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Dipinti e sculture, gessi, ceramiche, bronzi e marmi, mosaici, vetrate e arazzi, progetti e bozzetti, mobili e arredi, gioielli e abiti, fotografie e video, tutto racconta di quella stagione, tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo del Novecento, in cui Palermo è stata laboratorio di arti e maestra di eleganza fino a diventare, secondo Leonardo Sciascia, una «piccola capitale dell’Art Nouveau». Sono circa 500 i pezzi, in prestito da collezioni e archivi, pubblici e privati, che offrono – scrivono i curatori – «uno spaccato di ampio respiro e un affondo critico su una stagione felicissima» che in architettura porta la firma di Giuseppe Damiani Almeyda, Giovan Battista Filippo Basile e Francesco Paolo Palazzotto, e quella di Ernesto Basile e del marchio Ducrot nei mobili, precursori italiani del design e fornitori degli arredi per il Parlamento, e il traino degli artisti formatisi alla scuola di Francesco Lojacono che hanno contribuito a saldare il sodalizio tra architetti, artisti e artigiani.

Il Liberty palermitano è un lavoro corale di linee, sperimentazione e indipendenza che incontra l’apprezzamento e le commissioni di una borghesia imprenditoriale illuminata, come quella della famiglia Florio, e si sviluppa in un periodo di benessere economico e culturale dove trovano spazio e compimento il Teatro Politeama Garibaldi (1891, benché fosse stato inaugurato nel 1874 ancora privo della copertura), il Teatro Massimo Vittorio Emanuele (1897) e il Cinema Massimo (1923). La convergenza tra profili di fermento creativo, visione e capitali trasformano la città e la concezione, e dunque l’uso, degli spazi interni delle dimore private. Solo l’orrore e i capovolgimenti della Grande Guerra ne arrestano il flusso, segnano l’inizio della fase discendente e la fine di una epoca, “l’età dell’oro” appunto.

La mostra a cura di Cristina Costanzo, Massimiliano Marafon Pecoraro ed Ettore Sessa si potrebbe riassumere in due parole: orgoglio e coraggio. La varietà e la ricchezza degli oggetti e dei documenti, scovati ed esposti, dimostra una conoscenza della materia che solo lo studio approfondito e l’amore orgoglioso della propria città riesce a muovere e a mettere insieme pezzi da 70 diverse collezioni. Questo spiega anche l’esistenza di un nutrito Comitato scientifico, presieduto da Maria Concetta Di Natale, che affianca i curatori e di cui fanno parte Danilo Maniscalco, Eleonora Marrone Basile, Raffaello Piraino e Dario Russo. E poi il coraggio di andare avanti, di non nascondere la polvere sotto al tappeto, di “mettere in piazza” e di raccontare anche il disastro della furia iconoclasta che per un trentennio, dal 1953 al 1980, si è scagliata sulle architetture eclettiche e liberty, un periodo buio comunemente conosciuto come il “sacco di Palermo”.

Il salvataggio e il restauro della Pupa del Capo, un raffinato mosaico raffigurante Demetra, opera di autore sconosciuto che nel cuore del mercato del Capo decorava il piedritto d’ingresso del panificio Morello, è una goccia nel mare delle ruberie e degli abbattimenti: «Palermo Liberty. The Golden Age si pone fra gli obiettivi – scrivono – quello di accendere i riflettori su un patrimonio diffuso, che ha subito tragiche distruzioni e continua a essere oggetto di dispersioni». E così, dopo aver danzato nel piano nobile di Palazzo Sant’Elia, tra pavimenti maiolicati e soffitti affrescati, in un crescendo di pezzi iconici e testimonianze parlanti, si sale al piano cadetto per i Cadaveri “architettonici” eccellenti svelati dai materiali del C.R.I.C.D. – Centro Regionale Inventario, Catalogazione e Documentazione. Villa Lanza Deliella di Ernesto Basile e il Villino Castellano-Orlando di Ernesto Armò, entrambi demoliti nel 1959; il Villino Bocchi-Salerno, sempre di Armò, demolito (circa) negli anni Sessanta; il Villino Fassini anch’esso progettato da Ernesto Basile, demolito nel 1964; il Villino Geraci-di Pisa di Salvatore Li Volsi Palmigiano e Gaetano Geraci, demolito nel 1969; Palazzo Russo-Radicella di Salvatore Benfratello, demolito nel 1976; il Villino Di Chiara dell’Impresa Michele Utveggio, demolito nel 1980; queste sono solo alcune delle residenze spazzate via dalla rapace – e mafiosa- avidità della speculazione, sostituite da casermoni per lo più di edilizia popolare, pensati male e costruiti peggio. Villa Rutelli, su progetto di Antonino Mora, anch’essa demolita nel 1969, è forse il più fulgido esempio dello scempio architettonico, e in questo caso anche artistico, compiuto a Palermo: in mostra proiettate le gigantografie dell’esterno e degli ambienti interni, il salone con camino, il grande scalone ligneo con le volte affrescate e la stanza da letto padronale, andati perduti per sempre.

Il progetto espositivo targato Fondazione Sant’Elia, ideato e coordinato da Antonio Ticali, con l’allestimento curato da Silvia Cattiodoro e Calogero Vinci e le installazioni video di Calogero Sorce, si configura come una proposta solida per qualità scientifica, quantità e qualità dei pezzi e onestà critica. Non una novità, in vero, ma una conferma che segue l’affascinate azzardo di Mario Schifano. I’m on fire! Opere dalla Collezione Ovidio Jacorossi restituite dal fuoco (20 dicembre 2021-31 marzo 2022). Se tutti gli ingranaggi, istituzioni e singoli, pubblici e privati, insieme a contenuto e contenitore, funzionano, convincono e affollano una inaugurazione (solo su invito), resta aperta un’ultima sfida: quella con i palermitani. Riempiranno le sale?

Palermo Liberty. The Golden Age al Palazzo Sant’Elia di Palermo, via Maqueda 81, fino al 30 maggio 2024. Aperto al pubblico dal martedì al sabato con orario 9:00-20:00, la domenica con orario 10:00-20:00, ultimo ingresso ore 19:00.

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