Il ritorno delle coppe di argento dorato al Museo dell’Agro Falisco (Civita Castellana)

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Nella mattinata di venerdì 11 marzo, si è tenuta la presentazione ufficiale delle coppe in argento dorato rientrate presso il Museo Archeologico dell’Agro Falisco al Forte Sangallo di Civita Castellana. Gli oggetti, come avevamo già avuto modo di raccontare, erano custoditi presso i depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Alla presentazione sono intervenuti Stefano Petrocchi, direttore della Direzione Regionale Musei Lazio (a cui il Museo afferisce), Luca Giampieri, sindaco di Civita Castellana, Sara De Angelis, direttrice del Museo, il prof. Stefano De Angeli dell’Università degli Studi della Tuscia, e Stephen Kay della British Schoot at Rome.

Il rientro delle coppe è stato reso possibile grazie al progetto “100 opere tornano a casa” promosso dal ministro della Cultura, Dario Franceschini, al fine di valorizzare quel patrimonio storico-artistico e archeologico custodito (ma non esposto) nei depositi museali e nei luoghi della cultura statali italiani: un’esposizione che contribuisce alla fruizione di opere che altrimenti rimarrebbero sconosciute al grande pubblico e che promuove i musei territoriali dai quali esse provengono.

Abbiamo avuto modo di interloquire direttamente con la direttrice del Museo, Sara de Angelis, che gentilmente ci ha offerto un quadro generale del rinvenimento di questi preziosi oggetti e dell’importanza del loro ritorno presso il museo di Civita Castellana.

«Le coppe in argento sono ciò che rimane di un grande tesoro di argenterie, insieme ad una statuetta di centauro (parte di un vaso in argento) oggi conservata presso il Museo di arte di Vienna (Kunsthistorisches Museum), e possono considerarsi tra gli esemplari più raffinati e complessi a noi noti di «coppe megaresi», inquadrabili nel II sec. a.C.». Dal racconto della direttrice emerge che «le coppe furono rinvenute casualmente nel 1811 nell’abitato romano di Falerii Novi (attuale comune di Fabrica di Roma, a circa 4 km di distanza dal Civita Castellana). Il rinvenimento è descritto da Alessandro Visconti nel 1823 (Dissertazione su di una antica argenteria, Atti Pontificia Accademia, pp. 301-15) con le seguenti parole: Un contadino circa 3 mesi fa arando la campagna trovò col vomere tale ostacolo per cui dovette cadere; levatosi in piedi per vedere la cagione di tanto impedimento, trovò degli argenti, quali con patina plumbea, quali dorati, e porzione ne prese, ed altri dalle vicine persone furono tolti. Il luogo del ritrovamento è distante circa tre miglia da Civita Castellana e dicesi volgarmente Falleri dall’antica e celebre città Faleria».

Tuttavia come si evince dal racconto «i materiali furono in gran parte dispersi: le coppe raccolte dal contadino, e descritte da Alessandro Visconti, finirono nella collezione Borgia, avviata nel XVII sec. da Clemente Erminio Borgia e da Alessandro Borgia e fortemente ampliata e riorganizzata dal cardinale Stefano Borgia (1731-1804), fino all’allestimento presso il Palazzo di proprietà familiare a Velletri, di un vero e proprio Museo». Inoltre quest’ultimo avendo «il ruolo di segretario della Congregazione “De Propaganda Fide”, che gestiva le missioni cattoliche nel mondo, ha potuto raccogliere opere d’arte e beni archeologici da numerose parti del mondo. Dopo la sua morte, nel 1804, – continua la direttrice- la collezione fu ereditata dal nipote, Camillo Borgia, che riuscì ad acquisire le coppe prima della vendita dell’intera collezione a Napoli, con trattativa iniziata nel 1814 con Gioacchino Murat, re di Napoli, e conclusa, dopo la restaurazione del regno Borbonico, con Ferdinando VI di Borbone il 25 ottobre 1815.

In questo modo dalla scoperta casuale questi reperti raggiunsero i magazzini del Museo napoletano: infatti, «la collezione passerà a Napoli, confluendo nei materiali che daranno vita all’allestimento del Real Museo Borbonico di Napoli (da cui nascerà poi il Museo Archeologico Nazionale di Napoli), nel luglio del 1817», ha concluso la direttrice.

Come abbiamo già accennato nel precedente articolo, il tipo di manifattura e la raffinatezza delle coppe fanno ipotizzare una produzione di questi materiali in Asia Minore, probabilmente nel sito di Pergamo. Il professor Coarelli, basandosi sulle fonti storiche antiche, ritiene che questo tesoro sia stato in origine un bottino di una delle guerre asiatiche del II sec. a.C. In questo periodo nel sito di Falerii Novi, fondato dai romani nel 241 a.C., abitavano delle famiglie aristocratiche che potevano farsi pervenire tesori di tale sontuosità.

Sara de Angelis ritiene che il rientro di queste coppe sia «di particolare importanza per il Museo Archeologico dell’Agro Falisco che si arricchisce non solo di pezzi di altissimo pregio e manifattura, ma allo stesso tempo amplia il proprio percorso museale aggiungendo, nelle vetrine relative al sito di Falerii Novi, la storia di questo importantissimo rinvenimento, precedentemente non trattato. I materiali saranno inseriti nel programma espositivo per essere «ricontestualizzati al fine di cogliere al meglio l’importanza di questo sito già nel II sec. a.C.». Le collezioni del Museo sono raccolte archeologiche provenienti dal territorio falisco e sono in mostra nel piano nobile del Forte Sangallo, prestigiosa struttura militare voluta da Alessandro VI Borgia che ospitava gli appartamenti papali. Il forte radicamento territoriale dell’ente valorizza e il rientro delle coppe contribuiscono a riannodare il perduto legame con l’ambiente di origine e ad accrescere la sensibilità delle comunità nei confronti della conservazione del patrimonio culturale.

Il ritorno di questi preziosi oggetti è stata occasione, attraverso gli interventi di De Angeli e di Kay, per presentare i nuovi importanti risultati delle indagini non invasive condotte dalla British School at Rome in collaborazione con le Università di Cambridge e di Ghent sul sito romano di Falerii Novi. Dal prossimo giugno, inoltre, prenderanno avvio degli scavi che saranno eseguiti in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale. Le attività di ricerca saranno condotte da una equipe internazionale formata da British School at Rome, Università di Harvard, Università di Toronto, Università di Cambridge, Università di Ghent, e Università di Firenze.

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