Gioia, figlia della Luce.
Dea dei carmi, Dea dei fior.
Il tuo genio ne conduce per sentieri di splendor.(L. Van Beethoven “Inno alla Gioia”)
Dal 28 giugno 2025 sarà applicabile, all’interno dell’Unione Europea e quindi anche in Italia, il Regolamento UE 2019/880, che si prefigge i seguenti obiettivi nell’ambito delle politiche di controllo sui beni culturali:
- definire le condizioni per l’introduzione dei beni culturali e le procedure per la loro importazione, al fine di salvaguardare anzitutto il patrimonio culturale dell’umanità e impedirne il commercio illecito, in particolare in connessione con il finanziamento del terrorismo;
- prevedere un sistema integrato di licenze di importazione per i beni culturali maggiormente esposti al rischio e introdurre specifiche dichiarazioni a carico dell’importatore per altre categorie di beni.
Il Regolamento non si applicherà ai beni culturali pertinenti al territorio doganale dell’Unione Europea, ovvero rientranti nell’ambito della direttiva 2014/60/UE.
La ratio di questa disposizione è frutto di un lungo percorso condiviso tra gli Stati membri, basato sul concetto valoriale secondo cui il patrimonio culturale costituisce uno dei fondamenti della società in cui viviamo.
La sottrazione e la distruzione del patrimonio culturale comportano, di fatto, la perdita dell’identità culturale che deve essere preservata.
Il tema resta attuale, seppur con sfumature diverse nel tempo. Si pensi alle depredazioni e distruzioni di beni archeologici, immobili e mobili, compiute dagli integralisti islamici in Africa e in Medio Oriente; alle requisizioni illegali e ai saccheggi durante la Seconda guerra mondiale, in particolare quelli pianificati dai nazisti; e ancora prima alle razzie delle truppe napoleoniche tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo in Europa e Africa. Non vanno dimenticati gli scavi illegali nel Centro e Sud Italia, in territori controllati dalla criminalità organizzata, che hanno danneggiato siti di straordinario valore culturale e innescato un traffico illecito di reperti su scala internazionale.
Le disposizioni applicabili riguardano tre macro-categorie di beni culturali, elencate nelle parti A, B e C dell’allegato al Regolamento. Ciascuna categoria è soggetta a specifici obblighi e procedure doganali, sanciti nel Regolamento UE 952/2013.
Parte | Categoria | Obbligo |
---|---|---|
A | Beni rimossi illegalmente | ❌ Introduzione vietata |
B | Beni ad alto rischio (es. archeologici, smembramenti) | ✅ Licenza di importazione |
C | Antichità e arte > 200 anni, > €18.000 | 📝 Dichiarazione dell’importatore |
Dal 28 dicembre 2020 è vietata l’introduzione nell’area doganale dell’Unione Europea dei beni culturali elencati nella parte A dell’allegato, ovvero quelli rimossi dai Paesi di origine, dove sono stati creati o scoperti, in violazione delle disposizioni di legge. È altresì vietata l’introduzione di oggetti aventi valore artistico e di antichità di oltre cento anni, comprese iscrizioni, beni numismatici e sigilli incisi.
In concomitanza con l’applicazione del Regolamento, diverrà operativo il sistema digitale ICG (Import of Cultural Goods), ed entreranno in vigore gli obblighi relativi all’importazione di beni culturali extra-UE, che prevedranno il rilascio di una licenza o la presentazione di una dichiarazione da parte dell’importatore.
Questa procedura è dettagliata nel Regolamento di esecuzione 2021/1079, che definisce norme tecniche e procedurali, i modelli per le domande e dichiarazioni, e l’elenco dei documenti da presentare per ottenere l’importazione.
Per i beni indicati nella parte B dell’allegato, l’importatore dovrà presentare una richiesta di licenza di importazione tramite il sistema ICG agli Uffici Esportazione. I beni soggetti a licenza sono, in particolare, quelli provenienti da scavi archeologici (terrestri o subacquei) e quelli derivanti dallo smembramento di monumenti con oltre 250 anni, a prescindere dal valore economico.
Per ogni bene sarà necessaria una domanda singola, corredata da documenti attestanti la conformità dell’esportazione alla normativa del Paese di origine o la non esistenza di divieti all’esportazione da tale Paese.
Nel caso in cui non sia individuabile lo Stato di creazione o scoperta del bene (es. reperti seriali, monete), o qualora il bene sia stato rimosso prima del 24 aprile 1972 (data della Convenzione UNESCO), il titolare potrà ottenere una licenza producendo documentazione che attesti la legittima esportazione dall’ultimo Paese in cui il bene si è trovato per oltre cinque anni, per usi non temporanei. Tra i documenti utilizzabili: cataloghi d’asta, fatture, polizze assicurative, documenti di trasporto, titoli di proprietà e testamenti.
Gli Uffici Esportazione dovranno rispondere entro 90 giorni dalla ricezione della domanda; in caso di richiesta di integrazioni, il termine decorre ex novo.
Per i beni della parte C dell’allegato è richiesta invece una dichiarazione dell’importatore, tramite sistema ICG, all’atto dell’importazione. Tra questi beni: oggetti artistici o di antichità con più di 200 anni e valore pari o superiore a 18.000 euro.
La dichiarazione dovrà attestare la conformità dell’esportazione alle leggi del Paese di origine e includere una descrizione dettagliata del bene. Se la normativa del Paese richiede un’autorizzazione preventiva per l’esportazione, questa dovrà essere prodotta.
In alternativa, se il Paese di origine non è identificabile o il bene è stato esportato prima del 24 aprile 1972, l’importatore potrà dichiarare l’esportazione conforme alla normativa dell’ultimo Paese in cui si trovava per almeno cinque anni.
Sono esclusi dagli obblighi suddetti i beni culturali:
- reintrodotti nel territorio doganale UE secondo il Codice doganale;
- importati da Paesi colpiti da conflitti armati o disastri naturali per garantirne la custodia da parte di un’autorità pubblica;
- ammessi per motivi di restauro, ricerca o prestito temporaneo da collezioni permanenti di musei o istituzioni di Paesi terzi.
Per fruire di tale regime, le istituzioni dovranno registrarsi nel sistema ICG, descrivendo dettagliatamente i beni culturali prima della dichiarazione doganale.
Una deroga è prevista anche per i beni della parte B importati temporaneamente per essere esposti a fini di vendita in fiere o mostre d’arte: in questi casi è sufficiente una dichiarazione dell’importatore. Tuttavia, se il bene viene successivamente trattenuto nell’UE, sarà necessaria una licenza d’importazione.
Le incombenze a carico dei soggetti coinvolti nelle procedure sono complesse. Abbiamo già trattato il tema della circolazione dei beni culturali in queste pagine, e non si esclude che vi siano ulteriori complicazioni burocratiche, anche a causa della cronica carenza di personale negli Uffici Esportazione del MiC.
Questi uffici saranno probabilmente investiti da numerose richieste da parte degli operatori del settore antiquariale-artistico, che dovranno aggiornarsi per evitare divieti non superabili.
Resta da capire se questa nuova normativa sarà davvero efficace nel controllo e nella trasparenza della circolazione dei beni culturali. Le procedure introdotte riusciranno a conciliare le esigenze di tutte le parti coinvolte?
Nonostante i proclami politici, progetti e ricerche per migliorare il mercato dell’arte tramite nuove tecnologie, gli auspicati orizzonti sembrano ancora lontani.
C’è forse un po’ di confusione?
In effetti, le norme dei singoli Stati membri non sono omogenee, soprattutto nei casi in cui si passa da violazioni amministrative a rilievi penali. Non tutti gli Stati UE, va ricordato, hanno ratificato il Trattato di Nicosia (ratificato da: Cipro, Grecia, Ungheria, Italia e Lettonia), importante strumento per il contrasto al traffico internazionale di beni culturali.
Forse aveva ragione il presidente statunitense Harry Truman (1884–1972) con la celebre affermazione:
“If you can’t convince them, confuse them…” (se non riesci a convincerli, confondili…).
Lo zio Sam c’entra sempre. E l’Europa, intanto, resta rapita.
[Foto di copertina: Francesco Balletta].
Columnist – Cultural Heritage Expert