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di Maria Grazia Frisaldi

Nella foto Salvatore Patete.

Salvatore Patete non nasconde l’emozione: «In verità, mi sono commosso. E, tuttora, quando ci penso, la cosa mi sconvolge», confessa.

Ci sono il suo occhio, la sua competenza e la sua esperienza dietro l’eccezionale recupero di reperti archeologici messo a segno dai carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di Bari, con la Procura di Foggia. L’operazione internazionale ha permesso di sottrarre ad un facoltoso “collezionista” belga circa 800 pezzi provenienti da scavi abusivi nelle aree archeologiche di Salapia e Arpi, nel Foggiano, ma anche della zona di Canosa e del Salento, per un valore stimato di circa 11 milioni di euro.

Fu proprio il funzionario restauratore e conservatore della Sovrintendenza per l’archeologia, le belle arti e il paesaggio per le province Foggia e Bat, a notare sul catalogo di una mostra internazionale un frammento appartenente ad una stele daunia dell’area di Salapia, nell’agro ofantino. Nel 2015 la prima segnalazione, poi perfezionata in denuncia con l’arrivo della sovrintendente Simonetta Bonomi. «Non credevo che da un frammento così piccolo si potesse giungere ad un simile risultato», spiega soddisfatto. «I carabinieri sono stati eccezionali».

«Da 40 anni non faccio che restaurare, studiare e confrontare stele daunie», confessa. «In quel periodo stavo studiando dei cataloghi sui depositi di Trinitapoli e avevo ripreso in mano quelli di vecchie mostre tenute all’estero», racconta. Uno di questi – L’arte dei popoli italici dal 3000 al 300 a.C., summa dell’esposizione tenutasi nel novembre del 1993 al Museo Rath di Ginevra, in Svizzera – lo colpì per un particolare che non poteva sfuggirgli: uno dei reperti ritratti appariva incompleto nella parte centrale, mancante di un’iscrizione decorativa corrispondente a un frammento custodito nel Museo Archeologico di Trinitapoli. Proprio quello che, secondo l’intuizione del funzionario del Laboratorio di Restauro, completava il disegno del margine inferiore dello scudo e la parte superiore del guerriero a cavallo.

Una intuizione fortunata, che ha dato la stura ad un lavoro di intelligence per identificare compiutamente la stele, risalire alla mostra ed identificare il collezionista (che, per ben tre anni, ha preso parte a convegni internazionali sulla Magna Grecia. «Hanno un brutto vizio questi collezionisti», prova a sdrammatizzare: «Sono vanitosi e non fanno altro che ostentare ciò che posseggono, anche se la provenienza è illecita».

Poi tiene a precisare: «Il lavoro che facciamo non è solo restauro. C’è anche una intensa attività di confronto sul mercato “antiquario”: ci sono tanti “frammenti erranti” e confrontarli con quelli che si trovano in giro significa spesso recuperare materiale esportato illegalmente». Dallo scorso venerdì i circa 800 reperti sono tornati in Italia (sono in esposizione a Bari, ancora per qualche giorno). Ma l’iter per una piena riappropriazione non è ancora terminato.

«Tutti i pezzi verranno portati a Foggia per nuclei omogenei per essere analizzati: sarà necessario svolgere indagini archeometriche, artistiche e storiche per certificarne, senza tema di smentita, la provenienza. Il giudice belga vuole l’assoluta certezza per poter procedere alla confisca del materiale. Ora non possiamo sbagliare», spiega. Tutti i reperti, quindi, passeranno nelle mani di Patete («sono rimasto solo io nel laboratorio», precisa) che stilerà la relazione che verrà depositata in Procura, prima di giungere sul tavolo all’autorità belga. Tempi stimati per l’intera operazione? Circa 9 mesi, mentre resta l’incognita per quelli della burocrazia.

Il funzionario, prossimo alla pensione dopo una vita dedicata alle stele daunie, pensa già all’esposizione di questo ‘tesoro’ ritrovato: «L’intento è quello di fare una grande mostra, qui a Foggia: il territorio ha bisogno di una rinascita, che passa anche attraverso queste iniziative. È una manifestazione sulla legalità, in questo caso archeologica: il ritorno a casa di questi pezzi, sottratti illegalmente, è una maniera per far capire che dobbiamo intraprendere una nuova strada per tutelare i nostri beni, cultura e valorizzare le cose che abbiamo».

Quello appena concluso è uno dei recuperi più importanti effettuati in Puglia: «Sono stati sottratti 11 milioni di beni all’archeo-mafia, e potremo aggiungere – all’atto della confisca – 11 milioni di euro al patrimonio dello Stato. Ma c’è una marea di reperti trafugati ancora sparsi per il mondo», continua. «Il sito di Arpi è stato depredato in oltre 40 anni di scavi clandestini e poco è stato fatto per fermare questo scempio».

E, sul punto, non può esimersi dalla critica: «Diciamo la verità: Foggia non si è mai interessata seriamente ad Arpi. Altrimenti avremmo avuto campagne di scavi periodici, recupero dei terreni, e un diverso sistema di gestione. Basta vedere cosa è stato fatto ad Ascoli (nel sito di Faragola, ndr), dove c’è stato un investimento reale ed è stato creato un parco archeologico».

Infine, le aspettative sul nuovo corso di laurea (magistrale) in Archeologia varato dall’Università di Foggia con l’ateneo di Bari: «Ogni attività tesa alla tutela, esplorazione, ricerca e studio è benvenuta. È una scelta di civiltà e cultura. Però bisogna anche pensare di dare lavoro ai laureati, bandire concorsi. Il nostro Ministero si è svuotato, c’è spazio per tutti. Serve solo una programmazione seria», conclude.

[Pubblicato su Foggia Today il 22 giugno 2020. Titolo originale: Tesoro da 11 milioni della Daunia scoperto grazie a un frammento sospetto. Il funzionario restauratore Patete: «Mi sono commosso»].

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