A Verona, una coppia di turisti armata di smartphone non ha resistito alla tentazione della foto ricordo e a turno si è seduta su un’opera d’arte titolata “Van Gogh Chair” realizzata dall’artista Nicola Bolla e ispirata a quella dipinta nel dicembre 1888 ad Arles da Vincent e attualmente conservata alla National Gallery di Londra ed esposta a Palazzo Maffei Casa Museo.
Non ci è dato di sapere se avessero percepito che fosse un’opera avendo effettivamente la forma di una sedia benché ricoperta di cristalli di Swarovski. E neppure se fossero talmente giovani da non aver visto la signora Augusta scambiata per un’opera d’arte nel celebre film[1] di Sordi ambientato alla Biennale di Venezia.
Ma tant’è che la sedia si è rotta[2] e le immagini riprese dal sistema di videosorveglianza sono andate virali.
La Suprema Corte ha già chiarito con la recente sentenza della Sezione III, 28 aprile 2025, n. 16096, relativa al caso distruzione incendiaria dell’opera “La Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, data alle fiamme in piazza a Napoli che il requisito della “culturalità” di un bene non richiede necessariamente un formale provvedimento amministrativo, ma può essere desunto dalle caratteristiche oggettive del bene stesso: valore comunicativo, tipologia, localizzazione, rarità, fama dell’artista, proprietà pubblica.
La Cassazione ha ribadito che la distruzione di un’opera d’arte contemporanea, anche se non vincolata, è penalmente rilevante se essa possiede i requisiti oggettivi di bene culturale ai sensi degli artt. 2, 10 e 11 D.Lgs. 42/2004 e dell’art. 518-duodecies c.p.
Anche rompere una sedia ricoperta di cristalli, pertanto, è condotta prevista e punita dal Codice Penale.
L’episodio, apparentemente marginale, visto che l’artista è vivente e l’opera può essere riparata o ricreata, riporta però al centro il tema della fragilità materiale del patrimonio culturale e della necessità di una tutela penale non più limitata al danno istantaneo, ma estesa anche alle condotte più insidiose e durature come la dispersione, l’uso illecito e lo smembramento di archivi, biblioteche, collezioni o libri antichi[3] e alla lettura della norma che punisce plurime condotte e si presta a fuorvianti interpretazioni.
La legge 9 marzo 2022, n. 22 ha introdotto nel codice penale il Titolo VIII-bis, dedicato ai reati contro il patrimonio culturale, e in particolare l’art. 518-duodecies c.p., che punisce la distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici.
Questa norma ha sostituito e ampliato l’art. 170 d.lgs. 42/2004, storicamente considerato dalla giurisprudenza come reato permanente e l’art. 635 secondo comma, n. 1 reato istantaneo.
L’art. 518-duodecies c.p. introduce fattispecie autonome e aggravate, tra cui la dispersione e il “rendere non fruibile” il bene culturale, e si applica con specialità e rigore maggiori ai beni di interesse culturale.Sempre la III sezione della Cassazione Penale ha chiarito con sentenza n. 39603/2024 che “I fatti di danneggiamento ai danni di beni di interesse storico o artistico consumati dopo il 6 febbraio 2016, costituivano già ipotesi autonoma di reato (in continuità normativa con la precedente ipotesi aggravata) sicché il loro ricollocamento nel titolo VIII-bis del Libro II del codice penale non ha prodotto alcuna discontinuità del medesimo precetto penale che è stato solo estrapolato dalla precedente norma e spostato nell’ambito dei delitti contro il patrimonio culturale, costituendone specifica modalità di aggressione. L’unico elemento di novità introdotto dall’art. 518-duodecies, primo comma, cod. pen., è costituito dalla incriminazione della condotta (estranea al testo dell’art. 635 cod. pen.) del rendere non fruibili i beni culturali, propri o altrui; nel resto, la fattispecie incriminatrice è in tutto e per tutto sovrapponibile alle condotte tipizzate dal reato di cui all’art. 635, secondo comma, cod. pen. sicché tra le due fattispecie intercorre un rapporto di specialità per aggiunta perché il reato di cui all’art. 518-undecies cod. pen. è speciale per l’oggetto (i beni culturali) rispetto al reato di cui all’art. 635 comma primo cod. pen., allo stesso modo, del resto, con cui la precedente fattispecie aggravata della norma si poneva in rapporto di specialità (e continuità) con la fattispecie base.”
Questa norma, come osserva Visconti, rappresenta “una tutela rafforzata e specializzata, che supera la disciplina generale dell’art. 635 c.p. e risponde all’esigenza di proteggere non solo l’integrità materiale, ma anche la funzione sociale, identitaria e collettiva del patrimonio”
Rispetto al passato, la nuova disciplina introduce fattispecie autonome e aggravate, tra cui la dispersione e il “rendere non fruibile” il bene culturale, e si applica con specialità e rigore maggiori ai beni di interesse culturale.
La dottrina più recente (Visconti[4], Ghirardelli[5]) e la giurisprudenza concordano sul fatto che le condotte di distruzione, deterioramento, deturpamento e imbrattamento sono tipicamente istantanee, come è ben dimostrato dagli episodi citati della rottura della sedia e dal rogo che ha ridotto in cenere la Venere di Pistoletto.
Le condotte di dispersione e uso illecito invece possono essere, e quasi sempre lo sono, permanenti, quando la situazione antigiuridica si protrae finché il bene non viene restituito, ricollocato o cessa l’uso incompatibile, e la prescrizione decorre solo dalla cessazione della permanenza.
La dispersione, lo smembramento o la separazione di archivi e raccolte librarie costituisce danno irreparabile e, in presenza di dolo, è un reato permanente. Il valore unitario dell’archivio come universitas rerum è riconosciuto dalla dottrina archivistica (Cencetti) e dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, VI, 5732/2017). Allo stesso modo lo smembramento di libri e manoscritti antichi è una pratica ancora diffusa, spesso a fini di lucro, che annienta il valore culturale e identitario dell’oggetto librario, riducendolo a mera somma di fogli privi di contesto.
Eloquente è il caso deciso dal Tribunale di Palermo che si è trovato di fronte all’occupazione del tetto della navata destra di una chiesa monumentale del ‘500 con un locale abusivo di 15 mq adibito a sala operatoria della clinica di un palazzo contiguo, e all’occupazione del tetto della navata sinistra della stessa chiesa, con un locale adibito a cucina di un appartamento e ha chiarito che “Il reato previsto e punito dall’art. 170 d.lgs. 42/2004 ha carattere permanente, nel senso che la sua consumazione perdura per tutta la durata in cui chi ne è responsabile continui a fare o a permettere l’uso illecito del monumento, e non vi ponga rimedio ripristinandone l’integrità violata. È infatti palese che la lesione dello stesso bene e di tutti gli interessi tutelati dalla norma incriminatrice si protragga fin tanto che perduri l’uso arbitrario del monumento” (Trib. Palermo, Sez. III, 9 maggio 2017).
Come sottolinea Ghirardelli, “la funzione identitaria, storica e collettiva dei beni culturali giustifica un sistema sanzionatorio che va oltre la mera tutela della proprietà privata, per abbracciare l’interesse pubblico alla conservazione e alla fruizione”.
Le Sezioni Unite hanno già espresso il seguente principio di diritto “In tema di reati ad evento differito, qualora tra la condotta e l’evento intercorra una modifica normativa, la legge applicabile va individuata con riferimento al momento della condotta, secondo il cosiddetto criterio della condotta.”, precisando che con riferimento al reato permanente, la Corte ribadisce che occorre avere riguardo alla «cessazione della permanenza». Ciò in quanto «il protrarsi della condotta sotto la vigenza della nuova, più sfavorevole, legge penale, assicura la calcolabilità delle conseguenze della condotta stessa»[6].
NOTE
[1] Episodio celeberrimo tratto da Le vacanze intelligenti, terzo episodio del film collettivo Dove vai in vacanza? (Italia, 1978), diretto e interpretato da Alberto Sordi, con Anna Longhi nel ruolo di Augusta Proietti, moglie di Remo. Nel corso della visita alla Biennale di Venezia, Augusta, stanca, si siede su una sedia all’interno di una sala espositiva e viene scambiata da critici e visitatori per un’installazione vivente di arte contemporanea, tanto da essere “valutata” 18 milioni di lire. La scena, divenuta iconica, ironizza sia sullo straniamento del pubblico popolare di fronte all’arte contemporanea sia sulla tendenza del sistema dell’arte a feticizzare qualsiasi gesto o presenza all’interno dello spazio museale.
[2] https://www.youtube.com/shorts/mOWaExBdfEE
[3] C. Rossi, Un rarissimo incunabolo della “Commedia” con sigillo di esportazione della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma fatto a pezzi e rivenduto su eBay, in About Art Online, 22 dicembre 2022.
[4] A. Visconti, La riforma (della riforma) del danneggiamento di beni culturali, tra incoerenze criminologiche e dubbi di costituzionalità, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 2024, n. 1, pp. 86-138.
[Disponibile in open access: https://dpc-rivista-trimestrale.criminaljusticenetwork.eu/pdf/DPC%20Riv.%20Trim._1_24_visconti.pdf]
[Scheda e abstract: https://publicatt.unicatt.it/handle/10807/279157]
[5] P. Ghirardelli, Il diritto dell’arte, Key Editore, Milano, 2025.
[6] Cassazione, Sezioni Unite penali, 19 luglio 2018 (dep. 24 settembre 2018), n. 40986.
Avvocato, iscritto all’Ordine di Milano, patrocinante in Cassazione.
Assiste abitualmente, sia in sede giudiziale che stragiudiziale, imprese multinazionali ed imprese italiane leader di settore, nonché prestigiose istituzioni culturali italiane e straniere, case d’asta, archivi d’artista, privati collezionisti e artisti nei diversi ambiti (civile, penale e amministrativo) del diritto dell’arte e dei beni culturali in Italia e all’estero. È sovente chiamata come docente in corsi di formazione specialistica, come relatore in convegni, seminari e webinar. È giornalista pubblicista dal 2012 e collabora con diverse testate specializzate nel diritto dell’arte e dei beni culturali in particolare con Il Giornale dell’Arte. È stata Consigliere Ordine degli Avvocati di Milano.