Quando il furore bacchico incontra la furia dei trafficanti

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Un reperto archeologico, un’opera d’arte, in quanto prodotto materiale di una cultura, è in grado di raccontare una storia. La storia di chi l’ha ideato, creato, di chi gli ha dato un valore simbolico, religioso, ideologico. La storia del luogo in cui è stato trovato, del percorso compiuto per arrivare sino a noi.
Ma che vicenda si può celare dietro una Menade e un Sileno? Si tratta di due figure associate al culto di Dioniso, dio per eccellenza della festa sfrenata e del rinnovamento del ciclo della Natura: la prima, una donna che danza appassionatamente in posa estatica, il secondo un incrocio tra un ovino e un uomo, emblema dell’alito vitale della Natura. Immagini della potenza della Natura, della frenesia orgiastica tra il fragore dei cembali, dell’ebbrezza e dell’entusiasmo.
Questa intrinseca energia luminosa può, tuttavia, servire a raccontare una storia che non appartiene al passato remoto ma a un passato più prossimo, dalle tinte non sempre chiare. Come nel caso dell’antefissa policroma con Menade e Sileno attualmente esposta presso i locali del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo nella mostra Il Mondo salverà la bellezza?

La locandina della mostra.

Si tratta di un oggetto in terracotta che doveva adornare le travi di un tetto o le testate delle tegole in un tempio etrusco-italico. L’antefissa è un elemento piuttosto diffuso nel mondo antico che, pur plasmato utilizzando materiali poveri, riveste un ruolo importante per il suo valore di opera d’arte. Il manufatto dai vividi colori risale al V sec. a.C. e proviene da scavi clandestini dell’area di Cerveteri. Come spesso accade nell’iconografia classica, l’oggetto raffigura una menade con una lunga veste e un satiro barbuto nell’atto di abbracciarla in quanto oggetto del suo desiderio.

L’antefissa con Menade e Sileno in Mostra a Castel Sant’Angelo.

La storia del ritrovamento di questo manufatto è utile per approfondire le tecniche di riciclaggio dei reperti messe in atto dai trafficanti. La provenienza illecita dell’antefissa è stata accertata grazie al confronto con delle polaroid presenti nel celebre archivio del noto trafficante italiano Giacomo Medici. Dalla terra l’oggetto finisce nelle mani di Medici per poi essere venduto, tramite il mercante americano Robert Hecht, ai ricchi fratelli Hunt. Nel 1990, l’antefissa viene messa all’asta alla Sotheby’s di New York e acquistata dal mercante inglese Robin Symes. Nel corso della stessa giornata il manufatto viene venduto ai collezionisti Fleischmann.
Queste dinamiche descrivono un noto espediente usato per ripulire l’oggetto dal suo oscuro passato e fornire un falso passaporto, che ne attesti la finta legalità dell’acquisto. I trafficanti, i cui nomi sono ormai tristemente famosi, usano le case d’asta per non comparire nelle trattative di vendita. L’oggetto poi finisce nella mani di facoltosi privati alla ricerca di opere d’arte per ingrandire le loro collezioni. Una volta che la raccolta raggiunge adeguate proporzioni, viene organizzata un’esposizione presso un prestigioso museo di fama internazionale. È così che, nel 1993 l’antefissa viene data in prestito al J. Paul Getty Museum di Malibù per una mostra dedicata alla collezione Fleischmann. Due anni dopo lo stesso museo ne formalizza l’acquisto allo stesso prezzo della vendita iniziale. Dopo un lungo peregrinare, a seguito degli attesi accordi tra il nostro Stato e il museo americano, nel 2007 l’antefissa viene restituita all’Italia.
Grazie al sequestro degli archivi fotografici di Medici a Ginevra, nel 1995, è stato possibile confrontare l’antefissa con Menade e Sileno con altre due gemelle anch’esse rinvenute a Cerveteri e accertarne, così, la provenienza.

Le polaroid dell’archivio Medici.

Queste ultime terracotte sono state acquistate dalla NyCarlsberg Gliptotek di Copenhagen. Nel 2016 lo Stato Italiano firma un accordo con il museo danese a seguito del quale, l’anno successivo, le opere sono state restituite. La scoperta dell’archivio Medici ha permesso di sferrare un duro colpo alla tratta delle opere d’arte provenienti da scavi clandestini perpetrati in Italia.


Questa è la storia che si può celare dietro un reperto dalla fattura apparentemente semplice, caratterizzato da una iconografia molto comune nell’immaginario antico, ma dal grande valore culturale per noi uomini moderni. La mostra a Castel Sant’Angelo si propone di raccontare il lavoro delle diverse figure professionali e istituzionali che si adoperano nella giornaliera battaglia per il recupero e la salvaguardia dei nostri beni culturali. Lo scopo è quello di infondere la cultura della tutela che costituisce il primo passo per compiere il cambiamento necessario a contrastare i crimini contro il patrimonio culturale. La peregrinazione compiuta dall’antefissa con Menade e Sileno è uno dei tanti esempi di moderni nostoi di quelle opere d’arte e reperti archeologici che sono stati trafugati dal territorio nazionale privandoci di una parte del nostro passato e della nostra identità.

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