modo a ripensare, meglio sarebbe potenziare, l’organizzazione e la competenza, su base territoriale, degli uffici deputati ai controlli sulla circolazione dei beni d’arte. Inoltre snellire le procedure amministrative, attraverso una maggiore informatizzazione, rendendole così più trasparenti, semplici ma incisive, equilibrando meglio le esigenze di tutela statale con quelle private e del mercato.

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