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Io difendo le opere. Il caso Modigliani

(Tempo di lettura: 28 minuti)

Mammaa, ma i quadri delle mostre che mi hai portato a vedere l’altro ieri sono tutti falsi, lo ha appena detto la TV!”.

Quell’umiliazione del 14 luglio 2017 ancora mi pesa e, come Dantès, ho sperato, anche egoisticamente, in una sentenza che cancellasse, oltre alla lettera scarlatta dell’infamia sulle opere anche la mia profondissima vergogna consumata in un angusto angolo cottura di un bilocale ammobiliato in affitto sella riviera ligure, e, poi, molto più ampiamente pubblicizzata dalla mia bambina, sotto tutti gli ombrelloni verdi dello stabilimento balneare che il giorno dello scandalo del Ducale sembrava essersi quasi essersi destato dal torpore vacanziero.

Perché per i quadri, che non hanno né un diritto di difesa, né un avvocato, ancora più che per le persone, a mio modesto parere, vale la buona regola che mi ha insegnato il vecchio giudice di Film Rosso: “Il solo fatto di poter decidere qual è o non è la verità adesso mi sembra un atto di presunzione. Vanità? Vanità.”.[1]

Bollare un quadro come “falso” prima che in punto sia stato emesso un provvedimento giudiziario che ne accerti la contraffazione equivale ad attribuire a taluno “la responsabilità di avere commesso un grave reato, esponendo la sua memoria al biasimo della collettività e ledendo gravemente la reputazione del soggetto cui il falso è attribuito” (Cass. Pen. Sez V, 27 luglio 2016 n. 32787).

Il processo del Ducale si è concluso venerdì 13 giugno dopo 5 anni e 11 mesi dal roboante sequestro in mostra, con l’assoluzione di tutti gli imputati, e una con una “condanna” di falso per sole quattro opere esposte in mostra come autentici Modigliani. Si tratta di Cariatide Rossa/Les Epoux, (Modigliani 1913, olio su tela); Cariatide, (Modigliani 1914, tempera su carta); Ritratto femminile (Modigliani, 1917, dipinto a olio) e il Ritratto di Moricand (Modigliani, 1915, olio su tela) cui si aggiungono secondo l’ANSA altri 4 falsi che non sarebbero di mano di Kisling, benché autenticati dal figlio. Le motivazioni le avremo tra un po’ ma Joseph Guttmann non potrà ascoltarle perché è morto qualche settimana fa.

A pronunciare quella prima condanna mediatica, però, prima che si celebrasse un processo, che ha portato al sequestro di 20 opere in mostra, tra cui anche della Testa di donna o Ritratto di Hanka Zborowska del 1917, notificata come bene di rilevante interesse culturale nel 1972, era stata una perizia della dott.ssa Mariastella Margozzi, Dirigente del MIC, nota per aveva bollato come false le opere esposte alla mostra di “L’impossibile è Noto”, dissequestrate nel 2020 perché autentiche e i troppi Volumi di Dadamaino che il Tribunale di Milano, invece, ha ritenuto autentici e che ora sono in vendita in tutte le fiere dell’arte. La Margozzi ha, poi, abdicato in favore di Isabella Quattrocchi, per ovvie ragioni di opportunità trovandosi intanto un palese quanto imbarazzante conflitto d’interessi essendo legata a Marc Restellini, da un consolidato rapporto di collaborazione[2].

Secondo le poche magre righe scritte dall’“esperta”, si trattava di «falsi grossolani», di «firme dal tratto infantile» o «pasticciate», e di «figure assemblate» «senza alcuna competenza in materia», e di tele invecchiate «in maniera maldestra» di cui la Quattrocchi aveva scoperto la falsità grazie al suo «occhio» infallibile, soltanto fotografando «ogni pezzo sia davanti, sia dietro». 

Il vero “merito” del sequestro, però, spetta ancora una volta a Carlo Pepi, un adorabile e infaticabile collezionista ottuagenario, che sembra essere appena uscito dalla penna di Malvaldi e aver abbandonato il Bar Lume e una partita di Briscola in cinque per dar la caccia ai falsari di Modigliani, dopo essersi guadagnato, anche lui, il titolo di “esperto”, benché autodidatta o incompetente, secondo i punti di vista, per aver riconosciuto nel 1984 grazie al suo “fiuto” che le teste di donna ritrovate a Livorno in seguito al dragaggio dei canali erano false. Pepi questa volta ha gridato in mondovisione e alla Procura, come dicono spesso anche i “bimbi” di Mavaldi, che la mostra del Ducale era un “troiaio”. 

In suo soccorso è intervenuto il mediatico, egotico e charmant storico dell’arte francese Marc Restellini[3], mitizzato da Meryle Secrest, nella biografia Modigliani: A Life del 2011, e nella docu-fiction di Nexo Digital Maledetto Modigliani che, da molto tempo, e anche nel processo si, è proclamato e costruito mediaticamente l’immagine di massimo esperto vivente di Modigliani, secondo l’insegnamento di Charles Pierre Baudelaire  e che, però, guadagna “circa” € 30.000 per ogni expertise che rilascia. 

In giurisprudenza è stato evidenziato, però, che “chi abbia ricevuto un incarico di catalogazione della produzione pittorica di un autore non può pretendersi legittimato a certificare l’autenticità di questa produzione; e anzi pone in essere un comportamento diffamatorio e risponde del danno morale qualora pubblicamente dichiari di non riconoscere expertise di autenticità di terzi, con ciò ingenerando il sospetto di falsità delle opere da lui non catalogate e autenticate (Trib. Milano, Sezione IP, 13 dicembre 2004, Aida 2005, 1053/05).

Il black dandy è stato allievo di Parisot, ha collaborato, poi, dal 1997 con il Wildenstein Institute di Parigi, diventato Wildenstein-Plattner Institut, che aveva annunciato la pubblicazione di un catalogue raisonné. Collaborazione si è conclusa bruscamente dopo una serie di contenziosi subiti dal Wildenstein per le dichiarazioni di Restellini.

L’istituto era stato, infatti, citato in giudizio da un collezionista per il rifiuto di Restellini di archiviare la Jeune Femme brune di Modigliani in vendita da Phillips con una stima 1,3-1,7 milioni di dollari (Shaltiel v. Wildenstein, 288 A.D.2d 136, 733 N.Y.S.2d 400 (N.Y. App. Div. 2001).

E ancora prima in Francia da due collezionisti che acquistati dei disegni di Modigliani  in due aste  e aggiudicati rispettivamente  a 379 000 franchi il primo e l’altro il Portrait de jeune fille, a: 1 737 000 franchi, e che avevano chiesto l’inclusione nel catalogo dei disegni di cui il Wildeinstein aveva annunciato la pubblicazione, si erano sentiti rispondere “Vi informiamo che, dopo aver studiato la questione e visto il nostro attuale stato di conoscenza, non abbiamo intenzione, al momento, di includere l’opera (in questione) nel catalogo delle opere dipinte e disegnate di Amedeo Modigliani” e dopo una perizia giudiziaria avevano ottenuto una sentenza che confermava l’autenticità e ordinava la pubblicazione nel catalogo (TGI, Paris, ord. référé, 14 sept. 1999 confirm. par cour d’appel, Paris, 14e ch., sect. A, 19 avril 2000; TGI, Paris, 1e ch., 2e sect., 17 février 2000).

Nel loro volume Art & crime: The fight against looters, forgers, and fraudsters in the high-stakes art world, gli autori riportano che il collezionista svizzero Edgar Bavarel, che possedeva due disegni di Modigliani, nel 2000 ha intentato una causa contro Wildenstein perché Restellini si era rifiutato di inserirli nel suo indice. I giudici hanno dichiarato autentica una delle opere, Young Girl, e hanno ordinato agli esperti di inserirla nel loro catalogo Poco tempo dopo, Restellini annunciò che avrebbe affidato all’Ilp il progetto di realizzare un catalogo dei disegni”

Il materiale della ricerca per il catalogue raisonné, mai pubblicato, è oggi oggetto di una contesa giudiziaria negli Stati Uniti (Restellini v. Wildenstein Plattner Institute Inc. No. 20-04388 (S.D.N.Y. Sept. 22, 2021). Restellini ha citato il Wildenstein-Plattner Institut che aveva pubblicamente dichiarato la sua intenzione di “digitalizzare l’intero suo archivio e di metterlo online gratuitamente“, mettendo a repentaglio  il monopolio di Restellini sull’“accesso diretto agli archivi «primari », come quelli di Roger Dutilleul, Paul Guillaume, Jonas Netter, tra gli altri” – ciò è quello che si legge sul suo sito –, accesso, a suo dire, che farebbe di lui il soggetto più autorevole a rilasciare expertises a pagamento e a firmare il nuovo Catalogo Ragionato.

È segreta la composizione del materiale conteso, né, quindi, si può esprimere un’opinione sulla lamentata lesione dei suoi diritti di proprietà intellettuale da parte del Wildenstein. Non riconoscendo, peraltro, la normativa americana alcun copyright alle banche dati, rectius anche agli archivi, alle stesse assimilabili, la causa potrebbe al più riguardare taluni singoli documenti e non certo l’universalità degli stessi, che dovrebbero però avere un gradiente di creatività sufficiente per essere protetti. Andrà, poi, valutata la “forma” della collaborazione di Restellini all’interno del Wildenstein.

È fatto pacifico, anche tra le parti, che per molti anni Restellini abbia cercato di comprare il materiale di ricerca dal WPI e ciò lascia più di qualche dubbio sulla legittimità della sua pretesa. L’immagine e l’indipendenza dello storico dell’arte, sono inoltre velate da una serie di circostanze opache quali la liquidazione giudiziaria della Pinacothèque de Paris, dichiarata dal Tribunal de commerce de Paris, 14 ème chambre, 4 novembre 2016, n° 2016059563[4], di proprietà di una società danese e di una fondazione olandese, con un passivo imbarazzante; la vicenda dell’apertura nel 2015 dalla filiale di Singapore della Pinacothèque de Paris, di cui Restellini era Presidente grazie ai fondi di Yves Bouvier, discusso proprietario del free-port di Ginevra, e art dealer coinvolto in diversi processi per frode, di cui il più noto è quello che riguarda la vendita nell’arco di 12 anni di 38 opere d’arte, tra cui il Salvator Mundi e tra cui “troppe” opere di Modigliani, alle trust company Accent Delight International Ltd. and Xitrans Finance Ltd, di proprietà del tycoon russo Dmitri Rybolovlev, magnate del potassio, per circa 2 miliardi di dollari con un sovrapprezzo di oltre un miliardo di dollari e con l’ipotizzata complicità di Sotheby’s (Accent Delight Int’l v. Sotheby’s,Accent Delight Int’l v. Sotheby’s, 18-CV-9011 (JMF) (S.D.N.Y. Mar. 1, 2023). Pare, inoltre, che l’Institut Restellini, costituito dopo la rottura dei rapporti con il Wildenstein, stia conducendo le ricerche per il nuovo catalogo ragionato proprio in collaborazione con il Fine Arts Expert Institute, un ente con sede nel porto franco di Ginevra che è sempre di proprietà di Yves Bouvier[5].

A ciò si deve aggiungere che Osvaldo Patani ha rinunciato a pubblicare il quarto volume della sua opera, dichiarando che erano in gioco troppi interessi personali e troppi falsi in circolazione a seguito della ricezione di una diffida legale inviatagli dal Wildenstein nel 1999 tramite avvocato per impedirgli di pubblicare un articolo (all’epoca non ancora scritto) in cui, a quanto pare, non era d’accordo con alcune attribuzioni di Restellini[6].

Restellini, attraverso l’Institut Restellini LLC, una srl registrata a Sharjah negli Emirati Arabi Uniti ha incassato dal Comune di Livorno 1.225.000 di euro per il prestito, l’ideazione, la produzione, i trasporti e l’assicurazione dell’esposizione “Modigliani e l’avventura di Montparnasse” tenutasi a Livorno dal 7 novembre 2019 al 16 febbraio 2020, per le quali a seguito delle verifiche effettuate dalla guardia di finanza sono emerse irregolarità relative all’accordo contrattuale stipulato il 16 settembre 2019 tra il Comune e l’Institute Restellini LLC che comporterebbero una sanzione di 800.000[7] e anche la Corte dei Conti di Firenze ha aperto un fascicolo sulla mostra.

Questo per fortuna mia figlia non lo sa, perché quella di Livorno è l’ultima mostra vista insieme prima del lockdown.

Al netto delle società esterovestite, La Bourguignonne (1918), un olio su tela di 55×38 cm, messo in asta il 6 giugno scorso da Giquello & associés con una attestazione di inclusione nel catalogo ragionato della pittura e dei disegni di Amedeo Modigliani in preparazione dal Wildenstein Institute e a firma di Marc Restellini datata 19 marzo 2001 è andata UNSOLD; ergo nonostante le sue autoproclamazioni, i libri e i film, il mercato ha stabilito che senza Wildenstein, l’opinione di Restellini non ha alcuna fede privilegiata.

Il mercato tende sempre ad avere un atteggiamento conservativo o, forse, più correttamente gattopardesco e a conservare, in questo caso, l’autorevolezza del catalogo di Ceroni. Restellini, invece, sostiene che diverse opere pubblicate sul Ceroni siano dei falsi tra cui il ritratto del Conte Wielhorski, al grande mercante e collezionista svizzero Ernst Beyeler e che sarebbe falso anche il ritratto di Beatrice Hastings seduta, perché nel catalogo San Lazzaro del 1953 compare un’immagine del dipinto da cui risulta che una piccola porzione di tela non fosse finita. In quello di Ceroni invece del 1958 il dipinto risulterebbe finito.

In Francia, inoltre, dal 19 febbraio, al 19 settembre 2021, si è tenuta, senza il suo coinvolgimento, la mostra Les Secrets de Modigliani, organizzata presso il LaM – Lille Métropole Musée d’Art Moderne, d’Art Contemporain et d’Art Brutdi Lille, a cura di Marie-Amélie Senot e di Anaïs Genty-Vincent, dove sono stati presentati i risultati di uno studio scientifico del C2RMF (Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France) su un nutrito corpus di opere di Amedeo Modigliani(Livorno, 1884 – Parigi, 1920), 25 dipinti e 3 sculture (tra cui 6 opere conservate nelle raccolte del LaM), analizzate in collaborazione con l’azienda Chimie ParisTech e il Laboratoire de Miniaturisation pour la Synthèse, l’Analyse & la Protéomique dell’Università di Lille, i cui risultati sono stati pubblicati nel luglio del 2022 in un saggio sempre dal titolo Les Secrets de Modigliani Techniques et pratiques artistiques d’Amedeo Modigliani  edito da Invenit / Musée du Lam  2022 sempre a cura di Marie-Amélie Senot.

Anche la Barnes Foundation di Philadelphia, proprietaria di una importantissima collezione di dipinti autentici e di autentica provenance[8], nel 2023 ha organizzato la mostra Modigliani Up Close. Ha raccolto recenti scoperte scientifiche permettendo di comprendere grazie alla riflettografia all’infrarosso che Modigliani non solo riutilizzava le tele ma riutilizzava anche quadri e opere di altri artisti, non solo suoi e Don H. Johnson, un professore emerito di ingegneria elettrica e informatica alla Rice University di Houston (Texas) ha sviluppato un software per stabilire da una fotografia ai raggi X se più tele provengono dallo stesso rotolo, come gli studiosi del Van Gogh Museum avevano già fatto per Van Gogh. E questi studi si aggiungono a quelli della organizzazione no-profit, Modigliani Project, fondata nel 2016 dallo studioso Kenneth Wayne.

La scienza e le istituzioni museali si sono messe però al servizio dell’artista “maledetto” solo dagli esperti per proteggerlo dai “branchi di iene alla cui guida, azzannandosi uno contro l’altro […] hanno iniziato una corsa, attraverso associazioni, archivi e fondazioni, per appropriarsi del diritto di dichiarare autentici o falsi i reperti dell’artista, così da diventare gli autori del suo catalogo generale”. Le parole le abbiamo rubate a Germano Celant quando ha commentato l’eredità di Gino De Dominicis.

L’intento istituzionale è lodevole, utile, ma al momento non ancora dirimente. Sono da condividere le perplessità del Prof. Maurizio Seracini[9] che specifica che “per fare uno studio scientifico per caratterizzare tecnica e materiali dei dipinti di Modigliani (cosi come di qualsiasi altro artista)  i cui risultati possano essere comparati con quelli ottenuti da altre opere attribuite o sospettate false, il primo passo è definire  una metodologia, quindi una sequenza di tecnologie da utilizzare, ovviamente spiegandone le finalità e relativi protocolli applicativi e quindi seguire sistematicamente la suddetta metodologia su tutte le opere. Altrimenti, ciascun laboratorio opererà in funzione delle strumentazioni e delle competenze di cui dispone, senza seguire un metodo che possa garantire l’acquisizione di tutti i dati finalizzati agli scopi suddetti e quindi rendendo opinabile un eventuale confronto con altri dati ottenuti da altre opere, a causa di un diverso approccio metodologico.”  

Restellini, però, di recente, è riuscito a curare l’importante mostra Modigliani. The primitivist revolution (17 settembre-9 gennaio 2022), all’Albertina di Vienna, ove ha esposto Il ritratto di Picasso, già comparso a Livorno nella mostra curata dai fratelli Dubré (quella delle false teste) e già contestato di non autenticità da Jeanne Modigliani, Maurizio Calvesi e da Federico Zeri, su cui si è aperta una nuova inchiesta giudiziaria.

Nel “nostro” processo, invece, per restare in tema di carte da gioco, hanno piazzato un carico da 11, Dania Mondini e Claudio Loiodice, che, forse, hanno minor competenza curricolare in materia di Carlo Pepi, pubblicando, nell’ottobre 2019, un imbarazzante volume “inchiesta” sull’”Affare Modigliani, dove i “bimbi”, gettate le carte, sono stati sono messi dagli autori a giocare a Indiani e Cowboys.

Nella lettura unpoliticacally correct di quello che sarebbe, a loro dire, il Watergate dell’arte, lo scandalo Modigliani (a no… quel titolo l’ha già usato Ken Follet), i Cowboys buoni del libro sono (Carlo Pepi, Marc Restellini e Isabella Quattrocchi) mentre gli indiani cattivi sono gli imputati (Joseph Guttmann, Massimo Zelmann, Rudy Chiappini, Nicolò Sponzilli, Rosa Fasan, Pietro Pedrazzini) e Christian Parisot.

Tra i buoni c’è Isabella Quattrocchi, quell’esperta senza laurea che ha dichiarato alla televisione svizzera: “Quando mi sono trovata dinanzi ai quadri mi è venuto da piangere” per l’artista. Asciugate le lacrime, però, nel 2019, a processo non ancora concluso, la super-perita della Procura si è fatta avanti platealmente tra coloro sgomitano per diventare il nuovo oracolo di Modigliani e all’edizione MIART 2019, la Galleria Russo di Roma ha esposto e messo in vendita 2 opere che la Quattrocchi certificava essere di autentiche di mano di Amedeo Modigliani secondo la sua visione sciamanica: per la “Cariatide” il prezzo richiesto era 1.000.000,00 di euro, mentre per la “Testa di donna” la richiesta era di 850.000,00.

Nonostante sia pacifico che il certificato di autenticità sia una mera “expertise ossia “un documento contenente il parere di un esperto, considerato competente e autorevole, in merito all’autenticità e all’attribuzione di un’opera d’arte, e ritenuto che tale documento può essere rilasciato da chiunque sia competente e autorevole, non trattandosi di un diritto riservato in esclusiva agli eredi dell’artista – i quali non possono, quindi, attribuire o negare a terzi (ad es., critici d’arte o studiosi) la facoltà di rilasciare expertises” in merito all’autenticità dell’opera del loro congiunto -, la formulazione dei giudizi sull’autenticità e sul conseguente valore di un’opera d’arte di un artista defunto costituisce espressione del diritto alla libera manifestazione del pensiero, e, pertanto, può essere effettuata da qualunque soggetto considerato esperto” (Tribunale Roma 16 febbraio 2010, n. 3425),  e che, quindi, anche la Quattrocchi, benché non abbia una laurea e alle sue spalle pubblicazioni scientifiche su Modigliani, o redazioni di cataloghi ragionati possa liberamente rilasciare una sua “opinion”, altrettanto vero è che, al tempo, essendo il processo ancora in corso, il ruolo di soggetto “certificatore” è apparso decisamente poco opportuno se non addirittura incompatibile con quello di ausiliario del PM., per un pacifico conflitto d’interesse nel mercato.

La figura del consulente tecnico del Pubblico Ministero, da taluni, inoltre, è equiparata al testimone e soggetta a un obbligo di verità, da altri, invece, è equiparata al CTU e come tale soggetta all’obbligo di astensione di cui all’art. 36 c.p.p. lettera h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza.

Ma bisogna tornare molto indietro per provare a capire qualcosa in quella narrazione partigiana dei due rampanti giornalisti che certamente è solo una sconfitta per la storia dell’arte. Amedeo Modigliani è morto povero a 35 anni all’Hôpital de la Charité a Parigi in una fredda mattina di gennaio del 1920 per meningite tubercolare, lasciando Jeanne Hébuterne, incinta di nove mesi e una figlia non riconosciuta di 20 mesi, chiamata Jeanne come la madre.

L’Hébuterne gli è sopravvissuta solo un giorno e lo ha seguito gettandosi dalla finestra dopo essere stata ricondotta al 5° piano della casa del padre, un becero capocontabile ai grandi magazzini “Bon Marché”, tale Achille Casimir Hébuterne, di religione cattolica che non le aveva perdonato l’amore per un ebreo. Le spoglie di Amedeo sono state tumulate come quelle di un principe al Père-Lachaise grazie a una colletta lanciata tra pittori e modelle da Moïse Kisling. 

Il “principe” ha avuto un funerale monumentale come voleva la madre che scriveva a Zaborowskij “copritelo di fiori, provvederò a rimborsarvi”. Francis Carco racconta che Picasso “alla vista di questa scena diede il senso della cosa girandosi verso di me e segnando il carro funebre in cui Modigliani riposava sotto i fiori, poi gli agenti e mi disse dolcemente – vedi …ha vinto!“.

Jeanne, riconosciuta solo dalla madre fino al suo rientro a Livorno è stata accudita da Lunia e da Paulette Jourdain e poi, legalmente adottata da Margherita Modigliani, una delle sorelle di Amedeo.
Modigliani era scappato da un’Italia paralizzata, noiosamente ostaggio delle vacche, dei pascoli dei macchiaioli, per dipinge le persone, la loro anima, rifiutando di aderire ai movimenti (Severini gli propone il movimento futurista franco italiano e Picasso il cubismo). 
Amedeo non era un fallito. La comunità artistica lo stimava, Parigi ne era affascinata, ma dapprincipio solo Paul Alexandre ha comprato i suoi lavori e lui ha vissuto grazie ai sostegni economici inviatigli dalla famiglia da Livorno.

Il pittore Anselmo Bucci scrive nelle sue memorie che nell’inverno del 1906 aveva notato nella vetrina d’un negozietto, all’angolo tra rue des Saints-Pères e boulevard Saint-Germain, “tre visi di donna esangui e allucinati, quasi monocromi dipinti colla terra verde e col color magro su piccole tele»” di un tale Modigliani, che non sono state vendute. La Galleria apparteneva alla poetessa Laura Wylda.

La sua prima e unica mostra personale è organizzata da Zborowski e si tiene alla galleria Berthe Weill nel 1917, Exposition des Peintures et des dessins de Modigliani dal 3-30 dicembre 1917 e suscita l’interesse, dei mercanti Jonas Netter e Roger Dutilleul, ma viene subito chiusa per oscenità, per aver turbato la morale pubblica del pudore per un nudo esposto in vetrina. Delle 32 opere esposte sono venduti solo due disegni per 30 franchi ciascuno e la gallerista acquista cinque tele per sé stessa.

Nel 1918 il poeta Leopold Zborowski, diventa suo agente esclusivo, prendendo il posto occupato da Paul Guillaume dal 1914, lo mette a libro paga per con un compenso di 15 franchi al giorno si accolla il costo di tele e colori. Nell’agosto del 1919 lo fa esporre alla Mansard Gallery[10] di Londra (50 disegni e 9 tele a olio) ma venuto a saper che Modigliani è in punto di morte e sospende le vendite delle opere sicuro di ottenere migliori ricavi una volta che il pittore fosse deceduto, qualcuno sostiene, invece, che fosse stato invece Modigliani stesso a mandare un telegramma con quelle istruzioni.

Il 28 marzo 1919[11] all’Hotel Drouot vengono battuti due dipinti della collezione di Eugène Descave, il commissario di polizia amico degli artisti di Montparnasse. Si tratta del ritratto di Dédie e dell’Italienne (un nudo). Sono venduti. Si narra, però, che Zborowski si sia, anche, servito Kisling, buon amico di Modigliani per fargli “finire” le opere incompiute.

Nel loro volume Art & crime: The fight against looters, forgers, and fraudsters in the high-stakes art world [12], Koldehoff e Timm, riportano che Zbo avrebbe chiesto ad “altri amici e colleghi di Modigliani per completare i suoi dipinti incompiuti. In seguito, avrebbe chiesto loro di dipingere opere nello stile di Modigliani e di firmare con il suo nome”.

E ancora che “il pittore francese Fernand Léger ha ricordato, in una conversazione con la storica e critica d’arte Dora Vallier, che il completamento e la falsificazione di opere di pittori popolari era una pratica comune nei circoli degli artisti parigini durante la vita di Modigliani e che era comprensibilmente un buon modo per guadagnare denaro”[13].

Così come l’amico di Leger ricordava di aver preso in prestito opere dall’atelier di Modigliani per copiarle e venderle a pagamento, tali pratiche non erano certo un fallimento, nonostante quanto sostenuto da molte biografie successive alla sua morte. Per quanto outsider, Modigliani, non è mai stato un solitario e anzi è storicamente provato che abbia condiviso spazi e idee con Kisling, Soutine, Utrillo e molti di quella che viene chiamata l’école française. L’amata Jeanne Hébuterne era, lei stessa, pittrice. E oggi gli studiosi della Barnes Foundation hanno dimostrato scientificamente che Modigliani dipingeva anche su tele già dipinte da altri artisti.

Bon courage a quelli che hanno la presunzione di mettere i dipinti nella casella dei veri e dei falsi e di non rispettare le opinioni altrui e le scelte degli artisti. Non ha aiutato, inoltre, come racconta Jean Cocteau, ritratto molte volte da Modigliani, il fatto che Dedo “distribuisse i suoi disegni come un indovino zingaro, regalandoli, e questo spiega perché, sebbene esistano una cinquantina di miei disegni, ne possiedo solo uno”. 

La storia tragica di Modigliani ha catturato, inoltre, tanto l’attenzione dei collezionisti quanto quella dei falsari, tra cui anche Elmyr De Hory cui ha dato spazio Orson Welles in F come falso (Vérités et mensonges) nel 1973.
Già nel 1932, Margherita Modigliani scriveva: «I falsi Modigliani aumentano di giorno in giorno; deve essercene una fabbrica a Parigi». Era stata informata di un’asta pubblica in cui era stata proposta una tela di Modigliani intitolata Étude à Tunis. Ma Modigliani non era mai stato in Tunisia»[14].

Il primo “scandalo Modigliani” si deve, però, a Palma Bucarelli, la “regina di quadri”, storica direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dal 1940 al 1975, che nel che il 30 gennaio del 1959 ha inaugurato una retrospettiva di Amedeo Modigliani (31 gennaio – 8 marzo), il cui catalogo è stato curato da Nello Ponente. l giorno prima dell’apertura della mostra viene sostituito un quadro contestato da Virgilio Guzzi di essere falso. Le opere accusate di falso nella mostra poi sono diventate due: il Nudo coricato e un Ritratto di donna. Palma Bucarelli era convinta, però che tutti i quadri e i disegni esposti fossero autentici e il catalogo della mostra dava le due opere per originali. Per arginare le polemiche la Bucarelli dichiarò che i dipinti era stato ritirato per “motivi organizzativi” ma non era stato possibile ristampare i cataloghi nei quali figurano i quadri rimossi.[15]

Il nudo, però, era stato esposto a Oslo, Copenaghen, ed era stato prestato da un’importante galleria, e la Bucarelli interpellò Lionello Venturi, Cesare Brandi e Jeanne Modigliani, che secondo quanto riporta Rachele Ferraio avrebbe dichiarato che quel dipinto “è una brutta ossessione” che la perseguita da oltre un anno.[16] La vicenda non ha avuto un seguito giudiziario e pertanto i dipinti sono stati restituiti al proprietario.

Poi ci fu la beffa di Livorno del 1984, sempre con grande imbarazzo per la GNAM, e anche prima, tra Vera Durbé curatrice della mostra monografica di Livorno, Modigliani: gli anni della scultura, per celebrare il centenario della nascita dell’artista e la figlia Jeanne, titolare del diritto morale e presidente degli Archives Legales Amedeo Modigliani si era aperta una querelle sull’autenticità del Ritratto di Picasso messo in mostra[17]. Ne racconta anche Giuliano Briganti sulla Repubblica, che viceversa lo reputa autentico.[18]

Per celebrare l’evento si penso di dragare il canale alla ricerca delle leggendarie teste che nel 1909 il giovane Modì aveva gettato nel canale prima della partenza per Parigi, di cui la Durbé aveva letto nei suoi studi. Il 24 luglio del 1984, emersero due teste, e questa volta anch’io ricordo bene di aver visto le immagini alla televisione, ai primi di agosto venne ritrovata la terza e la Durbé e il fratello Dario, Soprintendente della GNAM di Roma le diedero per autentiche e rivendicando la scoperta, supportati da gotha della critica dell’arte italiana: Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Enzo Carli e Carlo Ludovico Ragghianti.

Le prime due test vennero immediatamente esposte in mostra e pubblicate nel catalogo Due Pietre Ritrovate di Amedeo Modigliani, 1984.

La fine è nota. Le prime due teste di Modigliani, erano state realizzate da tre ragazzi livornesi buontemponi (Ghelarducci, Luridiana e Ferrucci) con un trapano della Black & Decker  (che ne usa l’immagine per farsi pubblicità con lo slogan “è facile essere bravi con Black & Decker” e la terza da Angelo Froglia, uno scultore che voleva semplicemente attuare una provocazione artistica, oggi la chiameremo performance e che dichiarò al tempo di aver voluto “evidenziare come[19] attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente”[20].

Un mese dopo, tre studenti universitari si presentarono alla redazione di Panorama dichiarando di essere gli autori della seconda testa e tutta la beffa venne svelata allo Speciale TG1 il 10 settembre del 1984[21].
Valerio Durbé venne rimosso dalla carica di soprintendente nell’ottobre del ’84 e venne trasferito. Il provvedimento impugnato prima davanti al Tar e poi davanti al Consiglio di Stato[22], ha confermato il suo diritto alla reintegrazione.

Jeanne Modigliani è morta a Parigi tre giorni dopo il ritrovamento della prima testa.
Bucarelli e Argan resteranno dei giganti, nonostante tutto, ma la storia, anche dell’arte, ci ha dimostrato che la teoria dell’occhio è fallibile e che la connaisseurship da sola ha fatto il suo tempo.

A differenza di Picasso, suo eterno rivale, ricco e fortunato in vita, che incontra Christian Zervos da studente che inizia a lavorare nel 1932 al suo catalogue raisonné che conta 34 volumi e riproduce oltre 16.000 opere d’arte, Modì non ha una memoria in vita e quel che si sa è più legato alla memoria dei suoi rapaci e opportunisti mercanti post mortem e alla sensibilità di una figlia studiosa e scrupolosa arrivata a Parigi trent’anni dopo.

Una foto storica del 5 luglio 1913 dove Paul Alexandre guida un carretto su cui sono accatastate le povere cose di Modigliani e i quadri sono buttati a terra, senza cura[23] racconta il trasloco di Amedeo da rue du Delta, dove Modì aveva abitato nella casa per artisti gestita dal dottore, sgomberato poiché il Comune ne aveva reclamato la proprietà, verso place Dancourt, e ben descrive la trascuratezza bohemienne che il pittore aveva per le cose.

A Livorno la situazione non era migliore. «Con nostro gran dispiacere» scriveva, dopo la sua morte, Margherita a Paul Alexandre «non abbiamo neanche un’opera di Amedeo … da Parigi sono stati riportati soltanto due disegni».
Il diritto morale d’autore ha dato legittimazione a milioni di falsi che circolano nel mercato dell’arte, ad archivi postumi costituiti da avidi figli, figliastri e vedove. Un diritto morale fatto da casalinghe, nipoti quarto grado o padri ripudiati. Da gente che non aveva neppure la competenza di distinguere il bue dall’asinello in un presepe, ma era mossa solo da un interesse economico o da una revanscista smania di protagonismo. Di questo il mercato non si è curato. Ogni chiesa ha bisogno del suo battista e il Catalogo di Ambrogio Ceroni pubblicato grazie a Lumia nel 1958 della galleria Il Milione, e dal suo alias Ambrogio Ceroni, aggiornato l’ultima volta nel 1970 che conta 337 dipinti è stato eretto dal mercato la Bibbia di Modigliani, nonostante Ambrogio Ceroni non fosse uno storico dell’arte e fosse fortemente legato al mercato (la Galleria Il Milione era al tempo la più prestigiosa di Milano e lui lavorava per loro). 

Lunia Czechowska, è stata la più cara amica e musa di Modì dal 1916, racconta nelle sue memorie di essere stata “l’unico essere umano ad aver assistito alla nascita di tutti gli autentici Modigliani”, “li ho visti mentre venivano dipinti, ho visto quale tipo di pennello utilizzava… e da dove, sulla tela, cominciava a dipingere”.[24] Lottman nella sua biografia su Modigliani riporta, che “alla fine degli anni Cinquanta, una galleria milanese le chiese di impostare un catalogo delle opere di Modigliani: le riproduzioni che le furono consegnate, che riempivano due valige, erano per la maggior parte fraudolente. «Al giorno d’oggi», disse nel 1985, «i falsi Modigliani sono più di quelli veri»”. Il catalogo era quello di Ceroni, edito dalla Galleria il Milione[25]. Lunia è stata l’ultima superstite della «belle époque» parigina. 

Di lei Aldo Santini, intervistato su Il tirreno 18 marzo del 1990 scrive “Lunia era un personaggio limpido e pulito. Onesto. Andai a trovarla nel luglio 1985, mentre preparavo la biografia su Modigliani. Lunia abitava in una stanza all’ultimo piano di un palazzo della vecchia Nizza. Era poverissima ma dignitosa. Quella stanza brillava di rettitudine morale.  Aveva sempre rifiutato di autenticare i falsi di Modigliani che le venivano sottoposti”[26]. Dei suoi 14 ritratti a olio e dei molti disegni che la ritraggono, Lunia racconta di tenere in casa solo una riproduzione di quello di profilo, con il collo lungo, nello scaffale dei libri e con tenerezza ricorda “conservo anche un manifesto che appesero nei tram di Milano quando dedicarono una grande mostra a Modigliani, nel Palazzo Reale”.

Ceroni, però, resta la Bibbia anche alla sua morte, la sua vedova, come se avesse ereditato il diritto morale del marito, ha proseguito nell’opera di autenticazione, cercando di nobilitarsi pubblicando a sua firma un volume sui nudi.[27]
Secondo Osvaldo Patani[28], però, il Gran Nu, pubblicato da Angela Ceroni a pagina 56 e in copertina del catalogo dei nudi sarebbe un noto falso, più volte pubblicato e addirittura, portato come esempio di opera contraffatta, nel ben noto saggio di Otto Kurz, Falsi e Falsari[29], e questo lo possiamo vedere ictu oculi. Il discusso ritratto di Marie Vorobieff-Stebelska (nota anche come Marvena) esposto al Puskin di Mosca autenticato da Parisot era accompagnato da una dichiarazione di Angela Bernardelli Ceroni, del 19 Giugno 1980, in cui dichiarava che Ambrogio Ceroni l’aveva autenticato.

Questa è la storia, ma nel processo per i “falsi” del Ducale è stata sentita come testimone la figlia di Ambrogio Ceroni, Anna Ceroni, storica dell’arte, che ha fatto parte del comitato scientifico della mostra Modigliani scultore tenutasi al Mart nel 2010 e che è evidentemente portatrice di interessi propri nel mercato, che ha riferito che il padre archiviava le foto delle opere che riteneva non di mano di Amedeo Modigliani in una cartellina e che tra queste avrebbe trovato tre opere esposte al Ducale, la Testa di donna dai capelli Rossi 1915 cm 41x 33, il Ritratto Femminile 1917 cm 60,4x 46 e il Ritratto di Maria 1918 circa cm 66×54.

Anna Ceroni è stata interpellata anche dalle autrici del recente paper pubblicato dalla Tate Madame Zborowska and Portrait of a Student: A Case Study of Two Paintings Not Included in Ambrogio Ceroni’s Modigliani Publication of 1970 e ha confermato di non aver trovato riferimenti al dipinto nell’archivio del padre, dichiarando “se l’ha visto, è possibile che ci fossero aspetti dell’aspetto e della tecnica che non si adattavano ad altre opere conosciute, sia di questa data che di questo soggetto. Sebbene Ceroni avesse un’immagine di Ritratto di uno studente nel suo archivio, è dubbio che abbia visto il dipinto di persona e potrebbe non aver sentito il lavoro abbastanza forte da includerlo basandosi solo su una fotografia”.

Resta però che due dipinti ora conservati in autorevoli musei, quali  Madame Zborowska del 1918 nella collezione Tate e  il Ritratto di uno studente (L’Etudiant) c.1918-19 del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, sono stati oggetto di uno studio approfondito anche scientificamente sono risultatati autentici e non furono inclusi nella pubblicazione di Ceroni del 1970 che è quindi pacificamente incompleto. La testimonianza de relato dell’erede di uno pseudo-connisseur morto e messificato dal mercato, quasi fosse titolare di un diritto morale, la ricorderemo, però, per un bel pezzo e non solo nei libri di diritto, essendo, tra l’altro, l’opera di Ceroni pacificamente non esaustiva e giuridicamente non graziata da terzietà. Se ciò non bastasse la figlia di Ambrogio, addirittura, nel processo ha negato che la madre rilasciasse autentiche, qui ne abbiamo citata una, ma tra le mie pratiche ne ho anch’io almeno cinque.

A ricostruire la memoria di Amedeo Clemente Modigliani, suo “povero babbo”, così lo chiamava la nonna, con amore è stata la figlia Jeanne, nata a Nizza il 29 novembre 1918 come Jenne Hébuterne, rimasta orfana a 14 mesi e adottata dalla zia Margherita nel 1928, divenuta una storica dell’arte. A Livorno la chiamavano Giovanna o affettuosamente Nannoli e si è trasferita a Parigi nel 1939, vent’anni dopo la morte del padre. 

Jeanne ha ricostruito la storia italiana della famiglia, abiurato la discendenza dal filoso Spinoza e corretto il falso storico del cognome della nonna che è Gaslin e non Garcin. Ha raccolto e catalogato ogni documento che potesse avere una valenza testimoniale della vita e dell’opera di Modigliani (lettere, cartoline, fotografie) e ha costituito post mortem nel 1983 l’Archivio a memoria d’artista, con il nome Modigliani Intitut Archives Legales Paris-Roma.

Jeanne ne assunse la Presidenza alla costituzione nominando archivista lo storico dell’arte Chiristian Gregori Parisot, e morì, in circostanze misteriose, un anno dopo la creazione, dopo aver denunciato la falsità delle teste del fosso di Livorno. Sulla reale consistenza degli Archives, però, non si hanno dati attendibili e neppure una pubblica schedatura del materiale che li componga, e a guardare l’immagine delle sue cose caricate su quel carretto, ci pare è arduo pensare che in quegli archivi, sorti vent’anni dopo la morte di Modigliani ci sia del materiale certo di proprietà dell’artista.

È certo, invece, che Jeanne avesse copia delle “novantatré splendide pagine su Modì” scritte dalla nonna poiché alcuni stralci sono riprodotti nella pubblicazione “Modigliani incontra Modigliani”, ma sembra che l’originale del manoscritto si trovi, invece, nelle mani di un collezionista privato che non intenda darne pubblica diffusione.

È certo anche Paulette Jourdain, la fillette, ritratta sovente da Modì quando era solo la giovanissima cameriera dagli Zborowski, alla sua morte, lasciò Jeanne “erede di tutti i documenti e gli oggetti riguardanti Modigliani e gli artisti con cui aveva lavorato. Nel luglio del 1969 Paulette ricevette Enzo Maiolino, che stava raccogliendo le testimonianze di tutte le persone che avevano incontrato Modigliani. Il libro in cui Maiolino mise insieme gli scritti autografi di diversi amici del pittore (dai coniugi Survage a
Indenbaum, da Lunia Czechowska a Pierre Bertin e altri di cui già si è data ampia citazione) e le trascrizioni di alcune conversazioni, uscì col titolo di Modigliani vivo presso l’editore torinese Fogola nel 1981”[30].

La proprietà dei beni costituenti l’archivio ha, invece, formato oggetto di un’azione legale di rivendicazione promossa da Laure Nechschein, una delle due figlie di Jeanne, contro Chiristian Gregori Parisot che ne era il detentore in forza di un singolare “acte de donation”, privo di solenni forme e decisa dal Tribunale di Roma con sentenza n. 51.2014 del 4 gennaio 2014. Una pronuncia difficilmente condivisibile e finanche bizzarra in cui un giudice capitolino rilevato che “la cessione dei beni non era stata una donazione nulla per difetto di forma ma il conferimento di beni per la costituzione di una persona giuridica per la tutela del nome dell’artista”, la qualificò come un mandato giuridicamente valido anche a valere post-mortem “conferito alla persona che potesse farne il miglior uso possibile”, Parisot, per l’appunto. 

Il Tribunale di Roma ritenne altresì che tra Jeanne e Parisot fosse stato validamente concluso un contratto atipico postulando che “l’archivio Modigliani della figlia Jeanne avesse valore come raccolta di creazioni dell’artista sulle quali potesse esercitare il diritto d’autore sia sotto il profilo morale che patrimoniale dovendosi considerare prevalente il valore artistico rispetto al valore degli oggetti in sé”. 

La definizione data dal giudice non collima con quella del Glossario della Direzione Generale per gli Archivi del Ministero per i beni e le attività culturali che indica il complesso dei documenti prodotti o acquisiti da un certo soggetto e da quest’ultimo ritenuti meritevoli di conservazione, consistenti nella
“raccolta ordinata e tendenzialmente completa degli atti di un ente o individuo che si costituisce durante lo svolgimento della sua attività ed è conservata per il conseguimento degli scopi politici, giuridici e culturali di quell’ente o individuo” e neppure convince la tesi della prevalenza del valore artistico dell’universalità dei beni su quello venale, soprattutto in assenza dell’apposizione di un vincolo come bene culturale. E ancor meno convince la tesi del mandato alla tutela del nome. 

Il diritto al nome, infatti, spetta a tutti i familiari dell’artista iure proprio in virtù dell’art. 8 del cod. civ. ed è un diritto personalissimo, irrinunciabile e incedibile e la morte del mandante è causa subiettiva di estinzione del mandato ai sensi dell’art. 1728 cod. civ., e il mandato avrebbe dovuto essere ritenuto perento alla morte di Jeanne e al tempo di causa.

Quegli Archivi nelle mani del titolare del diritto morale, avevano e hanno un valore commerciale e lo dimostrano le licenze di marchio concesse al tempo per l’utilizzo dell’immagine della “La donna dagli occhi blu”, alla FIAT per la realizzazione di un 500 Abarth, nel 2009, del sigaro toscano Modigliani, e della collezione di ceramiche creata da Richard Ginori e la mia tazza comprata alla mostra di Modigliani di Livorno, che se potessi scommettere, non aveva certamente una licenza per la riproduzione da Parisot, che piaccia o non piaccia è titolare del diritto di riproduzione.

Gli archivi sono rientrati in Svizzera all’inizio del 2019 da New York, dove per quattro anni erano stati affidati al libraio Glenn Horowitz, che aveva tentato senza successo di venderli per 4,6 milioni di dollari. Il corpus materiale degli Archivi Modigliani trasferiti nel porto franco di Chiasso e ceduti a tale Maria Stellina Marescalchi da Parisot, è stato sequestrato nel 2020 dalla Procura di Bellinzona a seguito di una denuncia presentata da Christian Parisot.

La loro sede legale, invece, dopo molte peregrinazioni, è giunta sino a Milano, proprio a due passi da casa mia, e risiede in un’anonima e brutta palazzina con a pian terreno un negozio di parrucchieri, senza neppure il fascino bohemien della soffitta di Montparnasse ove avevano vissuto Jeanne e Modì e si propone ancora come oggetto sociale la “concessione dei diritti di sfruttamento sui beni costituenti l’archivio legale dell’artista anche nei confronti di terzi”, ma nessuno nemmeno ritira la posta.

L’ultima casa, invece di Modigliani e Jeanne Hébuterne era una mansarda all’8 di rue de la Grande Chaumière, e quello studio è rimasto intatto per 4 anni e poi è stato occupato dal pittore Pierre Emile Gabriel Lelong, così scrive Jeanne Modigliani in Modigliani racconta Modigliani.

Emanuele, il fratello avvocato e deputato socialista, era riuscito ad arrivare a Parigi un mese dopo le esequie, e a trovare “nello studio un rotolo di disegni, con vari studi di nudo maschile, di cui uno compiuta a matita blu, tranquillamente scultoreo[31],  3 cartoline inviate da Eugenia, aveva, invece, incontrato una grande resistenza dei mercanti e dei galleristi a proposito della sorte delle opere di Amedeo. 

Quando gli autori de L’affare Modigliani hanno visionato le scatole dell’archivio dove sono contenuti i 6000 pezzi sequestrati 40 anni dopo la morte di Jeanne che ora si trovano in deposito presso Natural Lecoultre, nel porto franco di Ginevra, di proprietà di Yves Bouvier riferiscono di aver visionato lettere, disegni, cataloghi e persino una improbabile la tavolozza coperta dei colori del pittore e quattordici lastre fotografiche delle opere scattate nel 1919 da Pierre Choumoff per il gallerista Léopold Zborowski. 

E il fatto che neppure Glenn Horowitz sia riuscito a venderli lascia qualche dubbio sulla loro consistenza e sul valore economico che i fondi possano avere senza cessione dei diritti.

Alla senatrice del M5S che ha presentato due interrogazioni evidenziando che “il valore potenziale del marchio Modigliani, che gli Archivi consentono di gestire (la facoltà di autenticazione delle opere ha molto a che vedere con il fiorentissimo mercato dei falsi Modì), è infatti stimato in 100 milioni di euro”, a cui evidentemente nessuno ha spiegato che il diritto morale non si trasferisce, con l’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato e men che meno per Dichiarazione di interesse culturale. Quanto al marchio Modigliani, risulta sempre registrato il 27 novembre 2009 e rinnovato dall’ Istituto Amedeo Modigliani.

Quel che è certo, inoltre, è che in quell’archivio in origine non c’era nulla della madre Jeanne Hébuterne, la figlia, infatti, non ha mai beneficiato di alcuna eredità materna e i beni di sua madre sono finiti allo zio André Hébuterne, mediocre pittore da bouquinistes o ora sono di proprietà del nipote Luc Prunet, un avvocato parigino. Prunet, l’erede del becero contabile del grande magazzino, che aveva epurato la nipote Giovanna, adottata Modigliani, perché figlia di un ebreo o, forse, per l’eredità, non ha restituito nulla a Jeanne e si è buttato nel business Modigliani.

Ha prestato circa 60 disegni per la prima grande mostra con opere di Hébuterne, Modigliani e la sua cerchia (8 ottobre-24 dicembre 2000), alla Fondazione Cini di Venezia, curata da Christian Parisot. Per ignote ragioni, poi, scende dal carro di Parisot, rifiuta il prestito dei disegni per la mostra itinerante in Spagna nel 2002 e per le opere di Hébuterne, Segovia le opere su istanza di Prunet vengono sequestrate in quanto a suo dire contraffatte. Il suo consulente è diventato Marc Restelllini. Parisot è stato condannato dal Tribunal de Grande Instance de Paris nel gennaio del 2010 a due anni con sospensione della pena e una multa di € 50.000 ($ 70.000). Prunet, invece, salito sul carro di Restellini gli ha prestato per una mostra itinerante in Giappone da lui curata le opere della Hébuterne e 13 disegni di Modigliani inediti. Si tratta della mostra itinerante Modigliani et Hébuterne, le couple tragique, (aprile-dicembre 2007).[32] Anche Laure, una delle figlie di Jeanne Modigliani nel 2003, ha tentato di richiede ai Prunet, la restituzione delle opere dipinte dalla nonna, ma non ha ottenuto risposte positive.

Il 29 marzo 2019, però, è stata venduta da Christie’s al prezzo record per l’artista la Femme au chapeau cloche (1919), un olio su tela di (92,2 x 65,3 cm) che, come provenienza, riporta espressamente: Atelier de l’artiste. Poi per successione al proprietario attuale”. L’opera nel suo percorso espositivo ha solo Tokyo, Bunkamura Museum of Art; Sapporo, Museum of Contemporary Art; Osaka, Daimaru Museum Umeda; Shimane, Art Museum et Yamaguchi, Prefectural Museum of Art, Modigliani et Hébuterne, le couple tragique, avril-décembre 2007.

Precedentemente sempre da Christie’s, con la stessa provenienza e lo stesso percorso espositivo erano stato venduti nel 2008 il dipinto Portrait of Chaïm Soutine. Nel 2009 il disegno Autoportrait, nel 2014 il disegno Femme au Chapeau e nel 2017 il dipinto della La femme au collier, modèle de Modigliani.

Da un libro pubblicato nel dicembre 2022 da Damien Blanchard con la casa editrice Fiacre Les Hébuterne, une famille d’artistes dans l’ombre de Modigliani, risulterebbe che “quando la giovane donna rimase incinta, la sua famiglia scrisse una lettera in cui riconosceva la paternità della piccola Giovanna, che nacque il 29 novembre 1918”.[33]

Sebbene ci sia stato poco entusiasmo da parte loro, il fatto che la famiglia abbia rifiutato Modigliani deve essere messo in prospettiva. Le cose non sono così nette come a volte gli storici dell’arte le hanno fatte passare“, scrive Damien Blanchard, anche se ammette che la famiglia di Giovanna ha usato il termine “rapimento” per descrivere il modo in cui la figlia ha raggiunto il suo amante.

In compenso Parisot ha ottenuto una condanna di Restellini per diffamazione, per aver dichiarato alla stampa che l’80% delle opere di una mostra curata da Parisot a Venezia erano false[34] e un’assoluzione per aver esposto in mostra delle riproduzioni nel 2010-2011 al Castello Ursino a Catania. Una storia che ricorda tanto quella di «Album japanaise» di 6 disegni, firmati Vincent comprati da Plateroti e prestati al Comune di Treviso per una mostra che dopo 6 surreali gradi di giudizio (Trib. Treviso n. 414/2005; App. Venezia n. 369/2008; Cass. Pen. n. 9786/2009; Trib. Treviso n. 1262/2015; App. Venezia n. 1166/2018; Cass. Civ. n. 13866/2020).

Nonostante al processo del Ducale gli imputati siano stati tutti assolti quattro opere di Modigliani Cariatide Rossa/Les Epoux, (1913, olio su tela); Cariatide, (1914, tempera su carta); Ritratto femminile (1917, dipinto a olio) e Ritratto di Moricand (Modigliani, 1915, olio su tela)[35] sono state ritenute contraffatte e da bollare con lettera scarlatta e speriamo non per il bianco di zinco.


[1] Trois couleurs: Rouge, regia di Krzysztof Kieslowski, Francia, 1994. Il Giudice in pensione è impersonato da Jean-Louis Trintignant.

[2]Si veda: https://www.barberinicorsini.org/wp-content/uploads/2022/01/CV_Mariastella_Margozzi_2021-1.pdf

[3] Lo ricordiamo in Maledetto Modigliani, il docufilm del 2020 distribuito in Italia da Nexo Digital.

[4] Le società oggetto di liquidazione giudiziale sono SAS à associé unique ART MUSEUM DIFFUSION France e la SAS ART HERITAGE FRANCE, di cui il nome commerciale è LA PINACOTHEQUE DE PARIS. Di entrambe Restellini era presidente.

[5]  Questo è quanto dichiara Marie-Christine Decroocq, ricercatrice dell’Institut Restellini e riporta GEORGINA ADAM nel suo articolo Experts shed light on Modigliani’s murky market with new research project, apparso The Art Newspaper il 22 luglio 2016.

[6] Georgina Adam, The dangerous, fake-riddled world of Modiglianis  Death threats, market interests and too many specialists bedevil research into the subject, The Art Newspaper, 1 maggio 2002.

[7] https://www.livornotoday.it/cronaca/mostra-modigliani-livorno-indagini-costi.html

[8] Nel 1922-1923 Albert Barnes compro a Parigi 16 dipinti da Zborowski.

[9] E-mail a Gloria Gatti del 7 luglio 2023.

[10] Mansard Gallery, French Art 1914-1919, 9 agosto-6 settembre 1919:

[11] Il catalogo d’asta è consultabile al link https://bibliotheque-numerique.inha.fr/viewer/32542/?offset=#page=8&viewer=picture&o=bookmarks&n=0&q= (consultato il 7 luglio 2023).

[12]  S. Koldehoff T. TimmArt & crime. The fight against looters, forgers, and fraudsters in the high-stakes art world, Seven Stories press, 2022.

[13] Carnet inédit de Fernand Léger. Esquisses pour un portrait Vallier Dora, Cahiers d’art, Paris, 1958

[14] Il Tirreno 18 marzo 1990, intervista ad Aldo Santini.

[15] https://opac.lagallerianazionale.com/gnam-web/bio/detail/IT-GNAM-ST0004-043703/1959-falsi-modigliani.html?currentNumber=28&startPage=21&gridView=false

[16] R. Ferrario, Regina di quadri, Vita e passioni di Palma Bucarelli, Mondadori, 2010, pag. 199 e ss.

[17] La mostra su Modigliani falso uno dei dipinti?, “La Repubblica”, 11 luglio 1984.

[18] G. Briganti “Dedo” di Montparnasse. Nel centenario della nascita, Livorno dedica una mostra alle sculture di Amedeo Modigliani, “la Repubblica”, 24 luglio 1984.

[19] È morta a Parigi Jeanne Modigliani figlia del pittore, “La Repubblica”, 29 luglio 1984. Il 29 luglio il quotidiano Repubblica pubblica, postuma, una lettera della Modigliani dal titolo “Perché mi avete esclusa?”.

[20] Probabilmente, come Restellini, emulava Baudelaire.

[21] https://www.raicultura.it/arte/articoli/2021/08/Zeri-e-la-burla-di-Livorno-784c3169-90f6-479e-ad2a-f59f6a40f7fd.html

[22]  Cons. Stato, 14 novembre 1988, Ministero beni culturali e ambientali c. Durbè in Il Foro Amministrativo, 1988, fasc. 11, pp. 3279 – 3283.

[23] Si tratterebbe secondo H. R. Lottman di Tête de femme e Nu dolent, in Amedeo Modigliani Principe di Montaparnasse, Jaca Book, 2007, pag. 98.

[24] HR. Lottman, op cit, pag. 24La circostanza è confermata anche da A. NoëlModigliani inconnu – Témoignages, documents et dessins inédits de l’ancienne collection de Paul Alexandre,  Fonds Mercator Paribas, Anvers, 1993.

[25] A. Ceroni, Amedeo Modigliani pittore con i souvenirs di Lunia Czechowska, edizioni Galleria del Milione, 1958.

[26] Si veda https://www.magnanirocca.it/intervista-a-lunia-la-femme-au-col-blanc/ (consultato il 9 luglio 2023).

[27] Angela Ceroni, Amedeo Modigliani: Les nus, Düdingen, 1989.

[28] Osvaldo Patani, Amedeo Modigliani: Dipinti, 1991, Leonardo Arte, pag. 17.

[29] O. Kurz, Falsi e Falsari, Neri Pozza, pag. 102 e fig. 66 dell’appendice fotografica (in bianco e nero). La copertina del libro di Angela Ceroni è consultabile al link https://www.barnebys.it/aste/lotto/amedeo-modigliani-les-nus-angela-ceroni-simple-storia-dell-arte-uruuwbdti0

[30] B. Buscaroli, Ricordi di Via Roma, Il saggiatore 2010.

[31] Jeanne Modigliani, Modigliani, mio padre, Abscondita 2005, pag. 153.

[32] Tokyo, Bunkamura Museum of Art; Sapporo, Museum of Contemporary Art; Osaka, Daimaru Museum Umeda; Shimane, Art Museum et Yamaguchi, Prefectural Museum of Art.

[33] https://actu.fr/ile-de-france/meaux_77284/saviez-vous-que-la-muse-de-modigliani-etait-nee-a-meaux_55832401.html

[34] https://www.theartnewspaper.com/2006/09/01/police-search-montparnasse-museum-in-modigliani-fakes-investigation

[35] In totale sono solo otto le opere ritenute false dal giudice Massimo Deplano tra le 21 sequestrate nel 2017 nel corso della mostra a Palazzo Ducale, le altre quattro sono di Kisling.

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