Furti di violini durante la Seconda Guerra Mondiale

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L’annosa questione dei beni culturali depredati durante la Seconda Guerra Mondiale è stata affrontata nel 1998 quando furono stabilite le guidelines per la restituzione dei beni trafugati in epoca nazista, meglio conosciute come Washington Principles on Nazi-Confiscated Art, ed è stata arricchita nel recente passato dalla Risoluzione per la restituzione transfrontaliera dei beni d’arte razziati durante i conflitti armati e guerre  del Parlamento europeo del 17 gennaio 2019. Secondo fonti consolidate, durante la Seconda Guerra Mondiale, oltre cinque milioni di opere d’arte passarono di mano, direttamente requisite dal Reich o cedute per pagare la Reichsfluchsteuer. Di questo esteso patrimonio non fanno parte solo opere d’arte pittorica (si ricorderà, tra i casi citabili oggetto di restituzione, i 6 quadri Kilmt del 2006 nella causa Altman Bloch-Bauer/ Repubblica d’Austria, o la natura morta di Jan van Huysum trafugata a Firenze nel 1944 e restituita alla Galleria degli Uffizi nel 2019), ma anche un nutrito numero di strumenti musicali ad arco. Di questo gruppo fa parte anche un violino cremonese Giuseppe Guarneri “filius Andreae” del 1706.

Un Guarneri “filius Andreae”.

La storia risulta interessante: sottratto dai nazisti ad un negoziante ebreo di strumenti musicali, il violino è da anni al centro di una disputa tra gli eredi del negoziante ed una Fondazione tedesca che oggi risulta proprietaria del bene musicale in forza di un lascito testamentario.

Il proprietario del violino era stato fino al 1939 Felix Hildesheimer, il quale lo aveva acquistato nel 1938 dal negozio di strumenti musicali Hamma & Co. di Stoccarda. Poco dopo, a causa delle sue origini ebraiche e per le leggi razziali, Hildesheimer fu costretto a vendere la sua casa e il suo negozio di musica. Non essendo riuscito ad avere un visto per fuggire in Australia e terribilmente angosciato per il proprio futuro, Hildesheimer si tolse la vita il primo agosto 1939. Anche il destino di sua moglie fu profondamente segnato, sebbene e per fortuna, con un lieto fine: internata dai nazisti nel campo di prigionia di Gurs, nel sud della Francia, riuscì a fuggire negli Stati Uniti assieme alle due figlie.

Un funzionario del ghetto di Lódz registra i violini portati alla banca del ghetto. I violini confiscati furono successivamente preparati per la spedizione in Germania (Foto: Archivi dell’Istituto Yivo per la ricerca ebraica, New York).

Del violino si persero le tracce dal 1939 al 1974 fino a quando la violinista Sophie Hagemann (1918-2010) di Norimberga, coniugata col compositore Franz Hofmann ucciso al fronte nel 1945, lo ha acquistato regolarmente e in buona fede in un negozio di musica di Colonia. Dopo la sua morte, nel 2010, il violino cremonese è diventato proprietà della Fondazione “Franz Hofmann e Sophie Hagemann”, che sostiene e promuove la formazione di giovani musicisti. Cinque anni fa, nel 2016, la Limbach Kommission, ovvero la commissione fondata nel 2003 che si occupa della restituzione dei beni sottratti alla famiglie ebree dal Reich applicando i “Principi di Washington”, si era pronunciata a favore dei familiari di Hildesheimer: la Fondazione Hofmann-Hagemann avrebbe potuto tenere lo strumento a fronte di un risarcimento ai discendenti di Hildesheimer, calcolato come equo indennizzo nella somma di 100.000 euro. Se nonché nei quattro anni successivi la Fondazione Hofmann-Hagemann non ha ottemperato all’accordo raggiunto presso la Limbach Kommission asserendo che il violino fu spontaneamente venduto da Felix Hildesheimer e quindi non può essere ricompreso tra i beni forzatamente ceduti per pagare la Reichsfluchsteuer. Da questo impasse pare si possa uscire solo con una vendita all’asta del bene musicale che potrebbe ridare credibilità alla Limbach Kommission gravemente colpita da imbarazzo poiché, da una parte non ha poteri legali e svolge solo una funzione di mediazione, e dall’altra le sue decisioni a favore dei discendenti degli ebrei spogliati dei loro beni dai nazisti sono spesso ostacolate da un quadro normativo che tende a proteggere la buona fede degli “ultimi” acquirenti.

Una vicenda che, come direbbe Charles Dickens, dopo di più di 80 anni fa vibrare corde nel cuore umano che sarebbe meglio non far vibrare.

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