“Mammaa, ma i quadri delle mostre che mi hai portato a vedere l’altro ieri sono tutti falsi, lo ha appena detto la TV!”.
Quell’umiliazione del 14 luglio 2017 ancora mi pesa e, come Dantès, ho sperato — anche egoisticamente — in una sentenza che cancellasse, oltre alla lettera scarlatta dell’infamia impressa sulle opere, anche la mia profondissima vergogna, consumata in un angusto angolo cottura di un bilocale ammobiliato in affitto sulla riviera ligure, e poi, molto più ampiamente, pubblicizzata dalla mia bambina sotto tutti gli ombrelloni verdi dello stabilimento balneare, che il giorno dello scandalo del Ducale sembrava essersi improvvisamente destato dal torpore vacanziero.
Perché per i quadri — che non hanno né un diritto di difesa né un avvocato — ancora più che per le persone, a mio modesto parere, vale la buona regola che mi ha insegnato il vecchio giudice di Film Rosso: «Il solo fatto di poter decidere qual è o non è la verità adesso mi sembra un atto di presunzione. Vanità? Vanità.»
Bollare un quadro come “falso” prima che sia stato emesso un provvedimento giudiziario che ne accerti la contraffazione equivale ad attribuire a taluno «la responsabilità di avere commesso un grave reato, esponendo la sua memoria al biasimo della collettività e ledendo gravemente la reputazione del soggetto cui il falso è attribuito» (Cass. Pen. Sez. V, 27 luglio 2016, n. 32787).
Il processo del Ducale si è concluso venerdì 13 giugno, dopo 5 anni e 11 mesi dal roboante sequestro in mostra, con l’assoluzione di tutti gli imputati e con una “condanna” di falsità per sole quattro opere esposte come autentici Modigliani. Si tratta di Cariatide Rossa/Les Époux (Modigliani, 1913, olio su tela); Cariatide (Modigliani, 1914, tempera su carta); Ritratto femminile (Modigliani, 1917, olio); e Ritratto di Moricand (Modigliani, 1915, olio su tela). Secondo l’ANSA, si aggiungono altri quattro dipinti che non sarebbero di mano di Kisling, benché autenticati dal figlio. Le motivazioni le conosceremo tra qualche tempo, ma Joseph Guttmann non potrà ascoltarle: è morto qualche settimana fa.
A pronunciare quella prima condanna mediatica, però — ben prima che si celebrasse un processo — fu una perizia della dott.ssa Mariastella Margozzi, dirigente del MIC, nota per aver bollato come false anche le opere della mostra L’impossibile è Noto (poi dissequestrate nel 2020 perché ritenute autentiche), così come per i troppi Volumi di Dadamaino che il Tribunale di Milano ha invece considerato autentici e che oggi sono in vendita in tutte le fiere d’arte. La Margozzi ha poi abdicato in favore di Isabella Quattrocchi, per ovvie ragioni di opportunità, trovandosi in un palese quanto imbarazzante conflitto d’interessi, essendo legata a Marc Restellini da un consolidato rapporto di collaborazione.
Secondo le poche e scarne righe scritte dall’“esperta”, si trattava di «falsi grossolani», con «firme dal tratto infantile» o «pasticciate», «figure assemblate» «senza alcuna competenza in materia» e tele invecchiate «in maniera maldestra», la cui falsità sarebbe stata svelata dal suo «occhio» infallibile, semplicemente fotografando «ogni pezzo sia davanti, sia dietro».
Il vero “merito” del sequestro, però, spetta ancora una volta a Carlo Pepi, adorabile e infaticabile collezionista ottuagenario, che sembra uscito dalla penna di Malvaldi: come se avesse abbandonato il BarLume e una partita di Briscola in cinque per dare la caccia ai falsari di Modigliani. Anche lui si è guadagnato il titolo di “esperto” — benché autodidatta, o incompetente secondo i punti di vista — per aver riconosciuto nel 1984, grazie al suo “fiuto”, che le famose teste di donna ritrovate a Livorno dopo il dragaggio dei canali erano false. Pepi, questa volta, ha gridato in mondovisione e alla Procura, come dicono spesso anche i “bimbi” di Malvaldi, che la mostra del Ducale era un “troiaio”.
In suo soccorso è intervenuto il mediatico, egotico e charmant storico dell’arte francese Marc Restellini,[3] mitizzato da Meryle Secrest nella biografia Modigliani: A Life del 2011 e nella docu-fiction di Nexo Digital Maledetto Modigliani. Da tempo, anche nel processo, Restellini si è proclamato — e costruito mediaticamente — come il massimo esperto vivente di Modigliani, secondo un’estetica quasi baudelairiana dell’intellettuale demiurgo. Tuttavia, per ogni expertise rilasciata, percepisce un compenso di circa 30.000 euro.
In giurisprudenza è stato chiarito, però, che «chi abbia ricevuto un incarico di catalogazione della produzione pittorica di un autore non può pretendersi legittimato a certificare l’autenticità di tale produzione; e anzi pone in essere un comportamento diffamatorio, rispondendo del danno morale, qualora pubblicamente dichiari di non riconoscere expertisedi autenticità di terzi, ingenerando così il sospetto di falsità sulle opere non da lui catalogate e autenticate» (Trib. Milano, Sezione IP, 13 dicembre 2004, Aida 2005, 1053/05).
Il black dandy, già allievo di Parisot, ha collaborato dal 1997 con il Wildenstein Institute di Parigi — oggi Wildenstein-Plattner Institut — che aveva annunciato la pubblicazione di un catalogue raisonné. La collaborazione si è però interrotta bruscamente a seguito di una serie di contenziosi sollevati dal Wildenstein a causa delle dichiarazioni rilasciate da Restellini.
L’Istituto fu infatti citato in giudizio da un collezionista per il rifiuto, da parte di Restellini, di archiviare la Jeune Femme brune di Modigliani, messa in vendita da Phillips con una stima tra 1,3 e 1,7 milioni di dollari (Shaltiel v. Wildenstein, 288 A.D.2d 136, 733 N.Y.S.2d 400 (N.Y. App. Div. 2001)).
Già in precedenza, due collezionisti francesi che avevano acquistato disegni di Modigliani in asta — il primo per 379.000 franchi e il secondo, Portrait de jeune fille, per 1.737.000 franchi — si erano visti negare l’inclusione delle opere nel catalogo annunciato dal Wildenstein, con la motivazione: «Vi informiamo che, dopo aver studiato la questione e visto il nostro attuale stato di conoscenza, non abbiamo intenzione, al momento, di includere l’opera in questione nel catalogo delle opere dipinte e disegnate di Amedeo Modigliani». Dopo una perizia giudiziaria, ottennero una sentenza che confermava l’autenticità delle opere e ne ordinava l’inclusione nel catalogo (TGI Paris, ord. référé, 14 settembre 1999, confermata dalla cour d’appel, Paris, 14e ch., sect. A, 19 aprile 2000; TGI Paris, 1e ch., 2e sect., 17 febbraio 2000).
Nel volume Art & Crime: The Fight Against Looters, Forgers, and Fraudsters in the High-Stakes Art World, si riporta che nel 2000 il collezionista svizzero Edgar Bavarel, proprietario di due disegni attribuiti a Modigliani, intentò causa contro il Wildenstein perché Restellini si era rifiutato di inserirli nel suo indice. I giudici dichiararono autentica una delle opere, Young Girl, e ordinarono agli esperti di includerla nel catalogo. Poco tempo dopo, Restellini annunciò di voler affidare all’ILP il progetto per la realizzazione di un catalogo dei disegni.
Il materiale di ricerca per questo catalogue raisonné, mai pubblicato, è oggi oggetto di una contesa legale negli Stati Uniti (Restellini v. Wildenstein Plattner Institute Inc., No. 20-04388 (S.D.N.Y. Sept. 22, 2021)). Restellini ha citato in giudizio il Wildenstein-Plattner Institut, che aveva pubblicamente dichiarato la propria intenzione di “digitalizzare l’intero suo archivio e di metterlo online gratuitamente”, minacciando così, secondo l’accusa, il monopolio di Restellini sull’“accesso diretto agli archivi primari”, come quelli di Roger Dutilleul, Paul Guillaume, Jonas Netter, tra gli altri. Tale accesso — si legge sul suo sito — costituirebbe il fondamento della sua legittimazione a rilasciare expertises a pagamento e a firmare il nuovo Catalogo Ragionato.
La composizione del materiale oggetto del contenzioso è segreta, e dunque non è possibile esprimere un’opinione fondata sulla pretesa lesione dei diritti di proprietà intellettuale rivendicati da Restellini nei confronti del Wildenstein. La normativa statunitense, del resto, non riconosce copyright alle banche dati — e, per estensione, agli archivi ad esse assimilabili — salvo che i singoli documenti contengano un sufficiente grado di creatività. La causa potrebbe dunque riguardare solo elementi specifici e non l’intera collezione documentaria. Sarà infine determinante valutare anche la natura e la forma della collaborazione di Restellini all’interno dell’Istituto.
È fatto pacifico, anche tra le parti, che per molti anni Restellini abbia cercato di comprare il materiale di ricerca dal WPI, e ciò lascia più di qualche dubbio sulla legittimità della sua pretesa. L’immagine e l’indipendenza dello storico dell’arte sono inoltre velate da una serie di circostanze opache, quali la liquidazione giudiziaria della Pinacothèque de Paris, dichiarata dal Tribunal de commerce de Paris, 14ème chambre, 4 novembre 2016, n° 2016059563[4], di proprietà di una società danese e di una fondazione olandese, con un passivo imbarazzante; la vicenda dell’apertura, nel 2015, della filiale di Singapore della Pinacothèque de Paris, di cui Restellini era presidente grazie ai fondi di Yves Bouvier, discusso proprietario del free-port di Ginevra e art dealer coinvolto in diversi processi per frode — il più noto dei quali riguarda la vendita, nell’arco di 12 anni, di 38 opere d’arte, tra cui il Salvator Mundi e “troppe” opere di Modigliani, alle trust company Accent Delight International Ltd. e Xitrans Finance Ltd., di proprietà del tycoon russo Dmitri Rybolovlev, magnate del potassio — per circa 2 miliardi di dollari, con un sovrapprezzo di oltre un miliardo di dollari e con l’ipotizzata complicità di Sotheby’s (Accent Delight Int’l v. Sotheby’s, 18-CV-9011 (JMF) (S.D.N.Y. Mar. 1, 2023)).
Pare, inoltre, che l’Institut Restellini, costituito dopo la rottura dei rapporti con il Wildenstein, stia conducendo le ricerche per il nuovo catalogo ragionato proprio in collaborazione con il Fine Arts Expert Institute, un ente con sede nel porto franco di Ginevra che è sempre di proprietà di Yves Bouvier[5].
A ciò si deve aggiungere che Osvaldo Patani ha rinunciato a pubblicare il quarto volume della sua opera, dichiarando che erano in gioco troppi interessi personali e troppi falsi in circolazione, a seguito della ricezione di una diffida legale inviatagli dal Wildenstein nel 1999 tramite avvocato per impedirgli di pubblicare un articolo (all’epoca non ancora scritto) in cui, a quanto pare, non era d’accordo con alcune attribuzioni di Restellini[6].
Restellini, attraverso l’Institut Restellini LLC, una s.r.l. registrata a Sharjah negli Emirati Arabi Uniti, ha incassato dal Comune di Livorno 1.225.000 euro per il prestito, l’ideazione, la produzione, i trasporti e l’assicurazione dell’esposizione Modigliani e l’avventura di Montparnasse, tenutasi a Livorno dal 7 novembre 2019 al 16 febbraio 2020, per la quale, a seguito delle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, sono emerse irregolarità relative all’accordo contrattuale stipulato il 16 settembre 2019 tra il Comune e l’Institut Restellini LLC, che comporterebbero una sanzione di 800.000[7]. Anche la Corte dei Conti di Firenze ha aperto un fascicolo sulla mostra.
Questo, per fortuna, mia figlia non lo sa, perché quella di Livorno è l’ultima mostra vista insieme prima del lockdown.
Al netto delle società esterovestite, La Bourguignonne (1918), un olio su tela di 55×38 cm, messo in asta il 6 giugno scorso da Giquello & Associés con un’attestazione di inclusione nel catalogo ragionato della pittura e dei disegni di Amedeo Modigliani in preparazione dal Wildenstein Institute e a firma di Marc Restellini datata 19 marzo 2001, è andata UNSOLD; ergo, nonostante le sue autoproclamazioni, i libri e i film, il mercato ha stabilito che senza Wildenstein, l’opinione di Restellini non ha alcuna fede privilegiata.
Il mercato tende sempre ad avere un atteggiamento conservativo o, forse più correttamente, gattopardesco e a conservare, in questo caso, l’autorevolezza del catalogo di Ceroni. Restellini, invece, sostiene che diverse opere pubblicate sul Ceroni siano dei falsi, tra cui il ritratto del Conte Wielhorski, al grande mercante e collezionista svizzero Ernst Beyeler, e che sarebbe falso anche il ritratto di Beatrice Hastings seduta, perché nel catalogo San Lazzaro del 1953 compare un’immagine del dipinto da cui risulta che una piccola porzione di tela non fosse finita. In quello di Ceroni del 1958, invece, il dipinto risulterebbe finito.
In Francia, inoltre, dal 19 febbraio al 19 settembre 2021, si è tenuta, senza il suo coinvolgimento, la mostra Les Secrets de Modigliani, organizzata presso il LaM – Lille Métropole Musée d’Art Moderne, d’Art Contemporain et d’Art Brut di Lille, a cura di Marie-Amélie Senot e di Anaïs Genty-Vincent, dove sono stati presentati i risultati di uno studio scientifico del C2RMF (Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France) su un nutrito corpus di opere di Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 – Parigi, 1920): 25 dipinti e 3 sculture (tra cui 6 opere conservate nelle raccolte del LaM), analizzate in collaborazione con l’azienda Chimie ParisTech e il Laboratoire de Miniaturisation pour la Synthèse, l’Analyse & la Protéomique dell’Università di Lille, i cui risultati sono stati pubblicati nel luglio del 2022 in un saggio, sempre dal titolo Les Secrets de Modigliani. Techniques et pratiques artistiques d’Amedeo Modigliani, edito da Invenit / Musée du LaM 2022, sempre a cura di Marie-Amélie Senot.
Anche la Barnes Foundation di Philadelphia, proprietaria di una importantissima collezione di dipinti autentici e di autentica provenance[8], nel 2023 ha organizzato la mostra Modigliani Up Close. Ha raccolto recenti scoperte scientifiche, permettendo di comprendere, grazie alla riflettografia all’infrarosso, che Modigliani non solo riutilizzava le tele, ma anche quadri e opere di altri artisti, non solo suoi. Don H. Johnson, professore emerito di ingegneria elettrica e informatica alla Rice University di Houston (Texas), ha sviluppato un software per stabilire, da una fotografia ai raggi X, se più tele provengano dallo stesso rotolo, come gli studiosi del Van Gogh Museum avevano già fatto per Van Gogh. E questi studi si aggiungono a quelli dell’organizzazione no-profit Modigliani Project, fondata nel 2016 dallo studioso Kenneth Wayne.
La scienza e le istituzioni museali si sono messe però al servizio dell’artista “maledetto” solo dagli esperti per proteggerlo dai “branchi di iene alla cui guida, azzannandosi uno contro l’altro […] hanno iniziato una corsa, attraverso associazioni, archivi e fondazioni, per appropriarsi del diritto di dichiarare autentici o falsi i reperti dell’artista, così da diventare gli autori del suo catalogo generale”. Le parole le abbiamo rubate a Germano Celant quando ha commentato l’eredità di Gino De Dominicis.
L’intento istituzionale è lodevole, utile, ma al momento non ancora dirimente. Sono da condividere le perplessità del Prof. Maurizio Seracini[9] che specifica che “per fare uno studio scientifico per caratterizzare tecnica e materiali dei dipinti di Modigliani (così come di qualsiasi altro artista) i cui risultati possano essere comparati con quelli ottenuti da altre opere attribuite o sospettate false, il primo passo è definire una metodologia, quindi una sequenza di tecnologie da utilizzare, ovviamente spiegandone le finalità e relativi protocolli applicativi e quindi seguire sistematicamente la suddetta metodologia su tutte le opere. Altrimenti, ciascun laboratorio opererà in funzione delle strumentazioni e delle competenze di cui dispone, senza seguire un metodo che possa garantire l’acquisizione di tutti i dati finalizzati agli scopi suddetti e quindi rendendo opinabile un eventuale confronto con altri dati ottenuti da altre opere, a causa di un diverso approccio metodologico.”
Restellini, però, di recente, è riuscito a curare l’importante mostra Modigliani. The primitivist revolution (17 settembre – 9 gennaio 2022), all’Albertina di Vienna, ove ha esposto Il ritratto di Picasso, già comparso a Livorno nella mostra curata dai fratelli Dubré (quella delle false teste) e già contestato di non autenticità da Jeanne Modigliani, Maurizio Calvesi e da Federico Zeri, su cui si è aperta una nuova inchiesta giudiziaria.
Nel “nostro” processo, invece, per restare in tema di carte da gioco, hanno piazzato un carico da 11, Dania Mondini e Claudio Loiodice, che, forse, hanno minor competenza curricolare in materia di Carlo Pepi, pubblicando, nell’ottobre 2019, un imbarazzante volume “inchiesta” sull’“Affare Modigliani”, dove i “bimbi”, gettate le carte, sono stati messi dagli autori a giocare a Indiani e Cowboys.
Nella lettura unpolitically correct di quello che sarebbe, a loro dire, il Watergate dell’arte, lo scandalo Modigliani (ah no… quel titolo l’ha già usato Ken Follett), i Cowboys buoni del libro sono (Carlo Pepi, Marc Restellini e Isabella Quattrocchi) mentre gli indiani cattivi sono gli imputati (Joseph Guttmann, Massimo Zelmann, Rudy Chiappini, Nicolò Sponzilli, Rosa Fasan, Pietro Pedrazzini) e Christian Parisot.
Tra i buoni c’è Isabella Quattrocchi, quell’esperta senza laurea che ha dichiarato alla televisione svizzera: “Quando mi sono trovata dinanzi ai quadri mi è venuto da piangere” per l’artista. Asciugate le lacrime, però, nel 2019, a processo non ancora concluso, la super-perita della Procura si è fatta avanti platealmente tra coloro che sgomitano per diventare il nuovo oracolo di Modigliani e all’edizione MIART 2019, la Galleria Russo di Roma ha esposto e messo in vendita 2 opere che la Quattrocchi certificava essere autentiche di mano di Amedeo Modigliani secondo la sua visione sciamanica: per la “Cariatide” il prezzo richiesto era 1.000.000,00 di euro, mentre per la “Testa di donna” la richiesta era di 850.000,00.
Nonostante sia pacifico che il certificato di autenticità sia una mera “expertise” ossia “un documento contenente il parere di un esperto, considerato competente e autorevole, in merito all’autenticità e all’attribuzione di un’opera d’arte, e ritenuto che tale documento può essere rilasciato da chiunque sia competente e autorevole, non trattandosi di un diritto riservato in esclusiva agli eredi dell’artista – i quali non possono, quindi, attribuire o negare a terzi (ad es., critici d’arte o studiosi) la facoltà di rilasciare ‘expertises’ in merito all’autenticità dell’opera del loro congiunto –, la formulazione dei giudizi sull’autenticità e sul conseguente valore di un’opera d’arte di un artista defunto costituisce espressione del diritto alla libera manifestazione del pensiero, e, pertanto, può essere effettuata da qualunque soggetto considerato esperto” (Tribunale Roma 16 febbraio 2010, n. 3425), e che, quindi, anche la Quattrocchi, benché non abbia una laurea né alle sue spalle pubblicazioni scientifiche su Modigliani, o redazioni di cataloghi ragionati, possa liberamente rilasciare una sua “opinion”, altrettanto vero è che, al tempo, essendo il processo ancora in corso, il ruolo di soggetto “certificatore” è apparso decisamente poco opportuno se non addirittura incompatibile con quello di ausiliario del PM, per un pacifico conflitto d’interesse nel mercato.
La figura del consulente tecnico del Pubblico Ministero, da taluni, inoltre, è equiparata al testimone e soggetta a un obbligo di verità, da altri, invece, è equiparata al CTU e come tale soggetta all’obbligo di astensione di cui all’art. 36 c.p.p., lettera h), se esistono altre gravi ragioni di convenienza.
Ma bisogna tornare molto indietro per provare a capire qualcosa in quella narrazione partigiana dei due rampanti giornalisti che certamente è solo una sconfitta per la storia dell’arte. Amedeo Modigliani è morto povero a 35 anni all’Hôpital de la Charité a Parigi in una fredda mattina di gennaio del 1920 per meningite tubercolare, lasciando Jeanne Hébuterne, incinta di nove mesi, e una figlia non riconosciuta di 20 mesi, chiamata Jeanne come la madre.
L’Hébuterne gli è sopravvissuta solo un giorno e lo ha seguito gettandosi dalla finestra dopo essere stata ricondotta al 5° piano della casa del padre, un becero capocontabile ai grandi magazzini “Bon Marché”, tale Achille Casimir Hébuterne, di religione cattolica, che non le aveva perdonato l’amore per un ebreo. Le spoglie di Amedeo sono state tumulate come quelle di un principe al Père-Lachaise grazie a una colletta lanciata tra pittori e modelle da Moïse Kisling.
Il “principe” ha avuto un funerale monumentale come voleva la madre che scriveva a Zborowski: “copritelo di fiori, provvederò a rimborsarvi”. Francis Carco racconta che Picasso “alla vista di questa scena diede il senso della cosa girandosi verso di me e segnando il carro funebre in cui Modigliani riposava sotto i fiori, poi gli agenti e mi disse dolcemente – vedi …ha vinto!”.
Jeanne, riconosciuta solo dalla madre fino al suo rientro a Livorno, è stata accudita da Lunia e da Paulette Jourdain e poi, legalmente adottata da Margherita Modigliani, una delle sorelle di Amedeo.
Modigliani era scappato da un’Italia paralizzata, noiosamente ostaggio delle vacche, dei pascoli dei macchiaioli, per dipingere le persone, la loro anima, rifiutando di aderire ai movimenti (Severini gli propone il movimento futurista franco-italiano e Picasso il cubismo).
Amedeo non era un fallito. La comunità artistica lo stimava, Parigi ne era affascinata, ma dapprincipio solo Paul Alexandre ha comprato i suoi lavori e lui ha vissuto grazie ai sostegni economici inviatigli dalla famiglia da Livorno.
Il pittore Anselmo Bucci scrive nelle sue memorie che nell’inverno del 1906 aveva notato nella vetrina d’un negozietto, all’angolo tra rue des Saints-Pères e boulevard Saint-Germain, “tre visi di donna esangui e allucinati, quasi monocromi dipinti colla terra verde e col color magro su piccole tele” di un tale Modigliani, che non sono state vendute. La galleria apparteneva alla poetessa Laura Wylda.
La sua prima e unica mostra personale è organizzata da Zborowski e si tiene alla galleria Berthe Weill nel 1917, Exposition des Peintures et des Dessins de Modigliani dal 3 al 30 dicembre 1917, e suscita l’interesse dei mercanti Jonas Netter e Roger Dutilleul, ma viene subito chiusa per oscenità, per aver turbato la morale pubblica del pudore per un nudo esposto in vetrina. Delle 32 opere esposte sono venduti solo due disegni per 30 franchi ciascuno e la gallerista acquista cinque tele per sé stessa.
Nel 1918 il poeta Leopold Zborowski diventa suo agente esclusivo, prendendo il posto occupato da Paul Guillaume dal 1914; lo mette a libro paga con un compenso di 15 franchi al giorno e si accolla il costo di tele e colori. Nell’agosto del 1919 lo fa esporre alla Mansard Gallery di Londra (50 disegni e 9 tele a olio), ma, venuto a sapere che Modigliani è in punto di morte, sospende le vendite delle opere, sicuro di ottenere migliori ricavi una volta che il pittore fosse deceduto. Qualcuno sostiene, invece, che fosse stato Modigliani stesso a mandare un telegramma con quelle istruzioni.
Il 28 marzo 1919, all’Hotel Drouot, vengono battuti due dipinti della collezione di Eugène Descave, il commissario di polizia amico degli artisti di Montparnasse. Si tratta del Ritratto di Dédie e dell’Italienne (un nudo). Sono venduti. Si narra, però, che Zborowski si sia anche servito di Kisling, buon amico di Modigliani, per fargli “finire” le opere incompiute.
Nel loro volume Art & Crime: The Fight Against Looters, Forgers, and Fraudsters in the High-Stakes Art World, Koldehoff e Timm riportano che Zbo avrebbe chiesto ad “altri amici e colleghi di Modigliani di completare i suoi dipinti incompiuti. In seguito, avrebbe chiesto loro di dipingere opere nello stile di Modigliani e di firmare con il suo nome”. E ancora che “il pittore francese Fernand Léger ha ricordato, in una conversazione con la storica e critica d’arte Dora Vallier, che il completamento e la falsificazione di opere di pittori popolari era una pratica comune nei circoli degli artisti parigini durante la vita di Modigliani e che era comprensibilmente un buon modo per guadagnare denaro”.
Così come l’amico di Léger ricordava di aver preso in prestito opere dall’atelier di Modigliani per copiarle e venderle a pagamento, tali pratiche non erano certo un fallimento, nonostante quanto sostenuto da molte biografie successive alla sua morte. Per quanto outsider, Modigliani non è mai stato un solitario e anzi è storicamente provato che abbia condiviso spazi e idee con Kisling, Soutine, Utrillo e molti di quella che viene chiamata l’École française. L’amata Jeanne Hébuterne era lei stessa pittrice. E oggi gli studiosi della Barnes Foundation hanno dimostrato scientificamente che Modigliani dipingeva anche su tele già dipinte da altri artisti.
Bon courage a quelli che hanno la presunzione di mettere i dipinti nella casella dei veri e dei falsi e di non rispettare le opinioni altrui e le scelte degli artisti. Non ha aiutato, inoltre, come racconta Jean Cocteau, ritratto molte volte da Modigliani, il fatto che Dedo “distribuisse i suoi disegni come un indovino zingaro, regalandoli, e questo spiega perché, sebbene esistano una cinquantina di miei disegni, ne possiedo solo uno”.
La storia tragica di Modigliani ha catturato, inoltre, tanto l’attenzione dei collezionisti quanto quella dei falsari, tra cui anche Elmyr De Hory, cui ha dato spazio Orson Welles in F come falso (Vérités et mensonges) nel 1973.
Già nel 1932, Margherita Modigliani scriveva: «I falsi Modigliani aumentano di giorno in giorno; deve essercene una fabbrica a Parigi». Era stata informata di un’asta pubblica in cui era stata proposta una tela di Modigliani intitolata Étude à Tunis. Ma Modigliani non era mai stato in Tunisia”.
Il primo “scandalo Modigliani” si deve, però, a Palma Bucarelli, la “regina di quadri”, storica direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dal 1940 al 1975, che il 30 gennaio del 1959 ha inaugurato una retrospettiva di Amedeo Modigliani (31 gennaio – 8 marzo), il cui catalogo è stato curato da Nello Ponente. Il giorno prima dell’apertura della mostra viene sostituito un quadro contestato da Virgilio Guzzi come falso. Le opere accusate di falso nella mostra poi sono diventate due: il Nudo coricato e un Ritratto di donna. Palma Bucarelli era convinta, però, che tutti i quadri e i disegni esposti fossero autentici e il catalogo della mostra dava le due opere per originali. Per arginare le polemiche la Bucarelli dichiarò che i dipinti erano stati ritirati per “motivi organizzativi”, ma non era stato possibile ristampare i cataloghi nei quali figurano i quadri rimossi.
Il nudo, però, era stato esposto a Oslo, Copenaghen, ed era stato prestato da un’importante galleria, e la Bucarelli interpellò Lionello Venturi, Cesare Brandi e Jeanne Modigliani, che secondo quanto riporta Rachele Ferrario avrebbe dichiarato che quel dipinto “è una brutta ossessione” che la perseguita da oltre un anno. La vicenda non ha avuto un seguito giudiziario e pertanto i dipinti sono stati restituiti al proprietario.
Poi ci fu la beffa di Livorno del 1984, sempre con grande imbarazzo per la GNAM, e anche prima, tra Vera Durbé, curatrice della mostra monografica di Livorno Modigliani: gli anni della scultura, per celebrare il centenario della nascita dell’artista, e la figlia Jeanne, titolare del diritto morale e presidente degli Archives Légales Amedeo Modigliani, si era aperta una querelle sull’autenticità del Ritratto di Picasso messo in mostra. Ne racconta anche Giuliano Briganti su la Repubblica, che viceversa lo reputa autentico.
Per celebrare l’evento si pensò di dragare il canale alla ricerca delle leggendarie teste che nel 1909 il giovane Modì aveva gettato nel canale prima della partenza per Parigi, di cui la Durbé aveva letto nei suoi studi. Il 24 luglio del 1984 emersero due teste, e questa volta anch’io ricordo bene di aver visto le immagini alla televisione. Ai primi di agosto venne ritrovata la terza, e la Durbé e il fratello Dario, Soprintendente della GNAM di Roma, le diedero per autentiche e rivendicarono la scoperta, supportati dal gotha della critica d’arte italiana: Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Enzo Carli e Carlo Ludovico Ragghianti.
Le prime due teste vennero immediatamente esposte in mostra e pubblicate nel catalogo Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani, 1984.
La fine è nota. Le prime due teste di Modigliani, erano state realizzate da tre ragazzi livornesi buontemponi (Ghelarducci, Luridiana e Ferrucci) con un trapano della Black & Decker (che ne usa l’immagine per farsi pubblicità con lo slogan “è facile essere bravi con Black & Decker”), e la terza da Angelo Froglia, uno scultore che voleva semplicemente attuare una provocazione artistica, oggi la chiameremo performance e che dichiarò al tempo di aver voluto “evidenziare come[19] attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente”[20].
Un mese dopo, tre studenti universitari si presentarono alla redazione di Panorama, dichiarando di essere gli autori della seconda testa, e tutta la beffa venne svelata allo Speciale TG1 il 10 settembre 1984[^21].
Valerio Durbé venne rimosso dalla carica di soprintendente nell’ottobre dello stesso anno e trasferito. Il provvedimento, impugnato prima davanti al TAR e poi al Consiglio di Stato[^22], si concluse con la conferma del suo diritto alla reintegrazione.
Jeanne Modigliani è morta a Parigi tre giorni dopo il ritrovamento della prima testa.
Bucarelli e Argan resteranno dei giganti, nonostante tutto. Tuttavia, la storia – anche quella dell’arte – ha dimostrato che la teoria dell’occhio è fallibile, e che la connoisseurship da sola ha fatto il suo tempo.
A differenza di Picasso, suo eterno rivale, ricco e celebrato in vita, che incontrò Christian Zervos da studente (e che nel 1932 iniziò a lavorare al suo catalogue raisonné in 34 volumi, con oltre 16.000 opere riprodotte), Modì non ebbe memoria in vita. Quel che si sa di lui è legato più alla memoria di mercanti postumi, rapaci e opportunisti, e alla sensibilità di una figlia studiosa e scrupolosa, arrivata a Parigi trent’anni dopo.
Una foto storica del 5 luglio 1913, dove Paul Alexandre guida un carretto con le povere cose di Modigliani accatastate e i quadri buttati a terra senza cura[^23], racconta il trasloco da rue du Delta – dove Modì abitava nella casa per artisti gestita dal dottore, poi sgomberata poiché reclamata dal Comune – verso place Dancourt, ben rappresentando la trascuratezza bohemien che il pittore riservava agli oggetti.
A Livorno la situazione non era migliore. «Con nostro gran dispiacere», scriveva Margherita a Paul Alexandre dopo la sua morte, «non abbiamo neanche un’opera di Amedeo… da Parigi sono stati riportati soltanto due disegni».
Il diritto morale d’autore ha legittimato milioni di falsi in circolazione nel mercato dell’arte, e archivi postumi costituiti da avidi figli, figliastri e vedove. Un diritto morale affidato a casalinghe, nipoti di quarto grado o padri ripudiati. Persone che non avevano nemmeno la competenza per distinguere un bue da un asinello in un presepe, mosse solo da interessi economici o da una smania revanscista di protagonismo. Di ciò, il mercato non si è mai curato. Ogni chiesa ha bisogno del suo battista, e così il Catalogo di Ambrogio Ceroni, pubblicato grazie a Lumia nel 1958 dalla Galleria Il Milione (e aggiornato l’ultima volta nel 1970, con 337 dipinti), è stato eretto a Bibbia di Modigliani, nonostante Ceroni non fosse uno storico dell’arte e fosse fortemente legato al mercato: la Galleria Il Milione era allora la più prestigiosa di Milano, e lui lavorava per loro.
Lunia Czechowska, amica e musa prediletta di Modì dal 1916, racconta nelle sue memorie: «Sono l’unico essere umano ad aver assistito alla nascita di tutti gli autentici Modigliani. Li ho visti mentre venivano dipinti, ho visto che tipo di pennello usava e da dove iniziava a dipingere sulla tela»[^24]. Lottman, nella sua biografia su Modigliani, riporta che «alla fine degli anni Cinquanta una galleria milanese le chiese di impostare un catalogo delle opere di Modigliani: le riproduzioni che le furono consegnate, che riempivano due valigie, erano per la maggior parte false. “Al giorno d’oggi”, disse nel 1985, “i falsi Modigliani sono più dei veri”». Il catalogo era quello di Ceroni, edito dalla Galleria Il Milione[^25]. Lunia fu l’ultima superstite della belle époque parigina.
Di lei, Aldo Santini scrisse su Il Tirreno del 18 marzo 1990: «Lunia era un personaggio limpido e pulito. Onesto. Andai a trovarla nel luglio 1985, mentre preparavo la biografia su Modigliani. Lunia abitava in una stanza all’ultimo piano di un palazzo nella vecchia Nizza. Era poverissima ma dignitosa. Quella stanza brillava di rettitudine morale. Aveva sempre rifiutato di autenticare i falsi Modigliani che le venivano sottoposti»[^26]. Dei suoi 14 ritratti a olio e molti disegni, Lunia racconta di tenere in casa solo una riproduzione di quello di profilo, con il collo lungo, nello scaffale dei libri. Ricorda con tenerezza: «Conservo anche un manifesto che appesero nei tram di Milano quando dedicarono una grande mostra a Modigliani, nel Palazzo Reale».
Ceroni, però, resta la Bibbia. Dopo la sua morte, la vedova – come se avesse ereditato il diritto morale del marito – ha continuato l’opera di autenticazione, pubblicando a suo nome un volume sui nudi[^27]. Secondo Osvaldo Patani[^28], però, il Gran Nu, pubblicato da Angela Ceroni a pagina 56 e in copertina del catalogo, sarebbe un noto falso, più volte riprodotto e persino citato come esempio di opera contraffatta nel noto saggio di Otto Kurz, Falsi e Falsari[^29]. E questo lo si può vedere ictu oculi. Il discusso ritratto di Marie Vorobieff-Stebelska (nota anche come Marvena), esposto al Puskin di Mosca e autenticato da Parisot, era accompagnato da una dichiarazione di Angela Bernardelli Ceroni del 19 giugno 1980, secondo cui Ambrogio Ceroni lo avrebbe autenticato.
Questa è la storia. Ma nel processo per i “falsi” del Ducale è stata sentita come testimone Anna Ceroni, figlia di Ambrogio, storica dell’arte, membro del comitato scientifico della mostra Modigliani scultore (Mart, 2010), chiaramente portatrice di interessi nel mercato. Ha riferito che il padre archiviava le foto delle opere non ritenute autentiche in una cartellina, e che tra queste figuravano tre opere esposte al Ducale: Testa di donna dai capelli rossi (1915, cm 41×33), Ritratto femminile (1917, cm 60,4×46) e Ritratto di Maria (circa 1918, cm 66×54).
Anna Ceroni è stata interpellata anche dalle autrici del recente paper pubblicato dalla Tate, Madame Zborowska and Portrait of a Student: A Case Study of Two Paintings Not Included in Ambrogio Ceroni’s Modigliani Publication of 1970, confermando l’assenza di riferimenti al dipinto nell’archivio paterno. Ha dichiarato: «Se lo ha visto, è possibile che ci fossero aspetti dell’aspetto e della tecnica che non si adattavano ad altre opere conosciute, sia per data che per soggetto». Pur avendo un’immagine del Ritratto di uno studente nell’archivio, è dubbio che Ceroni abbia visto il dipinto di persona e, basandosi solo su una fotografia, potrebbe non averlo ritenuto sufficientemente valido da includerlo.
Resta il fatto che due dipinti oggi conservati in autorevoli musei – Madame Zborowska (1918, Tate) e Ritratto di uno studente (L’Étudiant, c. 1918–19, Solomon R. Guggenheim Museum, New York) – sono stati oggetto di studio scientifico e riconosciuti autentici, pur non essendo stati inclusi nella pubblicazione Ceroni del 1970, pacificamente incompleta. La testimonianza de relato dell’erede di uno pseudo-connoisseur, ormai messificato dal mercato quasi fosse titolare di un diritto morale, resterà impressa a lungo, non solo nei libri di diritto, dato che l’opera di Ceroni è non esaustiva e giuridicamente priva di terzietà. Se ciò non bastasse, la figlia di Ceroni ha persino negato che la madre rilasciasse autentiche: eppure, qui ne è citata una, e tra le mie pratiche ne ho almeno cinque.
A ricostruire la memoria di Amedeo Clemente Modigliani – il suo “povero babbo”, come lo chiamava la nonna – è stata con amore la figlia Jeanne, nata a Nizza il 29 novembre 1918 come Jenne Hébuterne, rimasta orfana a 14 mesi e adottata dalla zia Margherita nel 1928, divenuta storica dell’arte. A Livorno la chiamavano Giovanna o affettuosamente Nannoli, e si trasferì a Parigi nel 1939, vent’anni dopo la morte del padre.
Jeanne ha ricostruito la storia italiana della famiglia, abiurato la discendenza da Spinoza, e corretto il falso storico sul cognome della nonna (che era Gaslin, non Garcin). Ha raccolto e catalogato ogni documento di valore testimoniale sulla vita e l’opera del padre – lettere, cartoline, fotografie – e ha costituito post mortem, nel 1983, l’Archivio a memoria d’artista: Modigliani Institut Archives Légales Paris–Roma.
Jeanne ne fu presidente e nominò archivista lo storico dell’arte Christian Gregori Parisot. Morì in circostanze misteriose un anno dopo la fondazione, dopo aver denunciato la falsità delle teste del fosso di Livorno. Sulla consistenza effettiva degli Archives, però, non si hanno dati certi né esiste una schedatura pubblica. E a vedere le immagini delle sue cose caricate su quel carretto, è difficile credere che negli archivi – sorti vent’anni dopo la morte di Modigliani – vi sia materiale certamente appartenuto all’artista.
È invece certo che Jeanne possedesse una copia delle “novantatré splendide pagine su Modì” scritte dalla nonna, poiché alcuni stralci sono riprodotti nella pubblicazione Modigliani incontra Modigliani. L’originale del manoscritto, però, sembrerebbe essere nelle mani di un collezionista privato che non intende renderlo pubblico.
È certo anche che Paulette Jourdain – la fillette spesso ritratta da Modì, allora giovane cameriera dagli Zborowski – lasciò Jeanne, alla sua morte, erede di tutti i documenti e oggetti riguardanti Modigliani e gli artisti con cui aveva lavorato. Nel luglio 1969, Paulette ricevette Enzo Maiolino, che raccoglieva testimonianze di chi aveva conosciuto Modigliani. Il libro, Modigliani vivo, fu pubblicato da Fogola (Torino, 1981)[^30].
La proprietà dei beni costituenti l’archivio fu oggetto di un’azione legale di rivendicazione promossa da Laure Nechschein, una delle due figlie di Jeanne, contro Christian Gregori Parisot, che ne era detentore per via di un singolare acte de donation privo di forme solenni. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 51.2014 del 4 gennaio 2014, ritenne che la cessione dei beni non fosse una donazione nulla, ma un conferimento per la costituzione di una persona giuridica, volto alla tutela del nome dell’artista. Fu quindi qualificata come un mandato giuridicamente valido, anche post mortem, conferito a chi potesse farne il miglior uso possibile – Parisot, appunto.
Il Tribunale ritenne inoltre che tra Jeanne e Parisot fosse stato validamente concluso un contratto atipico, affermando che «l’archivio Modigliani della figlia Jeanne avesse valore come raccolta di creazioni dell’artista sulle quali potesse esercitarsi il diritto d’autore sia sotto il profilo morale che patrimoniale, dovendosi considerare prevalente il valore artistico rispetto a quello degli oggetti in sé».
Questa definizione, però, non coincide con quella del Glossario della Direzione Generale per gli Archivi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che definisce un archivio come:
“Raccolta ordinata e tendenzialmente completa degli atti di un ente o individuo che si costituisce durante lo svolgimento della sua attività ed è conservata per il conseguimento degli scopi politici, giuridici e culturali di quell’ente o individuo”.
Né convince la tesi della prevalenza del valore artistico sull’aspetto venale, soprattutto in assenza di un vincolo come bene culturale. Ancora meno convince la tesi del mandato alla tutela del nome.
Quegli Archivi, nelle mani del titolare del diritto morale, avevano e hanno un valore commerciale, come dimostrano le licenze di marchio concesse all’epoca per l’utilizzo dell’immagine della “Donna dagli occhi blu”: alla FIAT per la realizzazione di una 500 Abarth nel 2009, al sigaro toscano Modigliani, alla collezione di ceramiche creata da Richard Ginori e alla mia tazza comprata alla mostra di Modigliani di Livorno, che — se potessi scommettere — non aveva certamente una licenza per la riproduzione da Parisot, il quale, piaccia o no, è titolare del diritto di riproduzione.
Gli Archivi sono rientrati in Svizzera all’inizio del 2019 da New York, dove per quattro anni erano stati affidati al libraio Glenn Horowitz, che aveva tentato senza successo di venderli per 4,6 milioni di dollari. Il corpus materiale degli Archivi Modigliani, trasferito nel porto franco di Chiasso e ceduto da Parisot a tale Maria Stellina Marescalchi, è stato sequestrato nel 2020 dalla Procura di Bellinzona a seguito di una denuncia presentata da Christian Parisot.
La loro sede legale, invece, dopo molte peregrinazioni, è giunta fino a Milano, proprio a due passi da casa mia, e risiede in un’anonima e brutta palazzina con, al pian terreno, un negozio di parrucchieri, senza neppure il fascino bohémien della soffitta di Montparnasse, ove avevano vissuto Jeanne e Modì. Si propone ancora come oggetto sociale la “concessione dei diritti di sfruttamento sui beni costituenti l’archivio legale dell’artista anche nei confronti di terzi”, ma nessuno ritira nemmeno la posta.
L’ultima casa di Modigliani e Jeanne Hébuterne era invece una mansarda all’8 di rue de la Grande Chaumière, e quello studio è rimasto intatto per quattro anni prima di essere occupato dal pittore Pierre Emile Gabriel Lelong — così scrive Jeanne Modigliani in Modigliani racconta Modigliani.
Emanuele, il fratello avvocato e deputato socialista, riuscì ad arrivare a Parigi un mese dopo le esequie e a trovare “nello studio un rotolo di disegni, con vari studi di nudo maschile, di cui uno compiuto a matita blu, tranquillamente scultoreo”, oltre a tre cartoline inviate da Eugenia. Incontrò però una grande resistenza da parte dei mercanti e dei galleristi riguardo alla sorte delle opere di Amedeo.
Quando gli autori de L’affare Modigliani hanno visionato le scatole dell’archivio contenenti i 6000 pezzi sequestrati, quarant’anni dopo la morte di Jeanne, e ora in deposito presso Natural Lecoultre, nel porto franco di Ginevra, di proprietà di Yves Bouvier, riferiscono di aver visto lettere, disegni, cataloghi, persino un’improbabile tavolozza con colori del pittore, e quattordici lastre fotografiche delle opere scattate nel 1919 da Pierre Choumoff per il gallerista Léopold Zborowski.
Il fatto che neppure Glenn Horowitz sia riuscito a venderli lascia qualche dubbio sulla loro consistenza e sul valore economico che tali fondi possano avere, in assenza della cessione dei diritti.
Alla senatrice del M5S che ha presentato due interrogazioni evidenziando che “il valore potenziale del marchio Modigliani, che gli Archivi consentono di gestire (la facoltà di autenticazione delle opere ha molto a che vedere con il fiorentissimo mercato dei falsi Modì), è infatti stimato in 100 milioni di euro”, nessuno ha evidentemente spiegato che il diritto morale non si trasferisce, nemmeno con l’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato, tantomeno con una Dichiarazione di interesse culturale. Quanto al marchio Modigliani, risulta registrato il 27 novembre 2009 e rinnovato dall’Istituto Amedeo Modigliani.
Quel che è certo, inoltre, è che in quell’archivio, in origine, non c’era nulla della madre Jeanne Hébuterne: la figlia, infatti, non ha mai beneficiato di alcuna eredità materna. I beni di sua madre sono finiti allo zio André Hébuterne, mediocre pittore da bouquinistes, oppure sono oggi di proprietà del nipote Luc Prunet, un avvocato parigino. Prunet, l’erede del becero contabile del grande magazzino che aveva epurato la nipote Giovanna, adottata Modigliani, perché figlia di un ebreo o, forse, per l’eredità, non ha restituito nulla a Jeanne e si è buttato nel business Modigliani.
Ha prestato circa 60 disegni per la prima grande mostra con opere di Hébuterne: Modigliani e la sua cerchia (8 ottobre – 24 dicembre 2000), alla Fondazione Cini di Venezia, curata da Christian Parisot. Per ragioni ignote, poi, scese dal carro di Parisot, rifiutando il prestito dei disegni per la mostra itinerante in Spagna nel 2002. Le opere di Hébuterne a Segovia, su istanza di Prunet, vennero sequestrate in quanto, a suo dire, contraffatte. Il suo nuovo consulente divenne Marc Restellini. Parisot fu condannato dal Tribunal de Grande Instance de Paris nel gennaio 2010 a due anni con sospensione della pena e una multa di € 50.000 ($70.000). Prunet, invece, salito sul carro di Restellini, gli prestò per una mostra itinerante in Giappone da lui curata le opere della Hébuterne e tredici disegni inediti di Modigliani. Si tratta della mostra itinerante Modigliani et Hébuterne, le couple tragique (aprile–dicembre 2007). Anche Laure, una delle figlie di Jeanne Modigliani, nel 2003 tentò di chiedere ai Prunet la restituzione delle opere dipinte dalla nonna, ma non ottenne risposte positive.
Il 29 marzo 2019 è stata venduta da Christie’s, al prezzo record per l’artista, Femme au chapeau cloche (1919), un olio su tela (92,2 × 65,3 cm), che come provenienza riporta espressamente: “Atelier de l’artiste. Poi per successione al proprietario attuale.” L’opera, nel suo percorso espositivo, ha solo Tokyo, Bunkamura Museum of Art; Sapporo, Museum of Contemporary Art; Osaka, Daimaru Museum Umeda; Shimane, Art Museum e Yamaguchi, Prefectural Museum of Art, Modigliani et Hébuterne, le couple tragique, aprile–dicembre 2007.
Precedentemente, sempre da Christie’s, con la stessa provenienza e lo stesso percorso espositivo, erano stati venduti: nel 2008 il dipinto Portrait of Chaïm Soutine, nel 2009 il disegno Autoportrait, nel 2014 il disegno Femme au Chapeau e nel 2017 il dipinto La femme au collier, modèle de Modigliani.
Da un libro pubblicato nel dicembre 2022 da Damien Blanchard con la casa editrice Fiacre, Les Hébuterne, une famille d’artistes dans l’ombre de Modigliani, risulterebbe che “quando la giovane donna rimase incinta, la sua famiglia scrisse una lettera in cui riconosceva la paternità della piccola Giovanna, che nacque il 29 novembre 1918”.
“Sebbene ci sia stato poco entusiasmo da parte loro, il fatto che la famiglia abbia rifiutato Modigliani deve essere messo in prospettiva. Le cose non sono così nette come a volte gli storici dell’arte le hanno fatte passare,” scrive Damien Blanchard, anche se ammette che la famiglia di Giovanna ha usato il termine “rapimento” per descrivere il modo in cui la figlia ha raggiunto il suo amante.
In compenso, Parisot ha ottenuto una condanna di Restellini per diffamazione, per aver dichiarato alla stampa che l’80% delle opere di una mostra curata da Parisot a Venezia erano false, e un’assoluzione per aver esposto delle riproduzioni nella mostra del 2010–2011 al Castello Ursino di Catania. Una storia che ricorda molto quella dell’“Album japanaise” di sei disegni firmati Vincent, comprati da Plateroti e prestati al Comune di Treviso per una mostra, che ha attraversato sei surreali gradi di giudizio (Trib. Treviso n. 414/2005; App. Venezia n. 369/2008; Cass. Pen. n. 9786/2009; Trib. Treviso n. 1262/2015; App. Venezia n. 1166/2018; Cass. Civ. n. 13866/2020).
Nonostante nel processo del Ducale gli imputati siano stati tutti assolti, quattro opere di Modigliani — Cariatide Rossa / Les Epoux (1913, olio su tela); Cariatide (1914, tempera su carta); Ritratto femminile (1917, olio su tela); e Ritratto di Moricand (1915, olio su tela) — sono state ritenute contraffatte e da bollare con la lettera scarlatta. Speriamo non per il bianco di zinco.
[1] Trois couleurs: Rouge, regia di Krzysztof Kieslowski, Francia, 1994. Il Giudice in pensione è impersonato da Jean-Louis Trintignant.
[2]Si veda: https://www.barberinicorsini.org/wp-content/uploads/2022/01/CV_Mariastella_Margozzi_2021-1.pdf
[3] Lo ricordiamo in Maledetto Modigliani, il docufilm del 2020 distribuito in Italia da Nexo Digital.
[4] Le società oggetto di liquidazione giudiziale sono SAS à associé unique ART MUSEUM DIFFUSION France e la SAS ART HERITAGE FRANCE, di cui il nome commerciale è LA PINACOTHEQUE DE PARIS. Di entrambe Restellini era presidente.
[5] Questo è quanto dichiara Marie-Christine Decroocq, ricercatrice dell’Institut Restellini e riporta GEORGINA ADAM nel suo articolo Experts shed light on Modigliani’s murky market with new research project, apparso su The Art Newspaper il 22 luglio 2016.
[6] Georgina Adam, The dangerous, fake-riddled world of Modiglianis Death threats, market interests and too many specialists bedevil research into the subject, The Art Newspaper, 1 maggio 2002.
[7] https://www.livornotoday.it/cronaca/mostra-modigliani-livorno-indagini-costi.html
[8] Nel 1922-1923 Albert Barnes compro a Parigi 16 dipinti da Zborowski.
[9] E-mail a Gloria Gatti del 7 luglio 2023.
[10] Mansard Gallery, French Art 1914-1919, 9 agosto-6 settembre 1919:
[11] Il catalogo d’asta è consultabile al link https://bibliotheque-numerique.inha.fr/viewer/32542/?offset=#page=8&viewer=picture&o=bookmarks&n=0&q= (consultato il 7 luglio 2023).
[12] S. Koldehoff T. Timm, Art & crime. The fight against looters, forgers, and fraudsters in the high-stakes art world, Seven Stories press, 2022.
[13] Carnet inédit de Fernand Léger. Esquisses pour un portrait Vallier Dora, Cahiers d’art, Paris, 1958
[14] Il Tirreno 18 marzo 1990, intervista ad Aldo Santini.
[15] https://opac.lagallerianazionale.com/gnam-web/bio/detail/IT-GNAM-ST0004-043703/1959-falsi-modigliani.html?currentNumber=28&startPage=21&gridView=false
[16] R. Ferrario, Regina di quadri, Vita e passioni di Palma Bucarelli, Mondadori, 2010, pag. 199 e ss.
[17] La mostra su Modigliani falso uno dei dipinti?, La Repubblica, 11 luglio 1984.
[18] G. Briganti “Dedo” di Montparnasse. Nel centenario della nascita, Livorno dedica una mostra alle sculture di Amedeo Modigliani, “la Repubblica”, 24 luglio 1984.
[19] È morta a Parigi Jeanne Modigliani figlia del pittore, La Repubblica, 29 luglio 1984. Il 29 luglio il quotidiano La Repubblica pubblica, postuma, una lettera della Modigliani dal titolo: “Perché mi avete esclusa?”.
[20] Probabilmente, come Restellini, emulava Baudelaire.
[21] https://www.raicultura.it/arte/articoli/2021/08/Zeri-e-la-burla-di-Livorno-784c3169-90f6-479e-ad2a-f59f6a40f7fd.html
[22] Cons. Stato, 14 novembre 1988, Ministero Beni Culturali e Ambientali c. Durbè in Il Foro Amministrativo, 1988, fasc. 11, pp. 3279 – 3283.
[23] Si tratterebbe secondo H. R. Lottman di Tête de femme e Nu dolent, in Amedeo Modigliani Principe di Montaparnasse, Jaca Book, 2007, pag. 98.
[24] H. R. Lottman, op cit, pag. 24. La circostanza è confermata anche da A. Noël, Modigliani inconnu – Témoignages, documents et dessins inédits de l’ancienne collection de Paul Alexandre, Fonds Mercator Paribas, Anvers, 1993.
[25] A. Ceroni, Amedeo Modigliani pittore con i souvenirs di Lunia Czechowska, edizioni Galleria del Milione, 1958.
[26] Si veda https://www.magnanirocca.it/intervista-a-lunia-la-femme-au-col-blanc/ (consultato il 9 luglio 2023).
[27] Angela Ceroni, Amedeo Modigliani: Les nus, Düdingen, 1989.
[28] Osvaldo Patani, Amedeo Modigliani: Dipinti, 1991, Leonardo Arte, pag. 17.
[29] O. Kurz, Falsi e Falsari, Neri Pozza, pag. 102 e fig. 66 dell’appendice fotografica (in bianco e nero). La copertina del libro di Angela Ceroni è consultabile al link https://www.barnebys.it/aste/lotto/amedeo-modigliani-les-nus-angela-ceroni-simple-storia-dell-arte-uruuwbdti0
[30] B. Buscaroli, Ricordi di Via Roma, Il saggiatore 2010.
[31] Jeanne Modigliani, Modigliani, mio padre, Abscondita 2005, pag. 153.
[32] Tokyo, Bunkamura Museum of Art; Sapporo, Museum of Contemporary Art; Osaka, Daimaru Museum Umeda; Shimane, Art Museum et Yamaguchi, Prefectural Museum of Art.
[33] https://actu.fr/ile-de-france/meaux_77284/saviez-vous-que-la-muse-de-modigliani-etait-nee-a-meaux_55832401.html
[34] https://www.theartnewspaper.com/2006/09/01/police-search-montparnasse-museum-in-modigliani-fakes-investigation
[35] In totale sono solo otto le opere ritenute false dal giudice Massimo Deplano tra le 21 sequestrate nel 2017 nel corso della mostra a Palazzo Ducale, le altre quattro sono di Kisling.
Avvocato, iscritto all’Ordine di Milano, patrocinante in Cassazione.
Assiste abitualmente, sia in sede giudiziale che stragiudiziale, imprese multinazionali ed imprese italiane leader di settore, nonché prestigiose istituzioni culturali italiane e straniere, case d’asta, archivi d’artista, privati collezionisti e artisti nei diversi ambiti (civile, penale e amministrativo) del diritto dell’arte e dei beni culturali in Italia e all’estero. È sovente chiamata come docente in corsi di formazione specialistica, come relatore in convegni, seminari e webinar. È giornalista pubblicista dal 2012 e collabora con diverse testate specializzate nel diritto dell’arte e dei beni culturali in particolare con Il Giornale dell’Arte. È stata Consigliere Ordine degli Avvocati di Milano.