Al Castello di Rivoli in mostra macerie, orrori e arte ai tempi della guerra

“Artisti in guerra” è l’occasione per evocare e comprendere i conflitti, di ieri e di oggi, attraverso le lenti dell’arte: 39 autori e oltre 140 opere riflettono sulla morte e sulla vita di chi resta, fino al 19 novembre 2023

(Tempo di lettura: 5 minuti)

A meno di due giorni dalla dichiarazione di guerra a Gran Bretagna e Francia annunciata dall’Italia, nella notte tra l’11 e il 12 giugno 1940, gli Alleati attaccano Torino: 45 minuti, 44 bombe, 17 morti, 40 feriti, è il bilancio del primo raid aereo della RAF Whitley. La città esce dalla Seconda guerra mondiale profondamente ferita con centinaia di vittime e gravemente danneggiata nel tessuto architettonico e nel patrimonio culturale. La mostra in corso al Castello di Rivoli, alle porte di Torino, parte proprio da qui, dalle macerie, con una serie di fotografie in bianco e nero, che appartengono all’archivio della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, per mostrare le abitazioni della città sabauda rase al suolo, le rovine del Santuario della Consolata, della Chiesa del Carmine e di Palazzo d’Agliano, completamente distrutto tra il dicembre 1942 e l’agosto 1943, della ex Borsa e dei portici di Piazza San Carlo. E ancora i resti della Pinacoteca civica, ospitata nel padiglione ottocentesco progettato da Giuseppe Calderini per la IV Esposizione Nazionale di Belle Arti. Non solo obiettivi militari, edifici delle istituzioni e collegamenti urbani, ma anche musei, chiese e monumenti: i civili e le testimonianze culturali e religiose pagano in tutti i conflitti un prezzo altissimo. E Torino fa la conta dei danni tra soffitti crollati, incendi e superstiti miracolosamente intatti come il Simon Mago di Andrea Gastaldi. Le immagini esposte nell’atrio del terzo piano dialogano con Il bacio di Giuda, la scultura in gesso di Ettore Ximenes mutilata dai bombardamenti del 20 novembre 1942 e allestita insieme alla cassa che finora ha custodito i suoi frammenti: la somma delle parti vale più dell’intero.

La prima sezione si completa con Linguaggio è guerra di Fabio Mauri, artista visivo, scrittore e drammaturgo, fondatore di riviste. Negli anni giovanili, dopo aver preso coscienza degli orrori dell’Olocausto, vive l’esperienza del manicomio e dell’elettroshock. Il trauma lo conduce a una ricerca di nexus tra bellezza e male, ideologia e potere: l’ideologia manipola il pensiero, l’ideologia produce fanatismi, l’ideologia è male. Attraverso una serie di reperti fotografici, raccolti da giornali dell’epoca, su cui l’artista appone un timbro, Mauri ragiona sulla parola come violenza, sul linguaggio bellico, sulla propaganda e modifica la semantica della comunicazione neutralizzando il potenziale avversariale. Dal materiale al concettuale. E questa parte da sola vale la visita.

Ma il valore aggiunto della mostra collettiva, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio, che presenta 39 autori, tra cui Francisco Goya, Salvador Dalí, Pablo Picasso e Alberto Burri, per un totale di oltre 140 opere, è il fil rouge che lega artisti e guerre di ieri con artisti e guerre di oggi. Dalla Guerra d’Indipendenza spagnola all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, passando per la Seconda guerra mondiale, il Vietnam e i Balcani, i conflitti in Medio Oriente, il terrorismo islamico e l’intervento USA per liberare l’Afghanistan dai talebani. Cambiano gli scenari e le armi, ma la ferocia e le atrocità restano uguali a se stesse. Resiste la creatività, come opposizione e testimonianza, come tentativo per preservare l’umanità.

Segnaliamo due lavori, distanti tra loro nel tempo e diversi per medium, ma similarmente di forte impatto storico ed emotivo.

Le foto in bianco e nero di Elizabeth (Lee) Miller, modella e fotografa surrealista, allieva e compagna di Man Ray. Durante il secondo conflitto mondiale è un’acclamata reporter di guerra per Vogue magazine e nel 1945 documenta il primo ingresso dell’esercito americano nei campi di concentramento di Buchenwald, il 12 aprile, e Dachau, nella mattina del 30 aprile. È la fine di un incubo per i sopravvissuti a sevizie e torture. Sue sono le immagini dei forni, iconica è la fotografia di lei, scattata il pomeriggio del 30 dal collega David Sherman, mentre si lava, come a togliersi di dosso «tutto il male del mondo», nel bagno dell’abitazione di Hitler a Monaco di Baviera. Nello stesso giorno il Führer si toglie la vita nel bunker di Berlino: la fotografia di Sherman si consegna al racconto della Storia e offre lo spunto per il romanzo La vasca del Führer di Serena Dandini. La mostruosità che Miller incontra in Germania segnerà la sua esistenza fino alla fine.

David Sherman, Lee Miller in Hitler’s bathtub, Monaco di Baviera, 30 aprile 1945.

L’installazione in site specific di Nikita Kadan, The Shelter II (2023), è l’ideale prosecuzione dell’opera del 2015, dedicata al Donbass, e realizzata in occasione della XIV Biennale di Istanbul. L’artista trae ispirazione dalle immagini della guerra in Ucraina e ricrea la forma di un rifugio antiaereo: al piano superiore un muro di libri, a protezione dei bombardamenti, al di sotto una tomba, sul fondo il calco in bronzo di una mano di Kadan a ricordo del massacro di Buča. La monumentalità dell’intervento, 5 metri e mezzo per 5 metri e mezzo per 2 e mezzo di profondità, la risemantizzazione di un simbolo di cultura e conoscenza, l’oscurità totalizzante e la tragicità bruciante del presente fanno del lavoro di Kadan uno dei tasselli più toccanti della mostra.

Castello di Rivoli, Artisti in guerra, fino al 19 novembre 2023
Aperture: mercoledì – venerdì ore 10:00-17:00, sabato e domenica ore 11:00-18:00
Maggiori informazioni qui.

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