L’implementazione del “model treaty” per la prevenzione dei crimini contro i beni culturali mobili

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Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente impegno per lo sviluppo della cooperazione internazionale e di nuovi strumenti internazionali per la prevenzione e la repressione dei reati contro i beni culturali. Questa tipologia di intervento diretta a costruire un quadro giuridico internazionale efficace e solido vede l’emergere del ruolo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), un’agenzia che fu istituita nel 1997, a seguito della fusione tra il Programma internazionale delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la Divisione per la prevenzione del crimine.

L’UNODC esercita una funzione specifica nel rafforzamento della risposta dell’ordinamento internazionale al traffico di beni culturali a causa del progressivo riconoscimento della natura transnazionale di tale fenomeno e delle condotte criminali ad esso correlate. Tale organo si pone l’obiettivo di contrastare e indirizzare una risposta coordinata e globale ai problemi tipicamente connessi ai fenomeni criminali transnazionali, tra cui la criminalità organizzata, il terrorismo e i crimini ad essi collegati (come il traffico di stupefacenti e la corruzione) e, in ultima analisi, di preservare la salute, la sicurezza e la giustizia, promuovendo la pace e il benessere della comunità internazionale.

In merito al contrasto del traffico di beni culturali, nel corso degli ultimi anni l’UNODC ha assunto un importante ruolo in relazione all’implementazione del Model Treaty for the Prevention of Crimes that Impinge on the Cultural Heritage of Peoples in the Form of Movable Property, elaborato nel corso dell’ottava Conferenza delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento dei rei, tenutasi all’Avana dal 27 agosto al 7 settembre 1990.

A differenza degli altri trattati modello adottati all’Avana, il Model Treaty non è stato accettato da alcuna risoluzione dell’Assemblea Generale. Tale strumento non ha alcun valore giuridico vincolante e rappresenta, dunque, un esempio di accordo, comprensivo di norme che consentono agli Stati di imporre sanzioni e di ottenere il recupero dei beni culturali per impedire la diffusione del traffico di opere d’arte, che potrebbe essere utile nei rapporti tra gli Stati che desiderano rafforzare la cooperazione nella lotta alla criminalità nel settore dei beni culturali mobili. Difatti, il Model Treaty fornisce un testo che gli Stati possono utilizzare come base per stabilire relazioni bilaterali in materia di protezione dei beni culturali mobili, che di fatto sono consentite dall’articolo 15 della Convenzione UNESCO. Tuttavia, la prassi ha dimostrato che il Model Treaty è rimasto sostanzialmente inutilizzato negli anni successivi alla sua adozione.   

La continua evoluzione delle criticità patologiche derivanti dal fenomeno del traffico di beni culturali ha indotto la comunità internazionale a valutare se il Model Treaty possa progressivamente crescere d’importanza e divenire, quindi, uno strumento sempre più utile nel panorama giuridico internazionale.

Con le risoluzioni 2004/34 e 2008/23, entrambe intitolate Protection against trafficking in cultural property, il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) – che svolge un ruolo importante nel coordinamento dei rapporti tra l’ONU e gli istituti specializzati della Nazioni Unite – ha richiamato il Model Treaty, sottolineando l’importanza, per gli Stati membri, di proteggere e preservare il loro patrimonio culturale in conformità con gli strumenti internazionali tradizionali che sono intervenuti sul tema, tra cui la Convenzione dell’Aja del 1954 e i suoi due Protocolli, la Convenzione UNESCO del 1970 e la Convenzione UNIDROIT del 1995.         
In tale contesto, vista la necessità di rafforzare la cooperazione internazionale nella prevenzione e repressione dei crimini contro i beni culturali mobili, l’UNODC ha ottenuto l’incarico di esaminare le modalità idonee a rendere il Model Treaty maggiormente efficace.

Il Preambolo del Model Treaty afferma che gli Stati che intendono introdurre misure per impedire il traffico illecito transnazionale di beni culturali mobili si impegnano a ricorrere all’imposizione di adeguate ed efficaci sanzioni amministrative e penali e alla predisposizione di strumenti idonei a garantire la restituzione di tali beni.  

Il campo di applicazione del Model Treaty è connesso alla definizione di “bene culturale” da esso proposta, la quale risulta in armonia rispetto alle definizioni elaborate dalle Convenzioni UNESCO e UNIDROIT. Difatti, ai fini del Model Treaty, i beni culturali mobili sono definiti come beni specificamente designati da uno Stato contraente e soggetti al controllo sulle esportazioni in ragione della loro importanza per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza.

In connessione con quanto stabilito dal Preambolo, l’articolo 3 rappresenta la vera portata innovativa del Model Treaty, in quanto interviene in materia di sanzioni idonee a contrastare le condotte inerenti al traffico di beni culturali, sebbene al suo interno non sia stata effettuata una netta distinzione tra i casi in cui sia necessario imporre sanzioni penali e i casi in cui risulti maggiormente appropriato applicare sanzioni amministrative.      

Sotto il profilo sanzionatorio, l’UNODC ha chiarito che, ai fini delle disposizioni contenute nel Model Treaty, ogni Stato parte dovrebbe considerare la previsione di sanzioni penali minime, al fine di punire la commissione dei reati contro il patrimonio culturale secondo specifici standard sanzionatori.

Un ulteriore elemento innovativo introdotto dal trattato è la previsione di disposizioni che consentono di attribuire la responsabilità per la commissione di violazioni inerenti al traffico di beni culturali sia alle persone fisiche sia alle persone giuridiche (art. 3), poiché appare evidente che sia insufficiente sanzionare soltanto i singoli individui in un contesto empirico-criminologico in cui è il mercato dell’arte ad essere strutturalmente organizzato in modo tale da poter veicolare i traffici illeciti.

Infine, il Model Treaty statuisce che gli Stati contraenti si vincolano a mettere a reciproca disposizione le informazioni necessarie per combattere i crimini contro i beni culturali mobili (art. 4). Gli Stati che stipulano un accordo sulla base del Model Treaty dovranno poi osservare alcuni obblighi fondamentali, che si possono rintracciare tra gli articoli 2 e 3.

In primo luogo, essi devono impegnarsi ad adottare le misure opportune per vietare l’importazione e l’esportazione di beni culturali mobili rubati o esportati illegalmente dall’altro Stato parte. Tale disposizione viene completata dalla previsione dell’obbligo di adottare sanzioni per punire le persone o gli enti responsabili dei reati di esportazione e importazione illecita di beni culturali mobili.  

In secondo luogo, dopo aver affermato l’obbligo, per gli Stati contraenti, di adottare le misure necessarie per vietare l’acquisto e il commercio sul proprio territorio di beni culturali mobili importati illecitamente, il trattato prevede che ogni Stato parte debba imporre sanzioni a persone o enti che consapevolmente acquistano o trafficano beni culturali mobili rubati o illecitamente importati. L’applicazione di quest’ultima previsione è subordinata alla condizione per cui l’acquirente debba essere consapevole della provenienza illecita dei beni, ovvero un requisito che raramente viene facilmente soddisfatto in termini probatori.     

Perciò, nonostante questa norma sia comunque in linea con i princìpi generali in termini di responsabilità soggettiva, sarebbe auspicabile introdurre nell’ordinamento giuridico internazionale una norma che, a tal riguardo, preveda l’applicazione di sanzioni nei confronti di coloro che sapevano o avrebbero dovuto ragionevolmente sapere che l’oggetto era stato rubato oppure importato o esportato illecitamente, su modello del testo formulato dall’articolo 4 (1) della Convenzione UNIDROIT del 1995.

Il Model Treaty introduce, inoltre, alcune previsioni normative contro il traffico di opere d’arte posto in essere da associazioni e/o organizzazioni criminali. A tal riguardo, tra i princìpi generali delineati dal trattato, interviene la norma che vincola ogni Stato contraente a legiferare per evitare che persone ed enti, all’interno del proprio territorio, possano far parte di associazioni a delinquere di natura internazionale per la commissione di reati aventi ad oggetto i beni culturali mobili (art. 2, lett. c).        

Seppur connesso alla prospettiva di una crescente incursione della criminalità organizzata in questo settore, risulta estremamente vago l’ultimo comma dell’articolo 3, che richiede l’adozione di sanzioni anche per persone o enti che partecipano ad associazioni a delinquere di carattere internazionale al fine di ottenere, esportare o importare beni culturali mobili attraverso mezzi illeciti. 

All’articolo 2, il Model Treaty delinea ulteriori disposizioni generali, che sollecitano gli Stati parte a intervenire per fornire informazioni sui beni culturali mobili rubati a una banca dati internazionale concordata tra gli Stati contraenti e adottare le misure necessarie per garantire che l’acquirente dei beni culturali mobili rubati elencati nella banca dati internazionale non sia considerato come un acquirente che ha acquistato detti beni in buona fede.

Tale articolo, inoltre, induce gli Stati parte a introdurre, in modo coerente rispetto a quanto stabilito dall’articolo 6 della Convenzione UNESCO del 1970, un sistema in base al quale l’esportazione di beni culturali mobili sia autorizzata mediante il rilascio di un certificato di esportazione. In particolare, gli Stati contraenti devono adottare le misure necessarie a garantire che non sia considerato acquirente in buona fede un soggetto che abbia acquistato beni culturali mobili importati che non siano accompagnati dall’idoneo certificato di esportazione e che abbia acquistato il bene culturale mobile dopo l’entrata in vigore del trattato.
Infine, l’ultimo comma dell’articolo 2 vincola gli Stati parte a utilizzare tutti i mezzi a disposizione, compresa la promozione della conoscenza pubblica, per combattere le importazioni ed esportazioni illecite, il furto, lo scavo illegale e il traffico illecito di beni culturali mobili.

UNODC opera in più di 80 paesi in tutto il mondo attraverso la sua rete di 115 uffici e 2.400 dipendenti.

Le innovative disposizioni del Model Treaty aventi ad oggetto la previsione di sanzioni potrebbero rappresentare un vero e proprio punto di partenza per l’introduzione di nuovi strumenti internazionali preposti al contrasto del traffico di opere d’arte.      
Il Model Treaty ha potenzialmente un impatto molto ampio, dal momento che, per poter utilizzarlo come base per un accordo bilaterale con altri paesi, qualsiasi Stato può avvalersi delle norme proposte dallo strumento in oggetto, senza dover necessariamente essere parte di una delle Convenzioni aventi ad oggetto la protezione del patrimonio culturale oppure membro dell’ONU.

Ciò nonostante, tale strumento, nella sua attuale formulazione, non risulta ancora essere pienamente efficace, in quanto la sua natura di trattato modello consente agli Stati di rafforzare la tutela penale nelle relazioni bilaterali, ma non si presta, invece, a fornire i mezzi per affrontare un complesso scenario multilaterale che sarebbe necessario qualora un oggetto d’arte di origine illegittima venisse trasferito illecitamente dal c.d. “Stato fonte” al c.d. “Stato mercato”, passando attraverso uno o più “Stati di transito”.    

In un simile contesto, se lo “Stato mercato” dovesse firmare un trattato bilaterale con lo “Stato di transito”, l’oggetto d’arte non sarebbe efficacemente protetto dal trattato stipulato sulla base del Model Treaty, in quanto l’oggetto potrebbe essere stato rubato nello “Stato fonte” escluso dalla stipula dell’accordo e potrebbe essere stato esportato dallo “Stato di transito” mediante l’idoneo certificato di esportazione in modo tale da consentire all’acquirente dello Stato mercato di assumere facilmente lo status di acquirente in buona fede.

Se, tuttavia, lo “Stato mercato” avesse firmato l’accordo con lo “Stato fonte”, l’oggetto sarebbe stato comunque protetto solo tecnicamente, piuttosto che nella pratica. Difatti, qualora l’oggetto fosse giunto nello “Stato mercato” con un certificato di esportazione rilasciato dallo “Stato di transito”, sarebbe lecito domandarsi come gli ufficiali preposti al controllo delle frontiere o i potenziali acquirenti in buona fede che risiedono nello “Stato mercato”, avrebbero potuto essere in grado di riconoscere se l’oggetto d’arte fosse stato precedentemente sottratto o esportato illegalmente oppure posto in circolazione prima della data del trattato. Perciò, in questi casi, potrebbe non essere possibile determinare se l’oggetto sia stato rubato e, nel caso in cui il furto fosse stato accertato, da dove esso provenga, oppure stabilire se o quando l’oggetto sia stato esportato illegalmente.

Il Model Treaty potrebbe, dunque, prendere in considerazione la possibilità di affrontare tali problemi in modo più esplicito, dal momento che essi risultano ben noti e necessitano, per loro natura, di un approccio risolutivo di tipo multilaterale.        

Per questi motivi, la comunità internazionale, pur traendo beneficio dall’esistenza del Model Treaty e dal percorso intrapreso dallo UNODC nel tentativo di rendere tale strumento maggiormente efficace, sta perseguendo ulteriori alternative per contrastare in modo più incisivo il traffico illecito di beni culturali.

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