A Roma il nuovo Museo della Forma Urbis
La grande pianta della città incisa su marmo in Età Severiana torna visibile dopo quasi 100 anni con l’apertura a Roma del Parco Archeologico del Celio e il nuovo Museo della Forma Urbis
Una mappa marmorea originale della Roma Antica presentata in modo da essere perfettamente leggibile e una sorprendente collezione di materiali epigrafici e architettonici inseriti in uno scenario mozzafiato. È quanto si potrà vedere con l’apertura al pubblico del Parco Archeologico del Celio e del nuovo Museo della Forma Urbis sito al suo interno, che sono stati inaugurati dal sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri, dall’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor, e dal sovrintendente capitolino ai Beni Culturali, Claudio Parisi Presicce.
Parco e Museo – la cui apertura si deve a una serie di interventi condotti sotto la direzione scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale – sono parte di un vasto progetto di valorizzazione dell’intera area del Celio, inquadrata in seno al più ampio programma di riqualificazione del Centro Archeologico Monumentale (CArMe) voluto da Roma Capitale.
Il Parco Archeologico del Celio occupa il settore settentrionale del colle, un’area verde orientata verso il Colosseo e all’interno della quale sussistono importanti evidenze archeologiche, come le fondazioni perimetrali del tempio del Divo Claudio. Grazie al recupero degli edifici presenti nell’area, la Casina del Salvi e l’ex Palestra della Gil, e alla sistemazione del contiguo giardino archeologico, in cui sono stati organizzati per nuclei tematici una grande quantità di materiali epigrafici e architettonici di grandi dimensioni delle collezioni dell’ex Antiquarium Comunale, provenienti dagli scavi di Roma di fine Ottocento, i visitatori avranno una nuova straordinaria opportunità per approfondire la conoscenza della Roma antica.
Aprire al pubblico il giardino è il primo passo di un programma che, grazie agli interventi giubilari, porterà all’allestimento completo dei reperti e all’apertura al pubblico della Casina del Salvi, che tornerà ad avere la sua funzione originaria di coffee-house e al contempo ospiterà anche una delle nuove Aule Studio di Roma.
All’interno del Parco, nell’edificio dell’ex Palestra della Gil, è allestito il nuovo Museo della Forma Urbis, che custodisce i frammenti rimasti della celebre Forma Urbis Romae, la gigantesca pianta marmorea della Roma antica incisa tra il 203 e il 211 d.C. sotto l’imperatore Settimio Severo. Si tratta di una delle più rare e importanti testimonianze della città antica che i visitatori torneranno ad ammirare dopo quasi un secolo. L’ultima esposizione complessiva degli originali è stata infatti realizzata tra il 1903 e il 1924 nel giardino del Palazzo dei Conservatori; poi, fino al 1939 alcuni nuclei significativi sono stati visibili nell’Antiquarium del Celio.
La Forma Urbis era esposta originariamente sulla parete di un’aula nel Foro della Pace che fu in seguito inglobata dal complesso dei SS. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano. Era incisa su 150 lastre di marmo applicate alla parete con perni di ferro e occupava uno spazio di circa 18 metri per 13. Dopo la scoperta nel 1562, molti frammenti della grande mappa marmorea andarono perduti, mentre alcuni sono stati fortunosamente ritrovati nel corso del tempo. Oggi resta circa un decimo del totale della pianta originale. Dal 1742 è parte delle collezioni dei Musei Capitolini.
Il nuovo allestimento del Museo della Forma Urbis consente una piena fruizione della pianta marmorea da parte dei visitatori, favorendo la leggibilità di un documento che, per ingombro e condizioni frammentarie, si presta poco a una comprensione immediata. Sul pavimento della sala principale del museo sono collocati i frammenti della Forma Urbis, sovrapposti, come base planimetrica, alla Pianta Grande di Giovanni Battista Nolli del 1748. Gli spazi interni dell’edificio museale ospitano anche una consistente scelta del materiale architettonico e decorativo dell’ex Antiquarium Comunale.
Il Parco Archeologico del Celio si può visitare tutti i giorni a ingresso gratuito. Il Museo della Forma Urbis resta invece chiuso il lunedì e prevede un biglietto d’ingresso, salvo per i possessori della MIC Card che possono accedere gratuitamente anche allo spazio museale. I servizi museali sono a cura di Zètema Progetto Cultura.
Questo progetto si inserisce in una più ampia trasformazione del colle del Celio e dell’intero Centro Archeologico Monumentale, a cominciare da alcuni interventi di grande significato: a breve saranno avviati i lavori di consolidamento e recupero dell’ex Antiquarium Comunale, che porranno fine a un abbandono quasi secolare dell’edificio. Inoltre, l’area verde del Celio sarà riqualificata nella vegetazione, nei percorsi, negli affacci verso il Palatino e nelle connessioni con l’area del Colosseo, mediante un progetto a cura del Dipartimento Tutela Ambientale.
Infine, la Nuova Passeggiata Archeologica, lungo via di San Gregorio, connetterà il Parco del Celio con il Centro Archeologico Monumentale.
INFORMAZIONI
Parco Archeologico del Celio e Museo della Forma Urbis
Ingressi:
Viale del Parco del Celio 20 – Viale del Parco del Celio 22 – Clivo di Scauro 4.
Orari:
Il Parco Archeologico del Celio è aperto tutti i giorni dalle 7.00 alle 17.30 (ora solare) e dalle 7.00 alle 20.00 (ora legale). Chiuso il 25 dicembre e il 1° maggio. Il Museo della Forma Urbis è aperto dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 16.00 (ultimo ingresso un’ora prima). Chiuso il lunedì, 25 dicembre, 1° maggio.
Tariffe:
Parco Archeologico del Celio: ingresso gratuito
Museo della Forma Urbis: Intero Non Residente € 9,00 – Ridotto Non Residente € 6,50; intero Residente € 6,50 – Ridotto Residente € 5,50; ingresso gratuito con la MIC Card.
È possibile acquistare il biglietto d’ingresso online tramite il call-center 060608, con diritto di prevendita € 1 oppure presso la biglietteria del Museo. L’acquisto in biglietteria di biglietti per date successive è consentito solo con carta di credito con diritto di prevendita € 1.
Per maggiori informazioni: 060608 (tutti i giorni ore 9.00-19.00) – www.sovraintendenzaroma.it
Cenni storici sul Parco Archeologico del Celio e il giardino
Il Parco del Celio è il frutto di una serie di interventi e di passaggi di proprietà succedutisi nel tempo: dalla cinquecentesca Vigna Cornovaglia alla nuova morfologia provocata dalle colmate di terra provenienti dagli scavi napoleonici dell’area del Colosseo e del Foro. Sul terrapieno artificiale così formato si sviluppò un’ampia zona alberata e a verde presso il Colosseo, sistemata a giardino e nota come Orto Botanico. Esso nasce come “passeggiata pubblica” nell’ambito di un progetto affidato da papa Gregorio XVI all’architetto Gaspare Salvi (1835).
Il Salvi progettò, in relazione alla “passeggiata pubblica”, un edificio a ridosso delle strutture del Tempio del Divo Claudio, che doveva servire da punto di ristoro. La posizione della Casina del Salvi, ispirata funzionalmente alla “coffee-house” del Pincio progettata dal Valadier, impose l’orientamento dei viali all’interno dell’area. Nella terrazza della Casina del Salvi, oggetto di recenti indagini archeologiche, sono documentate le testimonianze del passaggio dell’acquedotto claudio-neroniano e altre opere idrauliche. Sia la Casina del Salvi che il Parco circostante sono pervenuti nel patrimonio comunale con Motu Proprio di Pio IX nel 1847.
L’altro edificio, Ex Palestra della Gioventù Italiana del Littorio, si colloca nella parte più meridionale dell’area; ultimata nel 1929, la Palestra andava a sostituire tre capannoni in muratura allineati, dotati di servizi, realizzati nel 1901, anno nel quale l’edificio entrò nel patrimonio comunale. L’ampia area verde che connette i due edifici è oggi attraversata da viali che testimoniano la storica “passeggiata pubblica”.
Oggi il Parco si presenta diviso in due grandi aree da viale del Parco del Celio, dove transita la linea tranviaria realizzata nel secondo dopoguerra. Nell’area settentrionale del Parco si trova appunto l’edificio dell’Ex Antiquarium Comunale, che fu costituito come Magazzino Archeologico Comunale nel 1884 e poi divenne sede museale come Antiquarium dal 1929 fino al 1939, quando diventa inagibile a causa dei gravi problemi strutturali causati dai lavori sulla linea della metropolitana.
Attualmente nel giardino è collocata una moltitudine di reperti archeologici, architettonici ed epigrafici, in una suggestiva giustapposizione di elementi. Essi sono il risultato dei grandi scavi di fine Ottocento per la realizzazione di Roma Capitale e precedentemente conservati nell’Ex Antiquarium Comunale. Una grande quantità di reperti fu recuperata durante gli sterri per la creazione dei nuovi quartieri della Capitale, specialmente sull’Esquilino, sul Quirinale, sul Viminale.
Oltre ai nuovi quartieri di edilizia residenziale si crearono nuove infrastrutture, si aprirono nuove vie centrali, si edificarono nuove imponenti sedi governative, ministeri, caserme, banche e lo stesso Parlamento. Mai prima di allora il tessuto della città antica era venuto in luce in modo così esteso restituendo una moltitudine di reperti. Questi, oggi organizzati in nuclei tematici, conducono il visitatore ad approfondire aspetti chiave per comprendere la Roma antica nel quotidiano. Sono approfonditi aspetti della vita sociale attraverso le scelte dei diversi ceti sociali di rappresentare il proprio status nella sfera funeraria: da piccoli cippi sepolcrali alle tombe monumentali di ricchi senatori, come quella di Servio Sulpicio Galba.
Nel settore dedicato al sacro emerge il senso del divino nelle modeste are dedicate alle divinità del pantheon romano e nei più grandi templi pubblici, come il tempio dei Castori nel Foro Romano. Si possono cogliere le differenze, dimensionali e qualitative, nella contrapposizione fra edifici pubblici e privati attraverso una selezione di grandi frammenti provenienti da diversi edifici pubblici della città, basi di statue onorarie collocate in contesti sia pubblici che privati.
Sono esposte diverse testimonianze della presenza amministrativa di Roma sul territorio: dai cippi di delimitazione dell’alveo del Tevere agli ampliamenti del pomerio della città antica, fino ai cippi con le indicazioni delle aree di pertinenza degli acquedotti. Le testimonianze più numerose e imponenti riguardano il gusto architettonico antico e raccontano il modo di costruire e decorare gli edifici e dall’altro le tecniche impiegate per la lavorazione dei marmi. Un nucleo di manufatti introduce infine al tema del reimpiego e della rilavorazione, un fenomeno grandemente pervasivo che non si arresta con l’antichità ma che attraversa tutta la storia architettonica della città.
Cenni storici sulla Forma Urbis
La Forma Urbis severiana è stata realizzata tra il 203 e il 211 d.C., tra l’anno della costruzione del Septizodium – il ninfeo monumentale che troviamo rappresentato nella pianta – e quello della morte di Settimio Severo, che è menzionato su una delle lastre insieme al figlio maggiore, il futuro imperatore Caracalla. Originariamente era esposta sulla parete di un’aula nel Tempio della Pace, che fu in seguito inglobata dal complesso dei SS. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano. La parete su cui la pianta era affissa corrisponde all’odierna facciata della Basilica.
Lo studio delle tracce presenti sulla parete ha consentito di ricostruire ingombro e dimensioni della Forma Urbis: la pianta era incisa su 150 lastre di marmo applicate alla parete con perni di ferro e occupava 18 x 13 m circa. Realizzata quando le lastre erano già montate sulla parete, fu ricavata da un grande rilevamento catastale della città, riprodotto in modo semplificato, ed è orientata, secondo l’uso romano, con il Sud-Est in alto e non il Nord. Si tratta di uno dei più rari documenti giunto a noi dall’antichità, che restituisce un panorama unico del paesaggio urbano di Roma antica. Nella sua integrità, su di una superficie di quasi 235 mq erano rappresentati circa 13.550.000 mq di città antica attraverso una moltitudine di sottili incisioni che raffiguravano le planimetrie degli edifici di Roma, a una scala media di circa 1:240. Considerata la posizione, la difficile leggibilità e la generale assenza di dettagli, è probabile che la pianta marmorea avesse, più che una finalità pratica, una funzione di propaganda e di celebrazione del potere, fornendo all’osservatore una visione generale della città e dei suoi grandiosi monumenti, le cui sagome erano facilmente individuabili anche grazie all’uso del colore.
Dopo la scoperta nel 1562 e la lunga permanenza a Palazzo Farnese (1562-1741), molti frammenti andarono perduti e dispersi. Le lastre finirono in parte frantumate e usate come materiale da costruzione per i lavori farnesiani del Giardino sul Tevere. La pianta marmorea è entrata a far parte delle collezioni dei Musei Capitolini dal 1742. Quello che rimane oggi è circa un decimo del totale della pianta. Delle centinaia di frammenti, da piccole schegge a settori di lastra con interi quartieri, solo circa 200 sono stati identificati e idealmente collocati sulla topografia moderna.
[Fonte: Zetema].
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