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Il 10 maggio 2010 il GIP Lorena Mussoni ne aveva infatti già disposto la confisca non sussistendo l’attenuante della “buona fede”, ritenendo cioè che i rappresentanti del J.P. Getty Museum non fossero estranei al reato, ma perfettamente consapevoli delle vicende giudiziarie della statua acquistata dalla Artemis SA, non essendo stata questa mai in grado di fornire il contratto di acquisto tra la stessa e i venditori italiani.

L’ordinanza del 2010 si va ad aggiungere al provvedimento del 2009 secondo cui “in caso di rinvenimento in alto mare di relitti marini di pregio storico ed artistico da parte di una nave battente bandiera italiana, come avvenuto nel caso di specie, si applica la legge italiana ed in particolare, le norme nazionali in materia di beni culturali.[…] Tali circostanze, indipendentemente dalle questioni del rinvenimento del bene in acque non territoriali e della sua introduzione a Fano senza il rilascio dell’autorizzazione ex art. 42 L. 1089/1939 comporta la sua cd. «nazionalizzazione» intesa come l’acquisizione di un diritto di proprietà dello Stato sul bene…”. Le tesi proposte sgretolano la difesa dei legali rappresentanti del Getty basata sull’indeterminabilità del luogo del rinvenimento, sulla sentenza di assoluzione emessa dall’A.G. italiana nel 1970 e sui pareri legali degli Avvocati di Herzer ed Artemis, che affermavano la sussistenza e la legittimità del diritto di proprietà dei venditori e l’assenza di qualsiasi rivendicazione da parte dello Stato italiano.

Le stessa sentenza del 2010 ribadisce inoltre che indipendentemente dal luogo del rinvenimento, acque territoriali o alto mare, il bene è di proprietà dello Stato italiano e che la sentenza di assoluzione del 1970 non esonera gli imputati dal reato di esportazione illecita tanto meno dal considerarsi, benché assolti, legittimi proprietari del bene.

Il legale rappresentate del Getty Museum propose ricorso per cassazione quale terzo interessato ed incolpevole sostenendo l’acquisto in buona fede. Nel 2015 la Corte Costituzionale accolse la doglianza dichiarando l’illegittimità del procedimento per vizio procedurale in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

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Il c.d. Atleta di Fano al J.Paul Getty Museum

Ritornati alla fase dibattimentale il 29 settembre 2017 durante l’udienza di discussione il legale rappresentante del Getty, Stephen Clark, ha ribadito la propria posizione in qualità di terzo estraneo mentre il PM ha precisato che “questa nozione non si identifica con quella di buona fede meramente passiva, ma con la due diligence (onere di attivarsi) unitamente all’elemento oggettivo del mancato conseguimento di vantaggio”.

Il vaglio degli elementi in possesso dell’AG italiana, tra la cui copia digitale di un documentario prodotto il 20 aprile 1979 dall’emittente televisiva ABC News di Los Angeles, nel quale Thomas Hoving, allora direttore del Metropolitan di New York, riferisce delle preoccupazioni di Paul Getty Senior riguardo il procedimento penale per il reato di ricettazione e di voler procedere all’acquisto solo previo conseguimento delle dovute autorizzazioni delle autorità italiane, dimostrano l’assenza di due diligence.

Possibili scenari. Emessa dunque l’ordinanza si pone la questione sulle modalità per cui dovrà essere riconosciuta e resa efficace nell’ordinamento americano, non sussistendo obblighi derivanti dalle norme del diritto internazionale pattizio. È plausibile che il PM richieda con una rogatoria internazionale l’esecuzione del provvedimento in territorio americano basandosi su un accordo bilaterale firmato a Roma il 3 maggio 2006 ed entrato in vigore il 1° febbraio 2010: il Trattato di mutua assistenza in materia penale tra la Repubblica italiana e gli Stati Uniti d’America.

In base a questo Trattato “Le Parti Contraenti […] si impegnano a prestarsi reciproca assistenza per le istruttorie e i procedimenti penali.” e tale assistenza dovrà essere fornita anche in caso di “sequestro e confisca di beni.”

Al riguardo il successivo Art. 18 dispone che: “Le Parti Contraenti si forniranno reciproca assistenza nella misura permessa dai loro rispettivi ordinamenti, nel sequestro, immobilizzazione e confisca dei frutti e dei proventi dei reati” e che “La Parte Contraente che procederà alla confisca dei profitti e dei beni ai sensi del presente articolo ne disporrà secondo la propria legge nazionale e le procedure amministrative. Ciascuna Parte potrà trasferire tutti o parte di tali proventi o beni, o i proventi derivanti dalla vendita, all’altra Parte nella misura consentita dai rispettivi ordinamenti giuridici alle condizioni eventualmente stabilite”.

Indipendentemente dunque dalla natura del bene, l’Art. 18 predispone un norma restrittiva autorizzando la parte che procede con la confisca a disporne secondo il proprio ordinamento. In sostanza saranno le norme statunitensi a determinare il risultato.

In tal senso è nota negli Stati Uniti la tendenza di una posizione di assoluta inapplicabilità del diritto pubblico straniero in particolare in materia di beni culturali. Tra gli argomenti avanzati per negare efficacia alle leggi che attribuiscono la titolarità di determinati beni direttamente alla Stato (c.d. retentionist laws) si è osservato che lo Stato estero non può rivendicare la proprietà di un bene senza averne mai avuto il possesso effettivo. Esiste però una dottrina d’oltre oceano che per favorire il rimpatrio di beni culturali illecitamente esportati si appella all’Act of State affermando la necessità di difendere la sovranità che uno Stato esercita in materia di nazionalizzazione dei beni archeologici rinvenuti all’interno dei confini iternazionalmente riconosciuti.

Nodo cruciale risulterebbe essere dunque la localizzazione del recupero del manufatto entro i confini nazionali del Mar Adriatico poiché senza di essa non si può arrivare ad affermare la proprietà italiana del bene intesa secondo l’ordinamento americano, il che renderebbe il bronzo non suscettibile di rimpatrio.

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L’Atleta di Fano (foto Getty)

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