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Risale a qualche giorno fa la notizia, divulgata dal Ministero della Cultura, sulla disponibilità on line del Geoportale Nazionale per l’Archeologia (GNA) che offre la possibilità di fruire dei dati delle ricerche archeologiche condotte sul territorio nazionale. Questo lavoro, partito a livello progettuale nel 2017 nell’ambito del programma europeo ARIADNEplus, è frutto di studi e ricerche svolte dall’Istituto Centrale per l’Archeologia (ICA) in collaborazione con le Soprintendenze territoriali, gli enti autorizzati e gli archeologi. Il portale presenta dati riferiti a diverse banche dati archeologiche e consente di selezionare quanto di interesse in base a un sistema di mappatura. Dalla home page del sito, attraverso una specifica interfaccia, si possono consultare:
– dati raccolti con standard GNA;
– indagini in concessione;
– catalogo generale dei beni culturali ICCD;
– altre banche dati.

Un’iniziativa, a dire del MiC, rivolta a tutti i cittadini, non solo ai tecnici, pensata per promuovere la conoscenza del territorio con una modalità aderente ai tempi, semplice, ma allo stesso tempo efficace.
Su questa scelta di massima apertura, si è acceso un dibattito, che abbiamo deciso di affrontare anche sulle pagine social del JCHC: pur riconoscendo a livello pressoché unanime la validità della proposta ministeriale, confermandone parimenti la valenza scientifica, la perplessità emergente riguarda la condivisione di dati che, se utilizzati da malintenzionati – ladri, tombaroli, vandali – potrebbero pregiudicare la sicurezza dei siti. In effetti questa eventualità c’è, inutile negarlo. Purtroppo i fatti di cronaca riferiscono di danneggiamenti quotidiani al patrimonio culturale, compiuti per le più svariate ragioni. Alcuni di questi eventi sono talmente gravi da guadagnare spesso le prime pagine di giornali e tg: sembra quasi che ci si ricordi dell’importanza delle bellezze artistiche solo quando sono bersaglio di aggressioni criminali.

Che fare dunque?

Fondamentale sarà esercitare la vigilanza sui beni censiti dalla piattaforma: è apodittico. La specifica attività richiede tempo e assunzione di responsabilità, ma di fatto può essere esercitata da chiunque, in base alle proprie competenze e possibilità. Il presupposto basilare è dato proprio dalla conoscenza: difficile, se non impossibile, prendersi cura di qualcosa di cui non si ha contezza. Una volta presa coscienza di ciò, sarà necessario essere pro-attivi e mettere in campo le cautele per preservare i siti. Al cittadino comune non è richiesto di fermare gli scavatori abusivi, ladri, vandali: non è obbligato a farlo. Tuttavia segnalare tempestivamente alle forze dell’ordine e alle autorità preposte episodi di incuria o peggio è un atto di sensibilità civica. Tutti ormai disponiamo di un telefono cellulare, per cui accampare scuse sulla mancanza di mezzi non è serio: il numero di emergenza 112 è gratuito ed è attivabile sempre, anche in assenza di credito.

Detto ciò si passa a valutare un secondo livello, quello che compete alle autorità preposte al controllo: Soprintendenze, per la parte tecnica e di tutela, enti locali e forze dell’ordine per l’azione amministrativa e la prevenzione generale. Questo è un aspetto che presenta purtroppo alcune criticità. È noto, da anni, che le Soprintendenze faticano ad esercitare un costante monitoraggio del territorio. La difficoltà è legata dovuta principalmente alla carenza di mezzi e di personale. Sarebbe importante ovviare al più presto, e reperire nuove risorse se davvero si vuole invertire il trend e fornire un servizio adeguato al cittadino e alla migliorare la tutela.

Per quanto riguarda la sfera preventiva ci si riferisce anzitutto alle attività devolute agli apparati statali, in primis Polizia e Carabinieri, alle altre forze che concorrono nel piano di controllo del territorio, polizie locali comprese. Accade sovente che, a fronte di altre esigenze e di emergenze contingenti, l’azione di controllo preventivo non sia abbastanza incisiva per le aree archeologiche, monumentali e paesaggistiche. La tendenza, meglio dire la scelta strategica a livello organizzativo, è quella prioritaria per la prevenzione di condotte illegali e/o pericolose per l’incolumità delle persone così da assicurare una cornice di sicurezza ai vari contesti, per scongiurare il verificarsi di atti che possano turbare l’ordine e la sicurezza pubblica. È un elemento acclarato per cui la stragrande maggioranza dei reati contro il patrimonio culturale emerga a posteriori, ovvero individuato a distanza di tempo dalla commissione del fatto, a volte perfino troppo. Questo gap potrebbe essere colmato se i siti interessati fossero tutti costantemente monitorati da un sistema di video sorveglianza e di allarme integrati, magari anche con la piattaforma GNA. La tecnologia ha gli strumenti idonei, nemmeno così costosi, per predisporre un’azione mirata in tal senso, andrebbero tuttavia valutate alcune questioni legali in termini di privacy e gestione dei contenuti sensibili.

Infine, sarebbe quanto mai opportuno operare sulla formazione e sull’informazione corretta, con particolare attenzione verso le future generazioni. Un investimento per l’avvenire, attuabile con la diffusione di contenuti ad hoc anzitutto a favore delle scuole di ogni ordine e grado. Il fattore umano dovrebbe rimanere al centro di ogni progetto, altrimenti si rischia di non ottenere risultati all’altezza delle aspettative. L’azione politica è determinante, sarebbe d’aiuto un vasto consenso, troppo sarebbe confidare in una coralità e piena condivisione di intenti, in aderenza al dettato costituzionale. Ben venga dunque la fruizione di dati valendosi di GNA, nella speranza sia l’inizio di un percorso segnato da interventi e misure a corollario, utili per tutelare fattivamente, ad un livello consapevole e partecipato, il patrimonio storico-artistico della Nazione.

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