Erano stati sottratti alla terra che li aveva generati, scavati nottetempo dalle sabbie egiziane e passati di mano in mano attraverso il mercato nero dell’arte antica, fino ad approdare in collezioni private e gallerie compiacenti tra l’Europa e gli Stati Uniti. Oggi, undici preziosi reperti archeologici fanno ritorno in Egitto, dopo anni trascorsi nella clandestinità e grazie a un complesso lavoro investigativo che ha ricostruito la loro tortuosa provenienza.
Tra i pezzi più significativi, un vaso cerimoniale in bronzo dedicato al dio Bes, coperto di incrostazioni calcaree che ne rivelano il recupero illecito in un contesto funerario del VII secolo a.C., e una maschera funeraria romana, risalente al periodo compreso tra il I e il III secolo d.C., apparsa sul mercato già nel 1977 e attribuibile all’area archeologica di Abusir.
Il rientro è stato possibile grazie alla cooperazione internazionale tra autorità americane, in particolare l’Antiquities Trafficking Unit della procura di Manhattan, e le autorità egiziane, in un’operazione che si inserisce in un più ampio sforzo globale per arginare la dispersione e la commercializzazione illecita di beni culturali. Le indagini, che hanno coinvolto anche Homeland Security Investigations e diversi musei e collezionisti, hanno rivelato l’esistenza di reti criminali attive da decenni, molte delle quali legate al nome di Robin Symes, noto per aver gestito e fatto circolare centinaia di reperti privi di provenienza legittima.
La cerimonia ufficiale di restituzione si è svolta a New York, alla presenza di funzionari egiziani e rappresentanti delle istituzioni coinvolte, in un momento altamente simbolico per la diplomazia culturale e per il riconoscimento dei diritti delle comunità d’origine sul proprio patrimonio.
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