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A Firenze la mostra “Giallo allo Stibbert: storie di furti e recuperi”

(Tempo di lettura: 13 minuti)

I furti legati al mondo dell’arte accendono la nostra attenzione poiché la perdita è reale e coinvolge tutti. Molti sono stati i luoghi dell’arte interessati dai furti, dalla pieve isolata ai più autorevoli musei del mondo, ed anche il Museo Stibbert non è rimasto indenne da questa triste calamità: la notte del 21 ottobre 1977 vennero sottratti quasi ottocento pezzi fra dipinti, armi ed oggetti di arte decorativa.

La mostra Giallo allo Stibbert. Storie di furti e recuperi vuole però oltrepassare il mero fatto di cronaca ed aprire una riflessione sull’opera d’arte, sulle passioni che suscita, e di conseguenza sul valore che le attribuiamo. Il valore simbolico del patrimonio artistico è da sempre universalmente riconosciuto, infatti l’appropriazione di opere d’arte come bottino di guerra è una pratica che risale ai primordi della civiltà e che si è perpetuata sino ai nostri giorni. 

Questo valore viene analizzato ponendo l’accento sulle spoliazioni napoleoniche e poi naziste, quando la conquista di un popolo è stata espressa anche mediante la depredazione delle sue opere d’arte.

Durante la Seconda Guerra Mondiale per difendere il proprio patrimonio artistico anche al Museo Stibbert viene ordinato lo sgombero delle collezioni in un luogo segreto.

Infatti nell’estate del 1944 vengono trafugate dai musei fiorentini molte opere, che saranno poi recuperate dai cosiddetti Monuments Men, la famosa squadra di esperti reclutati per salvare i capolavori europei dalle devastazioni della guerra. Con i Monuments Men collabora anche un italiano, Rodolfo Siviero, di cui nella mostra si analizza il contributo apportato al Museo Stibbert non solo negli anni immediatamente successivi alla guerra, ma anche nel recupero di un nucleo di opere pochi mesi dopo il furto che il museo subì nel 1977.

Ma ancor più utile al recupero del patrimonio del Museo Stibbert sarà l’incessante opera di investigazione dell’Arma dei Carabinieri. Nella mostra viene infatti anche affrontato il grande lavoro fatto dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale per far riemergere dall’oscurità gli oggetti rubati. Attraverso le opere esposte vengono illustrati i recuperi avvenuti sia in Italia che all’estero, raccontando il rimpatrio dei capolavori sottratti nonostante le difficoltà delle differenti legislazioni.

Uno degli obbiettivi di questa mostra, realizzata grazie al contributo di Fondazione CR Firenze, oltre a gettare nuova luce sulla vita del Museo Stibbert negli anni successivi alla morte del suo fondatore, è anche cercare di sensibilizzare il pubblico sull’importanza della tutela e della salvaguardia dei beni culturali quali valori fondanti dell’identità nazionale, credendo fortemente che la consapevolezza del patrimonio culturale sia la migliore difesa.

La mostra è stata realizzata in collaborazione con il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale che ha reso disponibili informazioni sulle indagini condotte e sulle vicende dei recuperi più recenti, ed è stata inaugurata alla presenza del suo comandante, il Generale di Brig. Roberto Riccardi. A questo proposito, nell’arco dell’apertura della mostra, sono previste alcune giornate in cui gli stessi militari dell’Arma illustreranno al pubblico le avvincenti storie dei ritrovamenti.

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I contenuti

Il furto d’arte fra letteratura e realtà

I furti di oggetti preziosi da sempre suscitano interesse e curiosità: alla base di intrecci letterari e trame cinematografiche, ladri e refurtive milionarie sono i soggetti prediletti per la letteratura d’evasione così come per il saggio di documentazione. Come spesso accade la realtà talvolta supera la fantasia e le cronache narrano di eventi criminosi legati al mondo dell’arte che accendono la nostra attenzione ancor più di un romanzo poliziesco, proprio perché la perdita è reale e coinvolge tutti.

Molti sono stati i luoghi dell’arte interessati dai furti, dalla pieve isolata ai più autorevoli musei del mondo, ed anche il Museo Stibbert non è rimasto indenne da questa triste calamità: la notte del 21 ottobre 1977 vennero sottratti quasi ottocento pezzi fra dipinti, armi ed oggetti di arte decorativa.

Tuttavia questa mostra non vuole essere una mera lista di crimini per solleticare le fantasie, ma cerca di aprire una riflessione sull’opera d’arte, sulle passioni che suscita, e di conseguenza sul valore che le attribuiamo. Il valore simbolico del patrimonio artistico è da sempre universalmente riconosciuto, infatti l’appropriazione di opere d’arte come bottino di guerra è una pratica che risale ai primordi della civiltà e che si è perpetuata sino ai nostri giorni. Oltre alla fascinazione esercitata dai manufatti artistici, che ne stimola la tutela e la protezione, ma insieme anche il desiderio di possesso, l’annientamento spirituale di un popolo conquistato si esprime proprio nella depredazione delle sue opere d’arte.

La storia del resto è costellata di capolavori scomparsi o collezioni disperse per le motivazioni più diversificate, ed in quest’ottica il furto è soltanto il gesto criminale più saltuario ed occasionale. La cronaca dei furti narrati in questa mostra vuole quindi inserirsi in un contesto più ampio e complesso, per porre l’accento sul valore simbolico dell’arte.

Le spoliazioni napoleoniche

Nel III secolo a.C. il saccheggio delle statue delle città greche conquistate dai Romani doveva apparire come un diritto di guerra inappellabile: quelle opere d’arte esposte in Campidoglio a Roma venivano ad incarnare la vittoria sul nemico.

In epoca napoleonica allo stesso modo le spoliazioni offrivano ai Francesi un’eloquente testimonianza dell’ampiezza delle conquiste di colui che in pochi anni sarebbe divenuto il loro Imperatore.

Nel 1794 la Campagna d’Olanda inaugurò la politica di quelle sistematiche requisizioni che rappresentarono il più massiccio spostamento di opere d’arte che si fosse mai visto in Europa. La sede opportuna per i capolavori requisiti nei territori conquistati secondo il governo rivoluzionario di Parigi fu il Louvre, da poco destinato a museo pubblico.

In Italia Napoleone comprese immediatamente il valore che, in termini di prestigio e propaganda, potevano avere le arti per un regime politico rivoluzionario in cerca di legittimazione. Bonaparte volle che le requisizioni di opere d’arte rientrassero fra le clausole dei trattati di pace. Nel 1796 da nord a sud della Penisola, tutti gli stati italiani vennero velocemente conquistati, e tutti, dalla Milano austroungarica, alla Repubblica di Venezia, al Gran Ducato di Toscana, allo Stato Pontificio e al Regno delle Due Sicilie, furono costretti a cedere ai Francesi una serie di opere d’arte espressamente indicate.

A Firenze, se la collezione degli Uffizi, in quanto donata alla municipalità dall’Elettrice Palatina, fu risparmiata dai sequestri, furono però asportati 63 dipinti e 25 tavole di pietre dure intarsiate. Inoltre il re delle Due Sicilie acconsentì, a seguito del trattato di pace del 1801, a consegnare ai Francesi la Venere Medici, inviata a Palermo dal direttore degli Uffizi Tommaso Puccini perché fosse messa in sicurezza insieme ad altre opere d’arte.

A titolo esemplificativo in questa vetrina sono esposte tre copie ottocentesche delle opere asportate da Palazzo Pitti, La Bella di Tiziano, la Madonna della Seggiola di Raffaello e I quattro filosofi di Rubens.

Le spoliazioni naziste

Le spoliazioni naziste sono state spesso messe in relazione con quelle napoleoniche poiché, oltre all’obbiettivo di portare in Germania tutta l’arte tedesca, inclusi i fiamminghi, vi era anche l’idea da parte di Hitler di realizzare un grande museo come il Louvre, che raggruppasse le opere più importanti d’Europa. Con questo scopo fra il 1938 e il 1943 in Italia era stata organizzata una campagna di acquisti e acquisizioni, favorita dai rapporti di amicizia con Mussolini, come la vendita della copia Lancellotti del Discobolo di Mirone, partito per Monaco di Baviera nel giugno del 1938.

Il presidente del Reichstag Hermann Göring e il capo delle forze di sicurezza del Terzo Reich Heinrich Himmler, con la compiacenza del governo italiano, riuscirono a portare in Germania importanti capolavori. Dopo l’8 settembre 1943 l’Italia diventa terreno di conquista, da cui le opere d’arte possono essere liberamente prelevate senza più dover rispettare anche solo formalmente la legge. Un corpo specializzato affiliato all’esercito tedesco, il Kunstschutz, nato originariamente per salvaguardare il patrimonio artistico durante la guerra, viene invece impiegato per trafugare opere di importante valore artistico.

A Firenze, le autorità italiane preposte alla tutela avevano nel frattempo trasferito le principali opere d’arte appartenenti a chiese, palazzi e musei dalle città nelle ville del contado, tentando non solo di contrastare i saccheggi nazisti, ma anche di preservarle dai bombardamenti alleati.

Per difenderne le collezioni d’arte anche al Museo Stibbert viene ordinato lo sgombero delle armi, costumi quadri, mobilia ed arazzi che possono risultare di interesse artistico. Il direttore del tempo, Alfredo Lensi, si occupa fra maggio e settembre 1943 di scegliere ed imballare le opere che vengono trasportate inizialmente alla Villa Senni di Scarperia. A seguito di un ripensamento sull’opportunità della scelta di questa destinazione, le 258 casse cariche dei tesori del Museo Stibbert, insieme a 21 gabbie contenenti mobili, vengono trasportate a Palazzo Pitti; a queste nel giugno del 1944 verranno aggiunti altri 10 colli, comprendenti 33 arazzi e 64 dipinti, ricoverati presso la Galleria dell’Accademia.

I danni della guerra

L’estate del 1944 vede Firenze al centro dello scontro fra i nazisti e le forze di liberazione: il momento è difficilissimo e neanche l’arte viene risparmiata dalla guerra. Il 3 luglio 1944 i Tedeschi trasferiscono in Alto Adige oltre 200 dipinti della Galleria degli Uffizi che erano stati spostati in varie località della campagna fiorentina. Le opere vengono accatastate nel vecchio tribunale di San Leonardo di Passiria. Tra il 25 luglio e l’11 agosto 1944 sono invece le sculture degli Uffizi, del Museo dell’Opera del Duomo e di altri musei fiorentini che vengono requisite per essere portate nel castello di Neumelans a Campo Tures, dove rimarranno fino al luglio del 1945.

Per recuperare le opere d’arte trafugate non solo in Italia lavoreranno i Monuments Men, una squadra di circa trecentocinquanta restauratori, archivisti, direttori di musei, esperti di arti figurative e archeologi, reclutati dal governo degli Stati Uniti in tredici Paesi, per salvare i capolavori europei dalle devastazioni della guerra. Con i Monuments Men collabora anche un italiano, l’agente Rodolfo Siviero che avrà un ruolo fondamentale nel ritrovamento di gran parte delle opere italiane trafugate. Fra i ritrovamenti di Siviero vi sono anche due dipinti del Museo Stibbert: Allegoria dell’Aurora di Scuola romana, e Animali da Cortile  del Crivellone.

Ritratto di Rodolfo Siviero

Nella confusione degli ultimi giorni di guerra prima della liberazione di Firenze il Museo Stibbert è anche vittima di un furto che avviene nella notte fra il 13 ed il 14 agosto ’44. I ladri si erano introdotti da una delle vetrate della Sala della Cavalcata, calandosi lungo le corde dei tendaggi, ed erano poi fuggiti forzando una porta. Nonostante nel museo non fossero rimasti molti oggetti, vengono comunque asportate le medaglie al valore conquistate da Stibbert durante le Campagne Garibaldine del 1866.

Prima che il Museo Stibbert venga dichiarato da uno dei Monuments Men, l’architetto inglese Cecil Ross Pinsent, off limits in quanto “Building of Historical or Artistic Importance”, viene anche occupato dal 25 agosto al 16 settembre da un battaglione di soldati britannici. La permanenza dei militari provoca una serie di danni e sottrazioni, fra le quali quella di una pistola, che viene rocambolescamente restituita al museo sessantasei anni dopo la sua scomparsa.

Storie di furti

“Antichi preziosi per venti milioni rubati allo Stibbert” titola l’edizione della sera de La Nazione del 17 maggio 1966. Nella notte sono stati rubati un centinaio di oggetti fra tabacchiere, bomboniere, orologi, monili e portagioie conservati in una sala al primo piano del museo. I ladri si sono introdotti forzando una finestra raggiunta con una scala telescopica. Grazie ad una segnalazione di alcuni passanti che avevano visto tre persone di notte armeggiare con delle scale nei pressi del parco del museo, la polizia riesce a rintracciare velocemente uno dei malviventi, che confessa il furto e fornisce il nome degli altri due complici. Tuttavia non si riesce a reperire la refurtiva, poiché il malvivente racconta di averla gettata in Arno dopo essersi reso conto del valore ben più modesto di quello stimato. Nonostante non venga creduta la versione fornita dal ladro, per scrupolo vengono comunque scandagliate senza successo le acque dell’Arno in prossimità del Ponte San Niccolò e a Pisa, dove il malvivente avrebbe abbandonato la refurtiva.
La storia beffardamente si ripete e dopo soli undici anni un furto di ben altre proporzioni viene perpetrato ai danni del Museo Stibbert: la notte di venerdì 21 ottobre 1977 vengono rubati dipinti, armi europee ed orientali, oggetti sacri, orologi, medaglie… la lista è lunga e conta poco meno di 800 pezzi. Nell’intervallo fra un giro di controllo e l’altro delle guardie giurate uno dei ladri si introduce nel museo attraverso il lucernario sul tetto, successivamente, aprendo una porta, fa entrare anche i complici. I malviventi si muovono indisturbati per tutte le sale dell’edificio, mettendo insieme un bottino che viene definito “superiore al miliardo” di vecchie lire. I ladri non hanno avuto grosse difficoltà a penetrare nella villa poiché al tempo mancava del tutto l’elettricità e di conseguenza anche un sistema d’allarme.
Il furto, subito denunciato ai Carabinieri provoca una reazione immediata e si attivano subito le ricerche da parte delle forze dell’ordine italiane; viene anche allertata la polizia di frontiera e l’Interpol. Grazie ad una segnalazione della polizia svizzera alla Questura di Firenze, dopo soli  tre mesi, nel gennaio del 1978, 11 dipinti vengono ritrovati a Zurigo, in una casa alla periferia della città. Al termine di una fulminea operazione sotto copertura, seguita dal capo della Mobile di Firenze con la supervisione del ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero, verranno arrestate tre persone coinvolte nel furto.

Storie di ritrovamenti

Interventi immediati per la messa in sicurezza del museo vengono approntati: inizialmente si adotta la sorveglianza dei vigili urbani, poi grazie ad uno stanziamento di fondi viene realizzata l’illuminazione interna ed esterna, si affida la sorveglianza notturna a personale specializzato, vengono inoltre installati impianti anti-furto ed inferriate a porte e finestre; infine viene avviata anche una campagna fotografica di documentazione.

Ma altrettanto utile al recupero del patrimonio del Museo Stibbert sarà l’incessante opera di investigazione dell’Arma dei Carabinieri. Già dal 1969 esiste infatti un gruppo di militari esplicitamente incaricati di lavorare al ritrovamento delle opere rubate, che si tratti di sottrazioni, del frutto di scavi clandestini o di beni illecitamente esportati all’estero. Quest’unità, che dal 2001 assume la denominazione attuale di Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (CC TPC), collabora direttamente con il Ministero della Cultura e negli anni arriva a contare circa 300 militari con specifiche qualifiche nel settore. Il Comando CC TPC svolge una costante opera di investigazione e ricerca con l’ausilio della “Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti”, un indispensabile strumento investigativo che dal 1980 cataloga i beni culturali da ricercare di provenienza italiana ed estera, nonché le informazioni relative agli eventi delittuosi collegati: vi sono contenuti oltre 1.270.000 oggetti rubati  e più di 870.000 immagini (data aggiornati a gennaio 2022).

Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. La Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, uno strumento di enorme efficacia per le indagini, dove sono raccolti e descritti oltre 1.270.000 oggetti rubati e più di 860.000 immagini.

Grazie alle indagini del Comando CC TPC, dal quel primo ritrovamento di dipinti del 1978 molto lavoro è stato fatto per far riemergere dall’oscurità anche altre opere sottratte quel funesto venerdì del 1977. La costante vigilanza del mercato antiquariale o delle vendite all’asta ha permesso anche dopo molto anni di riportare al Museo Stibbert alcune delle opere sottratte. Grazie alle relazioni che il Comando intrattiene con i reparti di polizia di altre nazioni, i recuperi sono avvenuti non solo in Italia, ma anche all’estero, permettendo il rimpatrio dei capolavori sottratti nonostante le difficoltà delle differenti legislazioni.

“L’opera da ritrovare”: sfide per il futuro

Ogni opera ritrovata per le difficoltà connesse è un piccolo successo ed un nuovo traguardo raggiunto per la salvaguardia del patrimonio culturale. Se alcuni oggetti d’arte del Museo Stibbert sono stati ritrovati, mancano all’appello ancora molte opere, alcune delle quali sono una perdita particolarmente dolorosa per l’importanza della sottrazione e l’integrità delle collezioni, ne sono un esempio Il battesimo di Gesù di Giovan Battista Tiepolo, Il sacrificio di Isacco di Johann Liss o il fucile del Gran Duca Leopoldo II. Ma le ricerche del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che da poco ha celebrato i primi cinquanta anni di attività, proseguono anche con l’ausilio delle nuove tecnologie che permettono di perfezionare gli strumenti già in loro possesso.
Una delle sfide del futuro è proprio quella di fornire anche ai cittadini, non solo italiani, la consultazione della Banca Dati per individuare i beni sottratti a chiese, musei o privati, permettendo loro di collaborare fattivamente al recupero.
Questa mostra cerca proprio di sensibilizzare il pubblico sull’importanza della tutela e della salvaguardia dei beni culturali quali valori fondanti dell’identità nazionale, credendo fortemente che la consapevolezza del patrimonio culturale sia la migliore difesa.

Alcune delle opere in mostra

Pistola a pietra focaia, Turchia, metà del XVIII secolo.

Quando il Museo Stibbert venne occupato fra il 25 agosto e il 16 settembre del 1944 da un battaglione di militari inglesi, l’arma fu trafugata da un soldato che successivamente, durante il viaggio di rientro in patria, tentò di disfarsene gettandola in mare. Un commilitone, Stanley Parry, che aveva assistito alla scena, capendo il valore dell’oggetto, si fece consegnare la pistola e la custodì con il desiderio di restituirla al Museo Stibbert. Alla morte di Perry l’arma fu ereditata dalla figlia June Cooke, che, volendo esaudire il desiderio paterno, si mise in contatto con il museo. Grazie all’intermediazione del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale furono attivate le procedure necessarie per il rientro in Italia della pistola, riconsegnata il 16 settembre 2010, a distanza di 66 anni dalla sua uscita dal museo. 

Pugnale (Khanjar), Turchia, XVI secolo (lama); India settentrionale, inizio XVIII secolo (fornimento)

Nell’aprile del 2016 lo stesso studioso  tedesco, Bernd Augustin, segnalò al Museo Stibbert che un pugnale simile a quello trafugato nel 1977 era in vendita presso una casa d’aste di Londra. Fu immediatamente avvisato il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale  che, attraverso i canali dell’Interpol e con la collaborazione dell’Art and Antiques Unit della London Metropolitan Police, chiese di bloccare la vendita per compiere tutti i dovuti accertamenti. La documentazione ritrovata confermò l’appartenenza del pugnale al Museo Stibbert, ed i riscontri investigativi permisero il rimpatrio del pugnale nel 2016 e la restituzione al museo.

Yatagan corto, coltello detto “di Solimano”, Manifattura ottomana, Turchia, 1520-1530 circa. Iscrizioni in lingua persiana.

Questo coltello, detto “di Solimano” per la somiglianza con alcune armi appartenenti alla corte del sultano ottomano Solimano il Magnifico (1494-1566), era fra gli oggetti asportati dal Museo Stibbert nel 1977 di cui si erano perse le tracce. Nel maggio del 1998 il pugnale ricomparve a Londra, presso la casa d’asta Christie’s, che, riconoscendo l’oggetto come rubato, ne informò il museo. Le tempestive indagini del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale  permisero di recuperare l’opera, che venne riconsegnata al Museo Stibbert nel maggio del 1999.

Madonna in trono col Bambino e Santi, Pittore dell’Italia centro-meridionale, secondo quarto del XIV secolo, tempera su tavola

Questo trittico è stato recuperato dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale  con un’operazione fulminea durata un giorno e mezzo. L’opera, che si trovava in vendita presso un antiquario di Brescia, era stata segnalata da un noto storico dell’arte fiorentino. Il commerciante aveva acquistato la tavola nel 2007 con regolare documentazione da una famiglia di Reggio Emilia che l’aveva ereditata da un parente deceduto. I riscontri effettuati sulla Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, hanno permesso ai Carabinieri del  TPC di riportare l’opera al Museo Stibbert nel novembre del 2009.

Carlo Crivelli,  (1435 – 1495), Santa Caterina e San Domenico, 1490 ca.. Recuperato insieme ad altre 10 opere dopo pochi mesi dal grande furto  attuato al Museo Stibbert nel 1977

Foto storica dei primi sopralluoghi dei Carabinieri al Museo Stibbert dopo il furto del 1977 (Foto: Newpressphoto)

Per saperne di più:
www.museostibbert.it
Mostra Giallo allo Stibbert. Storie di furti e recuperi
24 marzo – 2 ottobre 2022
Museo Stibbert, via F. Stibbert 26, 50134 Firenze
Orari: Lun.-merc. 10-14 ; ven. dom. 10-18; chiuso giovedì
Info e prenotazioni biglietteria@museostibbert.it – tel. 055 475520
Info stampa: Museo Stibbert, direzione@museostibbert.it   – tel. 055486049 – 3286767615

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