Intervista all’art lawyer Katalin Andreides

Qual è il contributo apportato dai professionisti che si interfacciano quotidianamente con il complesso mondo dell’arte? Avendo a mente il quesito abbiamo intervistato l’avvocato Katalin Andreides, membro di importanti istituzioni internazionali, tra cui il British Institute of International and Comparative Law e l’Institute of Art and Law di Londra, nonché arbitro dell’Arbitration and Mediation pools della Court of Arbitration for Art dell’Aja, che si occupa di diritto dell’arte all’interno del suo studio Andreides Law con sede a Roma. Con oltre 15 anni di esperienza, in cui ha collaborato a stretto contatto con artisti, istituzioni culturali e gallerie, ha acquisito una solida padronanza delle questioni transnazionali e degli aspetti giuridici legati ai beni culturali.
Dott.ssa Andreides, quali sono, nell’attuale quadro normativo europeo, i tratti distintivi delle azioni di prevenzione e contrasto dei crimini contro i beni culturali?
Diversi sono i livelli sui quali si articola il quadro europeo per la prevenzione e il contrasto del commercio illecito di beni culturali. Ne è un esempio la Direttiva 2014/60/UE, che nell’istituire procedure per il ritorno di beni culturali rimossi illecitamente all’interno dell’UE, rientra nel novero degli strumenti con funzione riparativa. Questi, pur dissuadendo dagli atti di circolazione illecita, non realizzano un sistema organico di diritto penale specificamente diretto contro questo fenomeno.
Vi sono, peraltro, iniziative intraprese nazionalmente e globalmente. Ad esempio, nell’ottica di procedere alla criminalizzazione delle condotte legate al traffico di beni culturali e, quindi, cogliendo la necessità di imporre agli Stati l’obbligo di introdurre reati in materia nei propri ordinamenti, è stata emanata dal Consiglio d’Europa la Convenzione di Nicosia. Tuttavia, il basso numero di ratifiche ne vanifica l’efficacia. La Decisione Quadro 2008/841/GAI assume poi rilievo, in quanto affronta la problematica in considerazione della presenza della criminalità organizzata.
Nell’ambito, inoltre, del Piano d’Azione contro il traffico di beni culturali promosso dall’Unione Europea, è stato più recentemente adottato un approccio integrato che fa leva sulla sinergia tra autorità doganali, forze dell’ordine e istituzioni culturali. Questa impostazione definisce propriamente anche le normative antiriciclaggio e il Regolamento sull’importazione di beni culturali, emanati per assicurare il più alto grado di tracciabilità e interrompere i flussi finanziari illeciti. Nel presente scenario, i cui cardini sono la cooperazione transfrontaliera e la sussidiarietà normativa, occorre constatare come permangano criticità, dettate non solo dalle diverse definizioni di “bene culturale” che ciascuno Stato fa proprie, ma anche dall’assenza di un’effettiva armonizzazione legislativa.
Può aiutarci a comprendere in che modo la figura giuridica si rende necessaria nel panorama del mondo dell’arte? Può entrare nel merito di un caso di cui si è occupata, evidenziando i momenti più rilevanti?
Si tratta di una questione complessa. Il più delle volte la presenza dell’avvocato è determinante per far sì che i soggetti principalmente coinvolti, quali sono collezionisti, galleristi, case d’asta e mercanti, siano in grado di fronteggiare problematiche delle quali potrebbero non avere considerazione o che potrebbero sottovalutare. Si pensi, ad esempio, agli obblighi giuridici, nascenti dalle transazioni, dei quali sono titolari; oppure ai rischi e alle responsabilità, tanto di natura civile che penale, nei quali possono incorrere.
L’avvocato, quindi, non si limita a redigere o revisionare contratti, ma svolge una funzione preventiva, di tutela e di consulenza strategica, anche in ambiti transnazionali complessi.
Nel contesto della risoluzione delle controversie, un altro esempio è che l’avvocato deve essere consapevole che qualsiasi dubbio sulla proprietà, autenticità, attribuzione o altre caratteristiche sostanziali dell’opera può avere un impatto enorme sulla reputazione dell’opera stessa e delle parti coinvolte nella controversia. In alcuni casi, anche una semplice incertezza o un sospetto possono compromettere irrimediabilmente il valore commerciale di un’opera e danneggiare la credibilità di chi la detiene o la propone sul mercato. La discrezione e la sensibilità sono fondamentali, oltre alla conoscenza dei principali rischi giuridici e delle responsabilità connesse alle opere d’arte, soprattutto in un settore dove la fiducia, la reputazione e la percezione pubblica giocano un ruolo essenziale.
In merito al tema delle restituzioni, quanto incidono le differenze tra sistemi normativi di Paesi diversi? Quali sono le sfide pratiche e legali che emergono durante le azioni finalizzate al rimpatrio di beni ai Paesi di origine?
Ci sono due tematiche distinte in questo ambito. La prima riguarda le richieste di restituzione, che spesso concernono opere d’arte sottratte a persone perseguitate, come nel contesto della Seconda guerra mondiale. La seconda questione è invece quella della restituzione patrimoniale o rimpatrio, che indica una rivendicazione da parte di uno Stato, di una tribù, di una comunità o di un altro gruppo di persone. È molto importante mantenere ben distinta questa differenza.
Per quanto riguarda il primo caso, esistono norme internazionali generalmente riconosciute dal mercato dell’arte, come i Principi di Washington del 1998. Per quanto concerne invece le richieste di rimpatrio, non esiste un insieme di regole universamente applicabili che disciplinino tutte – o anche solo la maggior parte – di tali rivendicazioni.
In ogni caso, qualsiasi richiesta di restituzione o di rimpatrio richiederà inevitabilmente un’analisi caso per caso, basata sui fatti specifici e sulla catena di provenienza dell’oggetto in questione. Un problema tipico può sorgere quando non viene fatta una distinzione chiara tra restituzione e rimpatrio, oppure quando si ritiene di poter formulare un’opinione prima che la provenienza del bene sia stata adeguatamente ricostruita e verificata.
I musei svolgono un ruolo vitale nella tutela dei beni culturali. Come ritiene dovrebbero evolvere le normative al fine di stroncare l’operato – tristemente noto – delle istituzioni che acquisiscono reperti archeologici e opere d’arte di provenienza sconosciuta o illegale?
Penso che il contesto sia già cambiato profondamente. Le sole normative non sono sufficiente ad affrontare il problema di una provenienza insufficiente. In particolare, nel caso di oggetti molto antichi, è quasi inevitabile che vi siano lacune nella catena di provenienza. Ciò che conta davvero è che eventuali “red flags” – cioè, segnali di allarme – vengano adeguatamente indagati, piuttosto che cercare di colmare le lacune con informazioni che, al momento non sono disponibili.
Dobbiamo sempre essere consapevoli del fatto che nuove informazioni potrebbero emergere in un secondo momento. Se ciò accadesse, i musei dovrebbero agire di conseguenza e non sentirsi obbligati a mantenere una posizione solo perché, in una fase precedente, le informazioni disponibili conducevano a conclusioni diverse. È del tutto legittimo giungere a una conclusione differente quando si dispone di nuovi elementi. Il vero problema si pone quando tali nuove informazioni non vengono prese in considerazione per timore che un cambiamento pubblico di posizione possa dar luogo a critiche.
Per finire, la determinazione dell’autenticità è il punto nevralgico delle controversie sui falsi d’arte. Come si struttura il processo di verifica? Quali sono le implicazioni dettate dalla due diligence?
Dal punto di vista giuridico, vi sono diverse questioni fondamentali che meritano un’attenta considerazione:
- In primo luogo, i pareri degli esperti possono avere un impatto significativo sia sul valore di mercato di un’opera d’arte, sia sull’esito di una transazione. In alcuni casi, l’autorevolezza di specifici esperti o di comitati di autenticazione può prevalere persino sulle opinioni di rinomati studiosi accademici. I loro giudizi possono essere determinanti, soprattutto quando sono ampiamente riconosciuti dal mercato o dalle istituzioni.
- In secondo luogo, si pone una questione giuridica complessa relativa alla possibilità, da parte dei collezionisti privati, di obbligare gli archivi, le fondazioni o gli eredi di un artista a esprimersi sull’autenticità di un’opera. I tribunali, in generale, tutelano l’autonomia e la libertà di opinione di tali soggetti, ma argomentazioni di tipo legale e strategico possono talvolta aumentare la pressione o offrire un vantaggio in sede negoziale. Tuttavia, nella prassi, le vie extragiudiziali restano le più efficaci e realistiche per ottenere un’autenticazione – elemento che può risultare cruciale per determinare o mantenere il valore dell’opera.
- In terzo luogo, si pongono importanti interrogativi riguardo ai rimedi a disposizione dell’acquirente di un’opera che risulti successivamente non attribuibile come dichiarato. Tali interrogativi includono: l’estensione e la natura dei danni risarcibili; se e in che modo tali rischi possono essere allocati o attenuati contrattualmente; il termine di prescrizione applicabile per l’eventuale azione.
Tutti questi aspetti dipendono dalla legge applicabile al contratto. Il grado di tutela riconosciuto all’acquirente che abbia effettuato un acquisto errato – sia sotto forma di annullamento, risarcimento o altre forme di rimedio – varia sensibilmente da un ordinamento giuridico all’altro.

Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici

