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Le ultime notizie risalgono al 23 luglio scorso. Nella circostanza, le agenzie di stampa internazionali, hanno riferito di un pesante bombardamento missilistico russo, consumatosi nottetempo, a scapito di Odessa. Tra i tanti edifici danneggiati vi è stata anche la Cattedrale della Trasfigurazione, il più importante edificio di culto ortodosso della città, principale porto ucraino e capoluogo dell’oblast’ omonima. Durante questa azione scellerata, purtroppo, hanno perso la vita due persone e vi sono stati decine di feriti gravi.

Odessa, Ucraina (Foto: wikipedia).

Il conflitto in Ucraina, secondo quanto riportato dall’Unesco, ha comportato al danneggiamento di 248 monumenti, alcuni dei quali completamente distrutti, con un danno economico stimato al patrimonio culturale di circa 2,4 miliardi di euro. Cifra enorme, ma che non descrive e non spiega di fatto il danno effettivo ed incommensurabile procurato a queste testimonianze civiltà. L’Unesco, dal canto suo, tra mille difficoltà, ha cercato di porre rimedio a questa situazione, assai complessa sotti vari aspetti. Nel gennaio 2023, con una procedura speciale d’emergenza, ha inserito nella lista dei beni protetti, il centro storico di Odessa in cui sono compresi, oltre la suddetta cattedrale, i seguenti edifici/monumenti:

  • Casa del Muro
  • Casa Russov
  • Ex Borsa valori
  • Hotel Passage
  • Teatro dell’Opera
  • Palazzo Bžozovs’kyj
  • Palazzo Potoc’kych
  • Scalinata Potëmkin

Il centro storico della città, che si affaccia superba sulle rive del mar Nero, fa parte di quei contesti considerati, tra 1700 e 1800, come la “Nuova Russia”. Sono stati numerosi gli artisti e gli architetti, compresi diversi italiani, a realizzare, in piena libertà, opere (in particolare dipinti) e costruzioni in stile neoclassico e neo rinascimentale, tra questi: i napoletani Francesco Frapolli e Francesco Francesco Boffo, che ha progettato e costruito una tra le scalinate più famose al mondo, intitolata Grigorij Aleksandrovič Potëmkin (1739-1791), valoroso esponente dell’esercito al servizio di Caterina di Russia.

Dopo questa breve parentesi storico-artistica, per ritornare al nocciolo del tema dell’ articolo, giova ricordare, che in base al diritto consuetudinario internazionale e conformemente alla previsione del II Protocollo addizionale alla Convenzione dell’Aia del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, la distruzione mirata di beni culturali, che non siano impiegati per scopi militari durante i conflitti armati (esterni ed interni), costituisce un crimine di guerra, perseguibile avanti ai tribunali nazionali dei paesi aderenti. Su questo versante si è innescato il dibattito riguardante la possibile espulsione della Russia dall’UNESCO, a seguito del rinvio, nel 2022, del WHC che avrebbe dovuto riunirsi nella città russa di Kazan. Nel novembre 2022, l’ambasciatore russo Kuznetov ha rassegnato le proprie dimissioni dalla Presidenza del Comitato del Patrimonio mondiale UNESCO. Da più parti si è detto che questa strategia, più che punitiva per la Russia, sia di fatto un ulteriore impedimento alle attività dell’organizzazione sovranazionale che, da oltre 50 anni, porta avanti le istanze condivise di una convenzione firmata da 194 nazioni.

Tuttavia, molti esperti sono concordi nel sostenere, come il paradigma UNESCO sia di fatto in messo in seria discussione. I fatti portano a sostenere l’ipotesi secondo cui il patrimonio culturale, ormai sia considerato sempre più un elemento tra gli assetti di potere, anche in ambito di conflitti internazionali. In buona sostanza sembra stia prendendo piede l’idea di un patrimonio sempre più su scala nazionale, perfino nazionalista, a discapito di un sistema fondato sulla cooperazione tra stati. È evidente che questo fenomeno, qualora dovesse affermarsi, rovescerebbe completamente il concetto di patrimonio mondiale sostenuto dall’UNESCO. Ed è indubbio che questo stato di cose infici, se non precluda tout court, un possibile dialogo istituzionale di alto profilo. Sappiamo bene come le argomentazione culturali a conforto delle trattative diplomatiche, se affrontate e portati avanti in maniera corretta e costruttiva, possano essere molto utili a schiudere possibili orizzonti di dialogo e pacificazione.

Il conflitto, nonostante alcune premesse e pareri iniziali, era stato ritenuto da diversi analisti ed esperti definibile in breve durata, purtroppo continua tuttora. Altre vite umane saranno dunque sacrificate, altri beni culturali verranno distrutti, a spregio della vita, dei diritti umani e delle regole dell’UNESCO. È lecito perciò domandarsi quando sarà possibile, al netto degli interventi di prima emergenza, condotti sul posto da vari enti tra cui i volontari, ripartire con un programma mirato di ricostruzione dei siti culturali post crisi. I tempi saranno lunghi, atteso che questo tipo di operazioni, dall’alto contenuto specialistico, saranno realizzabili solo in un contesto di “cessate il fuoco” e stabilizzato dal punto strategico militare e socio-politico. Dovranno essere reperiti ed impiegati ingenti capitali, che un paese devastato come l’Ucraina non può certamente produrre autonomamente, a fronte del pressoché completo annullamento delle risorse umane ed economiche. Un processo che andrà sostenuto da altri paesi e organizzazioni e dovrà vedere come protagonisti gli ucraini, che dovranno ricucire queste ferite laceranti alla loro identità culturale.

Non possiamo evitare perciò di ripensare, in una modalità più appropriata e meno scanzonata di quella fantozziana, alla scalinata Potëmkin, palcoscenico eletto per rappresentare un evento tragico, immortalato nella nota pellicola di Ėjzenštejn, risalente a quasi un secolo fa. Quei fatti sanguinosi, tra ricostruzione storica e finzione creativa, pongono l’accento sull’origine di un nuovo movimento rivoluzionario che sfocia in un’azione promossa per contrastare i soprusi di un regime dispotico, come quello zarista dei primi del ‘900. Sono i primordi della rivoluzione russa, che ha generato più di due milioni di morti. Fatte le debite differenze, dobbiamo purtroppo ammettere che la realtà contemporanea non è meno cruenta, a dispetto del tempo trascorso e del declamato progresso.

Ci sta davvero a cuore il destino del patrimonio culturale? Teniamo e crediamo davvero nella pace? Le cronache di questi giorni non contribuiscono a renderci troppo ottimisti.

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