Venezia è (ancora) in pericolo: da Montanelli all’Unesco

Tra il 1968 e il 1970 Indro Montanelli si spese con diversi articoli sul Corriere della Sera, un documentario Rai, e un libro ampliato e (ri)edito da Sansoni per scuotere l’opinione pubblica in difesa di Venezia. Sono trascorsi 55 anni e sul tavolo della 45esima riunione del Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, in programma a Riyad dal 10 al 25 settembre, sarà – nuovamente – in discussione l’inserimento della città e della sua laguna nella List of World Heritage in Danger

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«È un documentario su Venezia […] per sottolineare, non dirò le brutture ma diciamo le miserie, i segni di decadenza, di decomposizione, di morte di Venezia. Quindi invece di un criterio estetico ci siamo fatti guidare da un criterio polemico e lo confessiamo apertamente prima di cominciare. Abbiamo voluto dimostrare ai telespettatori quale tragedia di morte, non più lenta, ma anzi direi galoppante incombe su Venezia. Non sappiamo quanti di questi telespettatori prenderanno a cuore la tragedia di Venezia, noi ci auguriamo siano molti, che siano moltissimi perché quello che succede a Venezia non è soltanto la fine di un patrimonio monumentale e artistico di un documento di civiltà unico nel mondo, come del resto tutti sanno, è anche un autentico attentato al nostro rango di popolo colto e civile». Il 12 novembre 1969 la Rai manda in onda, in prima serata e in prima tv, diremmo oggi, la videoinchiesta di Indro Montanelli che punta il dito contro un’Italia piccola, rapace e miope, devota allo sviluppo industriale, indifferente all’inquinamento e alla profanazione dell’ambiente – il petrolchimico di Porto Marghera su tutti – e all’erosione dell’eredità storico artistica unica della Laguna. «Pezzo a pezzo, giorno per giorno la pietra greca di questi spumanti fregi si corrompe e si rompe. Questi pezzi marci vengono tolti perché non cadano sulla testa dei passanti […]: fra poco di queste superbe decorazioni non resterà più nulla», tuona Montanelli mentre scorrono le immagini delle guglie fradice della Basilica di San Marco.

«Questo rapido declino del patrimonio artistico, immenso e inestimabile, veneziano – si chiede il soprintendente Valcanover – è di origine fisiologica oppure è di origine patologica?». Il combinato disposto tra fattori negativi ambientali, come l’umidità ascendente, la condensa e la formazione di cloruri nelle murature, e inquinamento atmosferico è devastante. Capitelli e altari sfarinati, statue sfigurate e mutilate. In una classe politica inetta e responsabile di un «sudario d’inerzia» s’infiltra pure il “nemico” naturale: l’acqua. Moto ondoso, maree, acqua alta soprattutto. Quella del 4 novembre 1966 raggiunge il record di 194 centimetri, e poi si registrano le acque alte del 1968 e del 1979, del 1986 e del 1992, del 2000 e del 2009, fino al 12 novembre 2019 quando si sono toccati i 189 centimetri non senza disagi e danni. Dopo allarmi e denunce, promesse e ritardi, dallo scorso novembre è entrata in funzione la barriera di vetro installata lungo il perimetro della Basilica di San Marco a protezione di marmi e mosaici. Costo dell’opera: circa 5,2 milioni. Sembra funzionare – almeno fino ai 190 centimetri di marea, oltre si vedrà – perché, nelle quattro giornate consecutive di acqua alta ad agosto, il duomo è rimasto asciutto. Non è questo il solo intervento in programma per “impermeabilizzare” la piazza: l’impegno di spesa totale dovrebbe arrivare a 50 milioni. L’ammontare finale e i tempi di realizzazione li scopriremo solo vivendo.

Uno studio di Scott A. Kulp e Benjamin H. Strauss, New elevation data triple estimates of global vulnerability to sea-level rise and coastal flooding, pubblicato su Nature il 29 ottobre 2019, ha sottolineato che «le stime centrali della letteratura recente concordano ampiamente sul fatto che il livello medio globale del mare potrebbe aumentare di 20-30 cm entro il 2050». Secondo il rapporto 2021 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), recentemente citato da Anna Somers Cock sul Sole 24 ore,«l’innalzamento dei mari sarà tra 44 e 76 cm sopra il dato, ma sommato alla subsidenza naturale del territorio veneziano, il livello medio relativo dell’acqua nella laguna raggiungerà circa un metro entro il 2100». Basterà il (tribolato e costosissimo) MoSE?

Indro Montanelli, Corriere della Sera del 22 novembre 1968

Se «Venezia rappresenta la vittoria dell’immortale sul caduco», le immagini mute del 1969, che riprendono dall’alto sterminate discariche a cielo aperto, ciminiere e lembi di laguna abbandonati al degrado, restituiscono il profilo di una città sull’orlo del precipizio. Questo è solo il tassello visivo del lavoro giornalistico di Montanelli, e non è nemmeno il primo del suo “attivismo” a salvaguardia della laguna, quando una coscienza ambientalista collettiva ha ancora da venire. Con La lenta agonia di Venezia, Il saccheggio della laguna, Una città affidata al mondo civile e Per Venezia, pubblicati sul Corriere della Sera tra il 22 e il 26 novembre 1968, comincia la serie di articoli-denuncia che frutterà a Montanelli grande apprezzamento tra i veneziani e qualche grana con la politica locale: il degrado ha nomi e cognomi. «L’inchiesta scritta e filmata di Indro Montanelli su Venezia – ricorda Nevio Casadio, curatore di Indro Montanelli. Per Venezia – fu l’inizio di un grande movimento popolare, istituzionale e politico; fu anche l’inizio di una complicata vicenda giudiziaria che lo vide, insieme ad alcuni esponenti del Fronte per la difesa di Venezia e della laguna, sedere sul banco degli imputati». Questione che si chiude qualche tempo dopo con il ritiro della querela.

Nel 1973 il Parlamento italiano vara la (prima) legge speciale a favore di Interventi per la salvaguardia di Venezia: la difesa della città e della laguna assume l’interesse e l’impegno nazionale; dal 1987, con l’iscrizione nella lista dei siti Patrimonio Mondiale dell’Unesco, l’attenzione è internazionale. Ed è questa sensibilità esterna, rappresentata dal Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, che dal 2014 “minaccia” d’inserire Venezia nella lista dei siti a rischio. Finora tutte le raccomandazioni sono state respinte dal fuoco di fila della diplomazia e delle promesse italiane, ma a Riyad, nel corso della prossima riunione in programma dal 10 al 25 settembre 2023, la pratica tornerà sul tavolo. Il 30 novembre 2022 il governo italiano ha inviato un report nel quale sono elencate le misure e l’avanzamento dei lavori in relazione alle preoccupate osservazioni che l’Unesco aveva già in più occasioni evidenziato. «Lo Stato (italiano) non ha risposto all’invito a collaborare all’elaborazione delle misure correttive e, in risposta alla varia corrispondenza del Centro del Patrimonio Mondiale, ha fornito una breve relazione il 14 febbraio 2023» a cui è seguito un altro aggiornamento il 26 aprile 2023. Tuttavia le parole, contenute nel documento preparatorio ai lavori di Riyad, sono chiare e dure: «I risultati riportati relativi alla gestione sostenibile del turismo attraverso modifiche normative e strumenti di gestione sono positivi, ma l’efficacia dei progressi compiuti (in particolare nella riduzione del numero eccezionale di turisti) sembra essere bassa o sconosciuta. Il mantenimento del divieto per le grandi navi nel bacino di San Marco – canale della Giudecca è appropriato, e la ricerca di nuove opzioni dovrebbe essere presa in considerazione. Il Comitato dovrebbe chiedere che i risultati degli studi correlati (sull’impatto ambientale delle grandi navi che passano attraverso il canale Malamocco-Marghera) e l’esito del concorso (per i punti di attracco al di fuori della Laguna per le grandi navi passeggeri e le navi portacontainer) siano inviati al Centro del Patrimonio Mondiale per essere esaminati e commentati dagli organi consultivi prima di prendere decisioni irreversibili». Il Comitato riconosce gli sforzi messi in campo, in particolare dopo l’acqua alta del 2019, e il maggiore coordinamento degli enti preposti alla tutela di Venezia ma «le misure correttive proposte, allegate al rapporto sullo stato di conservazione presentato, sono attualmente insufficienti e non sufficientemente dettagliate e dovrebbero essere oggetto di ulteriori discussioni e scambi». È tutto qui: «gli effetti del continuo deterioramento dovuto all’intervento umano, tra cui il continuo sviluppo, gli impatti del cambiamento climatico e il turismo di massa minacciano di causare cambiamenti irreversibili. Alcuni di questi problemi di lunga data hanno già portato al danneggiamento delle caratteristiche intrinseche del sito e dei suoi attributi, soprattutto in relazione alla sua identità e integrità culturale e sociale».

In attesa di capire quale direzione prenderà il dibattito in Arabia Saudita, concludiamo questo breve racconto con Gianni Berengo Gardin. Gli appostamenti tra il 2012 e il 2014 e i suoi scatti in bianco e nero delle Grandi Navi, che solcano il canale della Giudecca e il bacino di San Marco annichilendo la città, sono ormai patrimonio visivo collettivo. Nell’estate 2015 il sindaco Luigi Brugnaro, a poche settimane dall’inaugurazione, fa saltare Mostri a Venezia, la mostra a Palazzo Ducale da tempo concordata e organizzata dalla Fondazione Musei Civici: il racconto dei mali – reali – si scontra, un’altra volta, con la politica locale. Secondo il primo cittadino le fotografie di Berengo Gardin avrebbero veicolato un’immagine negativa di Venezia (sic!). Scende in campo il FAI – Fondo Ambiente Italiano che mette a disposizione il Negozio Olivetti e il 22 ottobre 2015 Venezia e le Grandi Navi apre al pubblico. Il clamore (e lo sdegno), la prestigiosa cornice dello spazio progettato da Carlo Scapa con affaccio sul salotto di Piazza San Marco e la potenza degli scatti decretano il successo del lavoro di Berengo Gardin.

«Di fronte a queste fotografie – scrive Andrea Carandini in apertura del catalogo – si capisce innanzitutto che Venezia non è modernizzabile nel senso in cui normalmente è stato inteso il moderno: come frattura insanabile con la tradizione; è ciò, per la straordinaria fragilità palafitticola della città e per le mura orizzontali che la circondano […]. Alla cultura antologicamente estetica di un bello striminzito deve subentrare la cultura contestualmente storica di un bello significativo, allargato a tutto l’umano: etica, ambiente e paesaggio compresi. Solo per questa via sarà possibile un mutamento non sradicato, in armonia con i nostri geni culturali, sapendo accogliere quando è adatto e proporzionato a noi e scartando il resto».

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