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La tua voce come il coro delle sirene di Ulisse m’incatena
Ed è bellissimo perdersi in quest’incantesimo
(F. Battiato)

È da un po’ di tempo che assistiamo, con viva e vibrante soddisfazione, al rimpatrio di numerosi reperti archeologici che, in un passato più o meno recente, sono stati scavati illecitamente nei nostri territori e venduti in giro per il mondo a facoltosi quanto vanesi collezionisti, a volte perfino ad importanti musei, soprattutto negli Stati Uniti. Fin qui tutto regolare, si fa per dire. Le istituzioni nazionali preposte alla tutela sembrano aver lavorato bene. Tuttavia si sono accese delle polemiche, coincise con l’esposizione al pubblico di questi reperti in occasione di conferenze stampa organizzate in luoghi ad hoc. Si pensi al Museo dell’Arte Salvata al Planetario delle Terme di Diocleziano.


Il Museo dell’Arte Salvata alle terme di Diocleziano, Roma (Foto: M.Ferrari).

Sono contesti d’elezione, dove gli organizzatori sono soliti sciorinare la loro bravura, parlando di pregio dei reperti, delle difficoltà affrontate durante le indagini e delle procedure connesse alla restituzione sul canale diplomatico. Si soffermano sui valori economici, che hanno sempre un certo appeal sui media ma anche su coloro che, presi da foga patriottica, si limitano a una visione superficiale di queste dinamiche.
Nel gennaio di quest’anno sono stati presentati in quel contesto, indicato come una collocazione di passaggio, 60 reperti per un valore indicato in 20 milioni di dollari (non euro, sic!). Tra questi reperti, in gran parte vascolari, vi era il noto gruppo scultoreo di Orfeo e le Sirene che è stato in seguito destinato al Museo Nazionale Archeologico di Taranto, dove rimarrà tra le collezioni permanenti appena riallestite.

Quest’opera, ritenuta risalente al IV sec. a.C., sarebbe stata scavata illecitamente alla fine degli anni Sessanta in area tarantina, poi fatta a pezzi per essere illecitamente esportata in Svizzera, dove ha soggiornato per un po’, in attesa di essere ricomposta e restaurata, fino alla vendita negli anni Settanta al Getty Museum di Malibu. Un caso scuola, che presenta tutti i tratti propri della filiera criminale del traffico internazionale di reperti archeologici: scavo illegale, occultamento, intermediazioni per ripulire il pezzo mascherandone origine e provenienza, vendita all’acquirente finale più o meno consapevole. Più di qualche esperto però non si è lasciato intimidire dalle cornici auliche e dal peso degli attori istituzionali coinvolti in prima persona nella diffusione mediatica. Da diverse parti sono arrivati infatti pareri discordanti sull’autenticità della scultura e su altri reperti ritenuti dei falsi evidenti, per lo meno da parte di un occhio esperto.

In effetti questo stato di cose apre a una serie di interrogativi scabrosi. Chi ha studiato e verificato questi beni? Sono stati svolti accertamenti diagnostici? Ha senso esporre reperti di cui non si è certi dell’autenticità?

Le analisi sarebbero state condotte, illo tempore, dal Getty e avrebbero dimostrato l’autenticità del gruppo scultoreo. Questa tesi sarebbe stata confermata successivamente da altri studiosi. Da subito, però, più di qualche esperto ha manifestato dubbi, tanto che il MiC ha annunciato di voler esperire accertamenti più approfonditi, affidando il compito a un gruppo di ricerca altamente qualificato di cui al momento non è dato sapere. Sembra, per certi versi, di aver già sentito di storie analoghe: papiro di Artemidoro semper docet!

È accettabile dare tale risonanza a questi eventi senza essere pienamente certi di ciò che viene restituito? Oltretutto pare sia stata stipulata una polizza assicurativa per il trasporto e il rientro in Italia di questi beni, il cui valore economico non può prescindere da un attento esame e da una corretta valutazione inseriti in uno specifico condition report. Non è possibile sottoscrivere un contratto assicurativo basandosi su formule dubitative o su espressioni, come nel caso di falsi accertati a posteriori, “qualora immesso sul mercato come autentico”. Una copia di un bene d’arte dichiarata ha un valore diverso, sicuramente inferiore all’originale, tranne rarissime eccezioni. Al di là del caso specifico, sui cui confidiamo sarà fatta massima chiarezza, un oggetto falso non può finire nelle collezioni di un museo, vieppiù statale. Le ragioni a monte sono etiche ma anche di natura giuridica.

A riguardo la normativa codicistica, segnatamente l’art. 178 d.lvo 42/2004, abrogato, prevedeva la confisca e la distruzione degli esemplari contraffatti. L’attuale normativa, dopo la ratifica del trattato di Nicosia, l’art. 518 quaterdecis c.p., prevede la confisca salvo si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato e il divieto, senza limiti temporali, di alienazione nelle aste dei corpi di reato. Sussiste, in ogni caso, la possibilità concreta di dare la giusta collocazione anche agli oggetti falsi che potranno rappresentare qualcosa di prezioso per la ricerca scientifica, ma anche per le future indagini. Vi sono centri di ricerca, in ambito accademico, che hanno sottoscritto collaborazioni con vari enti istituzionali, in primis con le forze di polizia specializzate nel settore, per supportarle nelle indagini su oggetti falsi attraverso le attività di analisi tecniche e di studi storico artistici. È il caso del Laboratorio del falso, istituito nel 2017 dall’Università Roma Tre, che ha creato il primo museo virtuale del falso e una banca dati ad hoc. Analoghe iniziative sono state avviate nel 2022. Nell’ambito delle attività a tutela della sicurezza, finanziate dall’UE, è stato attivato il progetto RITHMS (Research, Intelligence and Technology for Heritage and Market Security – GA 101073932), coordinato dal CCHT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Venezia, che si prefigge di fornire un supporto alle forze di polizia nell’identificazione e monitoraggio dei network criminali coinvolti nel traffico di beni culturali e altre attività illecite nei confronti del patrimonio, falsi compresi. Verrà costituita una piattaforma integrata in grado di analizzare le mole di informazioni provenienti dal web, dai social media e da altre fonti messe a disposizione dalle agenzie di sicurezza di vari paesi aderenti al progetto. Insomma la tecnologia digitale, inclusa la cosiddetta intelligenza artificiale, sarà al centro di questo progetto triennale che, partendo da una visione multidisciplinare e da un’attenta verifica su vasta scala, intende migliorare la collaborazione tra le parti, in vista del conseguimento di obiettivi concreti nella prevenzione e nel contrasto dei reati in pregiudizio della cultura. Al CCHT sono inoltre attivi progetti che grazie ai rilevamenti satellitari sfruttano tecnologie all’avanguardia per censire i siti archeologici e individuare e/o prevenire attività illecite di scavo.

Infine, ampliando gli orizzonti su scenari più estesi in ambito criminologico, legati alla produzione e al commercio di opere false, è bene richiamarsi a un certo di tipo di sensibilità partecipata se non altro per evitare di essere ingannati in termini generali, incappare in problemi legati all’acquisto di opere false, o peggio alimentare – inconsapevolmente – i canali di riciclaggio di organizzazioni criminali dedite al traffico di illeciti di beni d’arte e antichità falsi. È assodato che le esperienze negative, quando ci toccano direttamente, entrando nella sfera personale e nell’ambito della nostra proprietà, sono molto utili per comprende la reale portata del fenomeno e il disvalore di certe condotte. Questa sensibilità, che dovrebbe essere più condivisa, si può riferire ai beni comuni che comprendono anche quelli culturali. Il buon senso ci deve guidare sempre, ma è bene seguire i determinati consigli, approvati anche dalle forze polizia, per esercitare al meglio forme di autotutela che valgono per tutti:

  • verificare che il bene sia munito di certificazione attestante autenticità provenienza e descrizione del bene;
  • acquistare dietro l’emissione di fattura o scontrino fiscale;
  • prima di procedere all’acquisto, controllare l’autenticità del certificato presso l’artista se vivente, l’archivio o l’ente/soggetto autorizzato a tutelare la produzione dell’artista;
  • riscontrare la corrispondenza tra la foto autenticata e l’opera originale;
  • rivolgersi a venditori operanti da lungo tempo sul mercato e che, preferibilmente, abbiano avuto rapporti diretti e stretti con l’artista;
  • diffidare di expertise rilasciati da soggetti non aventi titolo a farlo e rivolgersi nel caso a fondazioni, archivi ed esperti titolati con curriculum certificati e pubblici;
  • diffidare da chi propone il “grande affare”;
  • informarsi sull’attività di produzione dell’artista e sui riferimenti accreditati;
  • seguire l’andamento del mercato, in particolare le quotazioni;
  • evitare figure di intermediari operanti al di fuori dell’ambito ufficiale.

A maggior ragione bisognerà essere molto cauti, ferme restando le procedure amministrative, nel momento in cui si intenda acquistare o acquisire reperti archeologici, a maggior ragione se questi beni siano da destinare a collezioni e musei pubblici. Si rammenta che non è vietata in maniera assoluta la vendita di questi beni, tuttavia devono sussistere tutti i requisiti previsti dalla legge di tutela. Tutto ciò per dire che non può essere gradito qualcosa che viene spacciato per autentico quando non lo è, peggio se viene considerato, presentato ed esposto come un capolavoro. L’accortezza è doverosa e non bisogna dimenticare che la tutela del patrimonio culturale è materia che investe anzitutto lo Stato. Seguendo questa logica basata su un solido sostrato giuridico, si può affermare che: tutti i reperti archeologici sono importanti, qualche reperto archeologico è di origine dubbia, allora tutti i reperti archeologici sono dubbi.

Ricorro al sillogismo, Aristotele mi perdonerà, per sottolineare come alcune considerazioni a volte siano distorte se non del tutto fallaci, pur a fronte di una conclusione vera. Infatti, è possibile pervenire ad una conclusione vera per mezzo di un ragionamento sbagliato. Si può dunque solo sperare, parafrasando Franco Battiato, che il mondo torni a quote più normali. Purtroppo, la primavera intanto tarda ad arrivare.

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