La bellezza e la tutela dell’architettura contemporanea, gli ultimi progetti di Paolo Portoghesi

Si è spento lo scorso 30 maggio all’età di 91 anni nella sua casa di Calcata, appena due mesi prima, il 5 aprile, aveva partecipato a un dibattito per la conservazione del moderno e il progetto contemporaneo a partire dal suo “Manifesto di Casa Papanice”

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Architetto che rifiutava l’appellativo di archistar, teorico dell’architettura, è stato uno dei maggiori esponenti del post modernismo, «un movimento combattuto, rifiutato in blocco dal razionalismo imperante. E nasceva proprio come Movimento che si voleva allontanare dall’ortodossia, ambiva ad avere la libertà di muoversi in direzioni diverse», diceva – come riportato dall’Ansa – in occasione di quella che probabilmente è stata una delle sue ultime apparizioni pubbliche, lo scorso 5 aprile. Storico e critico, docente e preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, ha insegnato anche alla Sapienza di Roma dove nel 2007 ha avviato il corso di Geoarchitettura nel 2007, un’idea di architettura umanistica ripresa da Le Corbusier e rielaborata in un’ottica di rispetto della natura e del genius loci. Accademico dei Lincei, presidente dell’Accademia di San Luca e presidente nel decennio 1983-1992 della Biennale di Venezia, è stato il primo direttore del settore architettura dal 1979 al 1982: iconica la mostra internazionale del 1980, quella di Strada Novissima.

Appena diffusa la notizia della morte di Paolo Portoghesi, e nell’immediatezza dei giorni successivi, è stato unanime il cordoglio trasferito sui giornali e i social, non dentro coccodrilli di circostanza ma in pezzetti di vita e pensieri di affetto e stima: «Condividevamo la stessa antipatia per Bruno Zevi, del resto da lui ricambiati», ha scritto Renato Barilli su Artribune. «Nel mondo degli architetti, spesso proclivi al disdegno dell’opera altrui, Portoghesi si è distinto per la pacatezza mostrata verso chiunque proponesse opere di qualità: un atteggiamento ben rappresentato nel suo volume I grandi architetti del ‘900, in cui non privilegia gli appartenenti a una scuola, ma cerca di dare un sunto significativo delle tante sensibilità che si sono succedute, accostate e contrapposte nel XX secolo. Un atteggiamento di rispetto tra l’altro ravvisabile nel fatto che, da buon maestro, ha privilegiato e sostenuto allievi e giovani architetti (pensiamo per esempio a Paolo Zermani) a prescindere dal fatto che seguissero un approccio progettuale simile al suo», così Leonardo Servadio su Avvenire. «Abilissimo organizzatore, Portoghesi ha avuto sempre chiaro che non si può fare cultura di successo operando come cani sciolti o, peggio, in contrasto dalla politica. Da qui il suo coinvolgimento con il partito socialista di cui diventa uno dei membri dell’Assemblea Nazionale durante la segreteria di Bettino Craxi. Tanto da essere considerato l’architetto di fiducia del politico milanese. Quando le fortune di quest’ultimo declineranno con Tangentopoli, non cesserà di flirtare con il potere e con politici di altro orientamento che lo apprezzeranno per il suo stile tradizionalista e, allo stesso tempo, favolistico», ha ricordato Luigi Prestinenza Puglisi, ancora su Artribune. Per Alessandro Panci – dall’Ansa – è stato «un amico, un Maestro e un intellettuale che ha contribuito a difendere la bellezza, sempre».

Lucido e attivo fino alla fine, negli ultimi tempi stava terminando di scrivere un libro sulla bellezza, si era preoccupato del destino della tenuta di Calcata, un piccolo borgo nel viterbese alle porte di Roma, dove insieme alla moglie Giovanna Massobrio, architetta a sua volta, aveva costruito il suo ideale di architettura umanistica all’interno di un parco che nel 2017 era stato dichiarato “il più bello d’Italia”. Lunga e importante la lista dei progetti che ha visto realizzati: Casa Baldi, il teatro di Catanzaro e il restauro della piazza del Teatro della Scala di Milano, gli edifici residenziali dell’Enel di Tarquinia e l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, la moschea di Roma e quella di Strasburgo e la Sacra Famiglia a Fratte, in provincia di Salerno. E molti altri. «Dovendo scegliere tre opere che mi rappresentano, indicherei la chiesa della Sacra famiglia a Salerno, la piccola chiesa di San Cornelio e Cipriano a Calcata e la moschea di Roma – raccontava qualche anno fa all’Ansa – ma i progetti sono un po’ tutti figli, ogni tanto li vado a trovare».

Casa Papanice a Roma (Foto di Edmondo87 – Wikimedia).

Portoghesi era indignato e molto amareggiato per il degrado che aveva avvolto Casa Papanice: commissionata da Pasquale Papanice e costruita a Roma tra il 1966 e il 1968, su progetto suo e dell’ingegnere Vittorio Gigliotti, socio dello Studio di Porta Pinciana, era stata riconosciuta dagli studiosi di tutto il mondo come un capolavoro simbolo dell’architettura postmoderna, e scelta come set cinematografico per tanti film della commedia all’italiana, tra cui il Dramma della Gelosia di Ettore Scola con protagonisti Monica Vitti, Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini. Recentemente aveva scritto insieme a Edmondo Papanice, nipote del committente e custode del suo archivio, un Manifesto per Casa Papanice e ne avevano discusso il 5 aprile 2023 in un dibattito pubblico presso Palazzo Canova a Roma: a nulla erano valsi i richiami e i tentativi di vincolarlo, e il villino doveva essere il simbolo per innescare finalmente un processo di tutela e conservazione delle opere architettoniche contemporanee. «Si è parlato tanto di come reagire allo scempio e alla distruzione dell’architettura moderna» – aveva “tuonato” Portoghesi, come riportato dall’Ansa – ma la burocrazia amministrativa e «gli architetti stessi non sembrano essere molto sensibili al tema della difesa dell’architettura: lo stesso Ordine non ha mai mosso un dito per questa battaglia».

Ora che Paolo Portoghesi è morto chi raccoglierà il suo testimone?

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