Optime valere? Sulla valutazione economica dei beni culturali e delle opere d’arte

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La parte migliore del valore è la discrezione

(W. Shakespeare)

Questo è il periodo in cui si possono leggere vari report sull’andamento del mercato dell’arte, riferiti all’anno precedente (2023). Abbiamo sottolineato più volte come questo ambito sia difficile da cogliere perché sfugge, di fatto, alle predizioni calcolistiche e non, riservando spesso interessanti sorprese. Le opere di Picasso, Klimt e Basquiat sono sul podio tra quelle che hanno raggiunto il più alto prezzo di aggiudicazione all’asta a livello mondiale, rispettivamente 136.600.200, 99.204.300 e 61.704.700 euro. Cifre stellari se paragonate a quelle del mercato nazionale, dove le opere che hanno toccato i valori più alti in asta sono di Fontana, Morandi e Canova, rispettivamente 2.589.000, 1.318.500 e 1.034.800 euro.

El Gran Espectaculo (The Nile), l’opera di J.M. Basquiat, venduta all’asta lo scorso anno per 67.110.000 di dollari.

Tutte opere d’arte, tutti beni culturali? La domanda è volutamente provocatoria perché rimanda a un aspetto di tutela del patrimonio culturale che non possiamo trascurare, in quanto fondato sui pilastri della conoscenza e della corretta comunicazione, dell’educazione, della protezione, della promozione e dello sviluppo culturale.

Le opere di cui si è qui riferito, vendute a cifre astronomiche, irraggiungibili per la maggior parte delle tasche degli individui che popolano questa Terra, che cosa sono? È un percorso di comprensione che va al di là dell’assegnazione di un valore dato dal mercato, destinato a pochi e danarosi clienti. Si può coniugare questa componente valoriale con la valutazione? Non si può fare a meno di pensare, con l’intento di spiegare, al caso del Salvator Mundi attribuito a Leonardo, il dipinto che è stato battuto alla cifra record di 450.300.000 dollari (diritti d’asta compresi): un valore che è quadruplicato, tenuto conto degli standard di valutazione mercantile, degli attributi e dell’eccezionale paternità. Una vicenda che ha fatto discutere sotto vari aspetti: l’autenticità, l’origine, la provenienza, l’opacità delle procedure e delle trattative commerciali. Non sono del tutto certo che questi aspetti abbiano agito, pesato davvero, sul complesso di valori riassunto, di fatto, dal prezzo/valore di mercato.

Purtroppo non esiste un ente accreditato a livello internazionale deputato a quotare le opere d’arte. Il mercato dell’arte è controllato dalle case d’asta, da poche gallerie d’arte di fama e da alcuni trust finanziari che operano ormai da anni sul web e che hanno compreso come sia strategico investire in arte, anche attraverso i più innovativi strumenti (per esempio, bitcoin, blockchain), per diversificare i patrimoni mobiliari e ottenere introiti rilevanti che, talvolta, non sono facilmente tracciabili dai vari regimi fiscali. Queste plusvalenze, nel nostro paese, sono tassabili con un aliquota imponibile del 26%. Ragione per cui il mercato interno è tra i meno appetibili a livello mondiale; se poi si considera anche la legge di tutela con riferimento alla circolazione dei beni culturali il gioco è fatto.

Detto ciò, vanno considerati vari metodi per calcolare il valore delle opere. Per i dipinti (pittura bidimensionale) vi è il coefficiente attribuito all’artista e moltiplicato per la somma delle dimensioni dell’opera pittorica. Bisogna tenere conto altresì degli elementi fondamentali ascrivibili all’autore e all’opera. L’importanza di un artista, il suo coefficiente, è la risultante di varie componenti tra le quali: la galleria di riferimento, la critica che ne scrive, le mostre e le collezioni/esposizioni (nazionali o internazionali, pubbliche o private), le pubblicazioni, l’adesione a un movimento artistico, eventuali premi. Con riferimento all’opera è invece fondamentale considerare: il soggetto, il periodo di realizzazione, le peculiarità (unicità, rarità, committenza, storicità), lo stato conservativo e le dimensioni.

Su tutto questo sistema aleggia lo spettro della falsificazione che, non è difficile intuirlo, riguarderà, come sempre, gli artisti più considerati e quotati. Qui si innesta l’annosa disputa delle attribuzioni, innanzitutto sui soggetti che le rilasciano: anche in questo ambito non vi è una regolamentazione chiara, univoca. Sappiamo bene ormai che copisti e falsari esistono dalla notte dei tempi, anche se li distingue la motivazione che presiede la loro attività. Non è di certo censurabile eticamente l’allievo che si ispira al maestro o al passato per realizzare le proprie creazioni. Non tollerabile è invece colui che, scientemente, produce dei falsi per farne commercio, mettendo in atto tutta una serie di raggiri finalizzati a ottenere un arricchimento illecito.

Un caso paradigmatico, su questo versante, è rappresentato dalle due versioni di Giuditta e Oloferne, oltre quella arcinota di “Palazzo Barberini”, attribuite in origine a Caravaggio. Una comparsa nel 2014 in Francia, fuoriuscita da una soffitta di un’abitazione privata di Tolosa, considerata oltralpe di interesse nazionale, stimata oltre 150.000.000 di euro, per cui è stata proposta perfino in asta. L’altra attribuita, successivamente, al pittore fiammingo Louis Finson, che si sarebbe ispirato all’opera omnia del genio lombardo per dipingere la sua (attualmente è esposta a Napoli, nelle collezioni permanenti delle Gallerie di Italia, con questa ultima attribuzione). I dubbi permangono, in ossequio alla lezione di Socrate.

Non ci addentreremo oltre, anche perché non è così agevole ottenere dati idonei a elaborare e sviluppare un’analisi da proporre e diffondere su basi rigorose. Si pensi a quei beni che rientrano potenzialmente tra quelli culturali, diversamente dagli strettamente artistici: oggetti di lusso, manufatti, design, fotografia, documenti archivistici e musicali. Non da meno i beni di provenienza orientale, che hanno una propria peculiarità e una considerazione diversa dal punto di vista culturale. I beni cinesi antichi, per esempio, negli ultimi anni, sono comparsi sorprendentemente anche sul mercato nazionale, raggiungendo valori e aggiudicazioni ragguardevoli. Un fenomeno che meriterebbe un approfondimento.

La questione si complica se ci addentriamo nell’orbita dei reperti archeologici che, nel nostro paese, godono di particolare tutela e che nel resto del mondo sono proposti e venduti con circospezione. Interessante, per certi versi sorprendente, apprendere come la valutazione dei reperti archeologici e paleontologici si rifaccia a una regolamentazione ministeriale risalente al 1994, c’era ancora la lira. Alcuni enti, a livello regionale, hanno pubblicato un tariffario per stime in euro o lo stanno elaborando per renderlo attuale. Su questo aspetto sarebbe importante evolvere e ricercare sistemi adeguati ed efficaci: si confida nella progettualità lungimirante e nella capacità di trovare e destinare finanziamenti ad hoc.
Sarebbe opportuno perciò l’impiego di uno strumento universalmente riconosciuto, di un tariffario che costituisca un primo supporto che preveda tutte le categorie rintracciabili sul suolo nazionale. Un fondamento sul quale operare con percentuali in aggiunta o in diminuzione partendo dal valore indicato. Banalmente uno stesso oggetto può avere valori diversi a seconda di chi lo valuta e/o lo perizia. Non essendovi una base condivisa diventa dirimente, per accogliere o meno la valutazione, ad fortiori in ambito giudiziario, rendere accettabile e solida la metodologia con cui, a titolo esemplificativo, il perito ha calcolato il valore. La metodologia deve essere chiara, valutata nelle sedi deputate da soggetti qualificati e, soprattutto, super partes.

Lo spettro del falso si “accompagna bene” con quello della ricettazione, del riciclaggio che, come già accennato su queste pagine, rappresentano le frontiere dei crimini culturali che si prefigge di contrastare, in maniera più incisiva, l’impianto giuridico entrato in vigore con l’adozione del Trattato di Nicosia. Abbiamo più volte affrontato questi argomenti, facendo emergere come sia complesso pervenire anche a una verità giudiziaria. La difficoltà di accertare l’autenticità di un’opera, la sua effettiva circolazione, le vicende possessorie e la provenienza delittuosa. Presupposti che, in astratto, attesa la qualità di bene culturale, prevedrebbero la confisca e/o la distruzione qualora se ne dovesse appurare la falsità, il frutto dato dall’illecito arricchimento e/o dal riciclaggio, l’illecita esportazione/importazione.
Nondimeno, sappiamo come a volte ciò non accada, lasciando le questioni e il dibattito sospeso tra opinioni contrapposte. Pensiamo al caso dei Modigliani esposti a Palazzo Ducale, al Papiro di Artemidoro, al Crocifisso falsamente attribuito a Michelangelo (caso Gallino) per citarne alcuni. Su alcuni casi il giudice (peritus peritorum, sic!) si è pronunciato senza nominare a sua volta un esperto; a volte non si è arrivati nemmeno al dibattimento, generando situazioni poco limpide in termini di giustizia e quasi d’irrisione alla dimensione culturale. È doveroso comprendere e spiegare: non ci si deve scandalizzare – a priori – di fronte a un’opera non autentica ma è invece fondamentale svelare il motivo per cui è stata realizzata.

Infine, con l’entrata in vigore del decreto del Ministero della Giustizia n. 109 del 4 agosto 2023, dopo decenni, è stata rivista la regolamentazione dei consulenti tecnici d’ufficio. Vedremo se questa normativa migliorerà la situazione dell’attuale congerie che, in ambito più vasto, riguarda consulenti, esperti, fondazioni e periti delle camere di commercio, liberi professionisti con i più disparati curricula. Queste figure, all’occorrenza, sono chiamate, a vario titolo, a pronunciarsi nelle sedi commerciali, extragiudiziali e giudiziali attraverso autentiche, certificazioni, expertise, perizie e valutazioni. Un ginepraio dove non è semplice addentrarsi, che talvolta ha messo in luce soggetti incompetenti, esperti di tutto ed esperti di nulla si potrebbe dire, collegati a interessi particolari, orientati a facili guadagni a discapito di clienti sprovveduti. Non parliamo poi dei casi di corruzione, false perizie e frodi processuali.

Il mercato dell’antichità/d’arte è insidioso, lo è sempre stato. Non è un caso che la commercializzazione dei beni antichi o usati, d’arte, nel nostro paese, sia soggetta a normative specifiche, di pubblica sicurezza, tendenti a facilitare i controlli sulla filiera di provenienza, obbligando gli operatori di settore a compilare appositi registri coerenti con le autorizzazioni concesse in via amministrativa. Va però precisato che non è obbligatorio dotare un’opera d’arte delle certificazioni, ma solo consigliato. Quest’ultima cautela tuttavia è auspicabile, in un’ottica di due-diligence, di trasparenza commerciale, che potrebbe essere rilevante in caso di controversie contrattuali e/o giudiziarie. Anche per questi motivi i falsi individuati andrebbero studiati, con rigore critico, metodo scientifico e pubblicati. L’arte e la cultura sono fondamentali per conoscere sé stessi e il mondo che ci circonda. Sono le medicine, meglio dire la cura idonea a restituirci la salute delle menti e dei cuori, di cui si sente urgente necessità.

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