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Nella seconda metà del XVIII secolo Salorno, oggi primo paese della Bassa Atesina a cerniera tra le due Province autonome di Trento e Bolzano, tra la lingua italiana e quella tedesca, è un importante centro di transito e di sosta di uomini e merci. A Salorno, infatti, il governo austriaco concede l’istituzione di un dazio privato e la costruzione di una Brücknzollhaus. Dopo il devastante alluvione della notte tra il 30 e il 31 agosto 1757, e per ovviare al periodico allagamento della valle dell’Adige, da San Michele a Laghetti, è proprio all’altezza di Salorno che viene autorizzata l’edificazione dell’allora unico lungo ponte di legno sul fiume Adige: da un documento, conservato nell’archivio storico di Salorno, datato 23 marzo 1798 e sottoscritto da tutte le maggiori autorità (maschili) locali, sappiamo che il legname per realizzare l’opera è costato ben 1.800 fiorini.

Per una combinazione di ragioni geografiche, idrogeologiche e fiscali, e anche grazie a una fortunata stagione di amministratori locali dotati di spessore culturale e lungimiranza, Salorno conosce un periodo storico di benessere che porta all’apertura di otto alberghi, per ospitare persone e personalità di passaggio, al titolo di “Magnifica Comunità”, alla costruzione di diversi palazzi nobiliari e al progetto tecnico di regolazione del fiume Adige. La buona cucina e la squisita ospitalità sono il fiore all’occhiello del posto ma non bastano, serve un biglietto da visita all’altezza del prestigio dei viaggiatori e che, a futura memoria, possa rievocare la vittoria dell’ingegno umano sul corso delle acque: con un contratto sottoscritto il 16 gennaio 1776 i rappresentanti della comunità e del tessuto economico commissionano al «maestro Tagliapietra di Trento» Antonio Giongo, il miglior scultore del tempo (nativo anch’egli di Lavarone ma senza alcun legame di parentela con Francesco Antonio Giongo, secondo il Comune di Lavarone; figlio di Francesco Antonio, secondo il Comune di Salorno, autore della Fontana del Nettuno di Trento, realizzata tra il 1767 e il 1769), una monumentale fontana in pietra per abbellire la piazza della “Villa de Sotto”. Nel punto più trafficato del paese su cui affacciano i tre alberghi più importanti, l’Aquila Nera, il Corona e la Torre, si decide di lasciare un messaggio politico attraverso una iniziativa culturale: la Fontana dell’Ercole, secondo gli accordi, deve essere in pietra bianca e deve avere una vasca ottagonale entro cui innestare una colonna centrale, decorata da tre delfini e da un piedistallo, per ospitare l’eroe mitologico e i suoi attributi, la clava e la pelle di leone. Ercole, da una lettura iconografica, è il simbolo della vittoria, l’uomo che prevale grazie a intelligenza e volontà, mentre i delfini sono l’allegoria dell’acqua domata. Con una nota di pagamento del 24 maggio 1776, conservata anch’essa all’archivio storico di Salorno, possiamo ritenere conclusa la commissione al Giongo: 50 fiorini di acconto, 242 a saldo, più 2 di mancia.

Nel 1796, proprio attraverso quel ponte di legno che ha contribuito al benessere, si consuma anche la disgrazia di Salorno: la crucialità militare dell’opera e del territorio sono preda dell’invasione francese e del saccheggio napoleonico che tengono banco dai primi di settembre all’aprile dell’anno successivo. Il ponte, a più riprese, viene tagliato e bruciato fino alla totale distruzione il 20 marzo 1797. Molte delle statue, che decorano la facciata della chiesa del complesso dell’ex Monastero Agostiniano di San Michele all’Adige (soppresso nel 1807 dai Franco-Bavaresi), sono bottino di guerra. I francesi devastano la chiesa, disperdono i monaci e distruggono la biblioteca. Tra le mire delle spoliazioni si salva il Nettuno di Trento scolpito da Stefano Salterio – che dal 1940 è al riparo, da intemperie e vandalismi nel cortile interno di Palazzo Thun, sostituito da una copia in bronzo – ma non l’Ercole di Salorno: dopo appena vent’anni la scultura, voluta dall’amministrazione e ben voluta dai cittadini, è inghiottita nell’oblio del conflitto. La popolazione, fiaccata dall’invasione francese e dallo scontro con le truppe austriache, si dimentica in fretta della fontana barocca: nessuna immagine, della sua esistenza rimane solo la descrizione contenuta nel contratto del 1776.

San Michele all’Adige, facciata della chiesa del complesso dell’ex Monastero Agostiniano

Inizia un progressivo ma inesorabile declino del tessuto economico e sociale di Salorno, aggravato e velocizzato a metà Ottocento anche dall’arrivo della ferrovia del Brennero: si abbandona il cavallo per le più confortevoli carrozze, le tratte si allungano e la sosta a Salorno non è più indispensabile, chiudono gli alberghi e le famiglie ancora benestanti si trasferiscono altrove. E l’Ercole?

Nel 1989 l’architetto Bruno Pedri riceve dall’amministrazione comunale di Salorno l’incarico di progettare la riqualificazione di Piazza Municipio. Dopo un attento studio storico, artistico e planimetrico arriva la proposta di realizzare una copia della Fontana dell’Ercole in scala 1:1, rifacendosi alle misure elencate nel documento settecentesco, con un elemento inedito: lasciare vuoto il piedistallo dei delfini, a segnalare che «Salorno è sempre in attesa di vedere restituita la sua preziosa opera d’arte» perché «la speranza è sempre l’ultima a morire».

Salorno, Dettaglio del piedistallo dei delfini

[Si ringrazia l’architetto Bruno Pedri per la generosità e la preziosa documentazione messa a disposizione]

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