L’impegno italiano, istituzionale e accademico, nel contrasto al traffico illecito di beni culturali

Lo scorso 14 novembre a Roma, nella duplice cornice della Sala della Fortuna del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e dell’Odeion presso il Museo dell’Arte Classica dell’Università La Sapienza, si è tenuta la prima edizione del Simposio – La prospettiva italiana. Stato dell’Arte, in occasione della Giornata Internazionale contro il traffico illecito di Beni Culturali, istituita dall’UNESCO nel 2020

(Tempo di lettura: 8 minuti)

di Manuela Ferrari e Nadia Pedot

L’evento, voluto e organizzato da The Journal of Cultural Heritage Crime, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza – Università di Roma e il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, è stato un’occasione importante per mettere a fuoco i punti di vista di coloro che, a vario titolo, sono impegnati quotidianamente nell’informazione e nella formazione, nella prevenzione e nel contrasto ai crimini contro il patrimonio culturale nazionale.

I lavori del mattino hanno preso avvio con la relazione di Valentino Nizzo, direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, che ha sottolineato come l’uscita illegale dei beni culturale fosse un tema attuale già alla fine dell’Ottocento e che Felice Bernabei, fondatore del Museo, avesse cercato di individuare delle soluzioni.

Serena Epifani, archeologa e direttore del Journal, ha introdotto e moderato la prima sessione, ponendo l’accento sulla necessità di celebrare la Giornata del 14 novembre, istituita dall’UNESCO nel 2020 nel 50° anniversario della firma della Convenzione di Parigi, per ricordare il primo strumento di diritto internazionale per la protezione dei beni culturali in tempo di pace. Fondamentale è comunicare, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica circa l’evoluzione questo fenomeno, anche perché la criminalità organizzata ha dimostrato di saper diversificare i propri canali di scambio e di essere in grado di sfruttare le nuove opportunità offerte dalla rete.

Il titolo di questa prima edizione del Simposio nasce, purtroppo, dalla consapevolezza che l’Italia sia un po’ indietro rispetto ad altri Paesi nell’affrontare questo tema nelle università: i luoghi dove si formano i nuovi professionisti non si sono ancora dotati di corsi di studio strutturati e interdisciplinari. Indispensabile è dunque una riflessione comune e un lavoro d’insieme. La stessa esigenza è stata sottolineata anche da Claudia Carlucci, direttrice del Polo Museale Sapienza e docente del Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza – Università di Roma.

Anna Bottinelli, direttrice della Monuments Men and Women Foundation con sede a Dallas in Texas, per l’occasione ha inviato un video messaggio in cui ha sottolineato l’importanza di rendere questa Giornata un appuntamento fisso dedicato alla sensibilizzazione. Ha ricordato l’operato degli uomini e delle donne dell’unità Monumenti durante la Seconda Guerra Mondiale e l’impegno cruciale per recuperare circa 5 milioni di oggetti sottratti dai Nazisti. Bottinelli ha tuttavia posto l’attenzione su una criticità che ancora oggi sussiste, nonostante i mezzi a disposizione: spesso non si conosce ciò che è stato sottratto perché scavato illecitamente o semplicemente perché non è mai stato catalogato, e quindi non si sa cosa ricercare.

Il contributo di Stefania Bisaglia, della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, e Lia Montereale, dell’Ufficio Circolazione del Ministero della Cultura, ha preso spunto dall’analisi della Convenzione UNESCO del 1970, ne ha ribadito gli obiettivi e le modifiche che negli anni sono state apportate ad alcuni articoli. L’accento è stato posto sul valore del certificato di esportazione: fondamentale, ma da solo non è sufficiente a garantire e dimostrare la liceità della provenienza degli oggetti. Solo gli uffici di Milano, Torino, Venezia, Roma e Napoli sono autorizzati a emettere tale licenza.

Lorenzo D’Ascia, in rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato, ha illustrato come l’Avvocatura sia impegnata nel dirimere contenziosi non risolvibili attraverso il canale della diplomazia culturale. È di supporto al Ministero della Cultura e al Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale nella funzione consultiva su quesiti giuridici e interviene nei contenziosi per tutelare i beni culturali.

Il Ten. Col. Paolo Salvatori, a capo della sezione Archeologia del Comando Carabinieri TPC, ha ripercorso le tappe e i successi di questo speciale reparto, istituito nel 1969 e alla dirette dipendenze del Ministro della Cultura. In questi 54 anni di attività operativa sono stati recuperati complessivamente 3.139.151 beni culturali (dato aggiornato al 31 agosto 2023), di cui 1.693.017 beni librari e archivistici, 978.707 reperti archeologici, 296.739 reperti paleontologici e 170.688 oggetti d’arte; sono 1.368.276 i falsi sequestrati, 27.181 le persone denunciate e 1.444 quelle tratte in arresto. Nel settembre 2023 si è costituita una nuova sezione denominata Cyber Investigation al fine di essere maggiormente presenti e operativi sulla rete. Salvatori ha inoltre presentato lo SWOAD – Stolen Works of Art Detection System che consente di analizzare più velocemente il web e il deep web. Infine, ha sottolineato l’importanza della Legge 22/2022 che ha autorizzato le attività sotto copertura anche per crimini, come il riciclaggio, nell’ambito dei beni culturali.

Subito a seguire, Tiziano Coiro, coordinatore della Works of Art Unit di INTERPOL e già comandante della sezione Arte Contemporanea e Falsificazione dei Carabinieri TPC, ha offerto una panoramica sul complesso lavoro di conduzione dei 195 Paesi che fanno parte di Interpol e sulla fondamentale attività di acquisizione ed elaborazione delle informazioni relative alle opere rubate da ricercare che confluiscono nello Stolen Works of Art Database, uno strumento che, previo la creazione di un proprio account personale, può essere utilizzato anche dal comune cittadino.

L’intervento di Marina Schneider, Senior Legal Officer e Treaty Depositary di UNIDROIT, ha chiarito come la Convenzione UNIDROIT per i beni rubati e illecitamente esportati abbia un ruolo di unificazione del diritto internazionale e sia complementare a quella dell’UNESCO nel colmare un vuoto normativo nella sfera privata.

I contributi di Rachele Dubbini, dell’Università degli Studi di Ferrara, di Arianna Traviglia, direttrice del Centre for Cultural Heritage Technology (CCHT) – Istituto Italiano di Tecnologia, e Riccardo Giovanelli, Università Ca’ Foscari e CCHT, presidente di Art Crime Project APS, hanno completato i lavori della mattinata e hanno toccato nuove questioni, irrisolte e in divenire. Dubbini ha offerto una sintesi dettagliata e puntuale sulla controversia non ancora conclusa circa la restituzione dell’Atleta di Fano  oggi esposto presso il J. Paul Getty Museum di Malibu – e del legame che la città marchigiana ha stretto con l’opera. Travaglia ha evidenziato come le nuove tecnologie, digitali e diagnostiche, permettano di creare un sistema di analisi utile a mappare le connessioni esistenti tra tutto ciò che ruota intorno al traffico dei beni culturali. L’argomento è stato approfondito e chiarito da Giovanelli attraverso lo studio del caso Steinhardt.

Grazie alla generosa ospitalità del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, i relatori e i partecipanti al Simposio hanno potuto godere di una speciale visita guidata, a cura del direttore Nizzo, alla mostra Spina etrusca a Villa Giulia. Un grande porto nel Mediterraneo inaugurata pochi giorni prima.

Il Simposio è poi ripreso nel pomeriggio presso il Museo dell’Arte Classica dell’Università La Sapienza con la visita alla mostra Caere. Storie di dispersione e di recuperi, allestita nella sezione di Etruscologia e che ospita il recuperato cratere con la firma del famoso ceramografo e ceramista attico Euphronios. I lavori sono proseguiti nell’Odeion con Luca Zamparo, dell’Università degli Studi di Padova, che ha ribadito l’importanza della comunicazione per far conoscere il fenomeno: i traffici illeciti di beni culturali non hanno mai subito forti rallentamenti, nemmeno durante la pandemia di Covid.

Marcello Guaitoli, docente dell’Università del Salento, ha offerto una relazione su Arpi e Salapia come esempio di siti archeologici a rischio di scavi clandestini e di distruzioni. Gabriele Cifani, docente dell’Università di Roma Tor Vergata, ha invece illustrato un caso particolare che, a differenza di molti altri, ha permesso il recupero delle urne etrusche trafugate, l’individuazione dello scavo clandestino e la ricostruzione del contesto storico – topografico relativo all’Ipogeo dei Cacni, presso Perugia, grazie alla collaborazione tra Carabinieri TPC, Soprintendenza e lo stesso Cifani nell’Operazione Ifigenia.

Claudia Carlucci Laura Maria Michetti, docenti di Etruscologia e Archeologia italica presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza – Università di Roma, hanno ripercorso le fasi del progetto di ricognizione delle antiche città etrusche depredate da scavi ottocenteschi, che hanno contribuito alla dispersione del loro patrimonio. L’iniziativa è stata avviata lo scorso anno, anche in intesa con la Soprintendenza, attraverso una serie di seminari e una mostra su Vulci ed è proseguita nel 2023 con Cerveteri. La piattaforma digitale Vulci nel Mondo è nata invece dalla collaborazione tra la Sapienza e un privato che ha finanziato il primo database che raccoglie i reperti archeologici provenienti dall’area di Vulci, ora disseminati nei musei e nelle collezioni italiane e internazionali.

La giornata si è infine conclusa con la partecipazione di Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini, archeologi già funzionari ministeriali in servizio presso l’Ufficio Sequestri, che hanno presentato due casi irrisolti. Il primo riguarda 15 reperti archeologici più altri sospetti, casualmente individuati nel 2005 presso il Museo arqueológico nacional de España a Madrid, e riconducibili all’archivio fotografico Medici-Becchinasui quali Rizzo e Pellegrini hanno a lungo lavorato al fianco del compianto Paolo Giorgio Ferri, già procuratore aggiunto a Roma. La seconda vicenda pendente ha per oggetto un cratere a campana, decorato con scene dei Proci e scavato presumibilmente a Cuma: acquistato nel 1985, senza alcuna indicazione di provenienza, è tuttora esposto al Louvre di Parigi.

Prossimamente sarà disponibile in formato digitale un numero speciale di The Journal of Cultural Heritage Crime contenente le relazioni complete di questo primo Simposio.

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