Michael Steinhardt: nessuna condanna per il magnate americano che acquistava antichità di dubbia provenienza

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Torna a far parlare di sé Michael Steinhardt che, evitato il processo penale, non potrà più soddisfare il desiderio di possedere opere d’arte antica. Il procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus R. Vance, ha infatti annunciato lo scorso 6 dicembre che il magnate americano ha restituito 180 reperti archeologici per il valore complessivo di 70 milioni di dollari, ricevendo tuttavia una proibizione vitalizia all’acquisto di antichità, una novità assoluta nella risoluzione di questo genere di casi.  

Ma chi è Michael Steinhardt? È un miliardario americano con un patrimonio netto di 1.2 miliardi di dollari, fondatore nel 1967 e manager fino al 1995 del fondo speculativo Steinhardt Partner e dal 2004 al 2019 presidente della WisdomTree Investments, un exchange-traded fund con base a New York. Spesso definito “uno dei gestori di denaro di maggior successo nella storia di Wall Street”, è noto inoltre per alcune azioni filantropiche come, ad esempio, 10.000.000 di dollari donati alla Steinhardt School of Culture, Education and Human Development di New York, l’acquisto di due delle isole Falkland, poi donate alla Wildlife Conservatory Society, e una serie di donazioni a favore della causa ebraica.

Come spesso accade fra i “colletti bianchi” Michael Steinhardt è sempre stato uno dei più attivi collezionisti di antichità che, nonostante le sue tendenze filantropiche, per citare il procuratore distrettuale Vance, “per anni, ha mostrato un appetito rapace per oggetti trafugati, senza preoccuparsi delle legalità delle proprie azioni, della legittimità dei pezzi acquistati e venduti o del grave danno culturale apportato attraverso tutto il globo”.

Phiale aurea da Caltavuturo, seconda metà IV sec. – prima metà III sec a.C. (Foto: Davide Mauro).

Già al volgere degli anni ’90, Steinhardt è stato coinvolto nel caso giudiziario relativo a una phiale d’oro, rinvenuta a Caltavuturo (PA) nel 1980 durante i lavori di costruzione di un pilone della linea elettrica e subito entrata nella collezione privata del catanese Vicenzo Pappalardo. L’acquista quindi, per 30 milioni di lire, l’Ennese Vincenzo Cammarata, che nel 1991 la rivende a William Veres per 140 milioni di lire, esportandola clandestinamente a Zurigo. Grazie all’intermediario Robert Haber, che operando a Lugano ne falsifica la documentazione di provenienza, la phiale raggiunge il mercato Statunitense e viene acquistata da Steinhardt per 1.200.000 dollari, ovvero il 680% rispetto alla prima transazione nota. Nel 1995 la Procura di Termini Imerese riesce tempestivamente ad avanzare la richiesta di rogatoria internazionale all’autorità giudiziaria di New York, che nel 1999 conferma la sentenza di primo grado del 1997 e sancisce la restituzione dell’oggetto all’Italia, in quanto “rubato” ai sensi del National Stolen Property Act (NSPA).

Anche nel 2017 il coinvolgimento di Steinhardt nei traffici illeciti raggiunge i titoli dei giornali: si tratta del caso del Guennol Stargazer, un rarissimo idolo calcolitico con pochissimi confronti (uno dei quali messo all’asta da Christie’s nel 2005 e passato precedentemente per le mani di Robin Symes), il cui recente esito non è stato positivo come per la phiale. In breve: nel 2017 la Repubblica Turca avanza la richiesta di restituzione dell’idolo da parte di Christie’s, dichiarandone l’origine illecita. Steinhardt è il venditore dell’oggetto all’epoca dell’asta: l’aveva acquistato nel 1993 dalla Merrin Gallery, che l’aveva ottenuta da Alastair Bradley Martin e Edith Martin, che a loro volta l’avevano acquisita negli anni ’60 da John J. Klejman. Quest’ultimo è stato associato a molti oggetti di origine illecita dallo stesso Thomas Hoving, direttore del Metropolitan Museum of Art, che aveva tenuto in esposizione l’idolo dal 1968 al 1993 e dal 1999 al 2007. Tuttavia, il giudice della corte del distretto federale di Manhattan, Alison J. Nathan, ha sancito questo settembre l’impossibilità di restituire l’idolo alla Turchia, basando la propria decisione sull’enorme visibilità dell’oggetto fin dagli anni ’60 e sulla sostanziale mancanza di prove circa l’esportazione illecita dell’opera d’arte. 

Il caso della Testa di Toro rinvenuta nel 1967 dall’archeologo Francese Maurice Dunand nel Tempio di Eshmun (Sidone, Libano) è un altro esempio degli investimenti che già collegavano Steinhardt a numerosi nomi noti nel traffico illecito di antichità: dopo il suo ritrovamento, la Testa di Toro e altri oggetti furono trasferiti a Beirut e quindi a Biblo per proteggerli dai disordini della Guerra civile nel 1979; nel 1981 il gruppo paramilitare dei Falangisti sequestra diversi oggetti, restituendone alcuni ma facendone scomparire altri nel mercato clandestino; durante gli anni ’80 l’oggetto sembra essere stato posseduto dal collezionista George Lotfi a Beirut o a Parigi e da Frieda Tchakos a Zurigo (già coinvolta in numerosissimi casi giudiziari); nel 1996 la Testa di Toro entra in possesso di Robin Symes, che la vende nello stesso anno a Lynda e William Beierwaltes – la cui collezione ospitava numerose antichità frutto di scavo clandestino – in Colorado; nel 2005 l’opera d’arte raggiunge i fratelli Aboutam che la vendono a Steinhardt nel 2010 per 700.000 dollari. Immediatamente, la Testa di Toro viene esibita al Metropolitan Museum of Art di New York. In poco tempo, grazie alla notifica del Curatore in carica del Dipartimento di antichità classiche del MET, Carlos Picon, le autorità Libanesi vengono avvisate e nel 2017 la Testa di Toro viene sequestrata dal procuratore distrettuale, insieme a un’altra statua trovata in possesso di Steinhardt e proveniente dallo stesso tempio, e finalmente viene esposta all’inizio del 2018 al Museo Nazionale di Beirut.

A Gennaio 2018 il procuratore distrettuale Vance, continuando a scavare nella collezione del miliardario americano, procede con il sequestro di 10 oggetti acquistati negli ultimi 20 anni e ottiene da parte dell’autorità giudiziaria il mandato a perquisire le diverse proprietà di Steinhardt per sequestrare eventuali documenti, computer e altri strumenti di catalogazione, e fotografare e/o filmare ogni oggetto antico presente nell’appartamento e nell’ufficio.

L’operazione porta immediatamente all’indagine diretta dall’Antiquities Trafficking Unit, che ha coinvolto le forze dell’ordine di 11 paesi (Bulgaria, Egitto, Grecia, Iraq, Israele, Italia, Giordania, Libano, Libia, Siria e Turchia) e numerosi esperti. Un’operazione triennale di ampio respiro, sintetizzata nello Statement of Facts del procuratore distrettuale, che ancora una volta dimostra la persistenza di traffici già ben noti (Giacomo Medici, Gianfranco Becchina, Robin Symes, Robert Hecht e i Bürki sono solo alcuni dei nomi che hanno immesso sul mercato gli oggetti acquistati da Steinhardt) e delle modalità con cui essi si snodano.

Idolo Sardo – Cultura Ozieri, 2500-2000 a.C. Uno degli oggetti sequestrati e destinati a ritornare in Italia. È stato identificato negli archivi Medici, frammentato in 6 parti.  Appare per la prima volta sul mercato nel 1989, nelle mani di Robin Symes (Foto: Manhattan District Attorney).

L’indagine, nonostante le numerose prove raccolte, si è conclusa senza processo e condanna penale:

Nonostante l’indifferenza decennale di Steinhardt nei confronti dei diritti che i popoli hanno sui propri tesori sacri, gli interessi della giustizia, prima ancora che alla condanna e al processo, sono rivolti a una risoluzione che assicuri che una sostanziale porzione del danno provocato al patrimonio culturale mondiale verrà risolta, una volta per tutte. Per cui, questo accordo garantisce che 180 pezzi verranno restituiti velocemente ai loro proprietari di diritto in 11 nazioni, piuttosto che venire trattenuti come prove per tutti gli anni necessari a completare l’accusa del Grand Jury, il processo, la potenziale condanna, e la sentenza. Questa risoluzione inoltre permette al mio Ufficio di proteggere l’identità dei numerosi testimoni qui e all’estero i cui nomi verrebbero pubblicati in qualsiasi Grand Jury o processo. Infine, questo accordo sancisce che Steinhardt sia soggetto a una proibizione senza precedenti, e a vita, dall’acquisto di antichità.

(DA Cyrus R. Vance, Statement of Facts)

Stando alle dichiarazioni del procuratore distrettuale di New York, in questo specifico caso si è preferito procedere a una restituzione immediata, che seguirà a breve giro nei prossimi mesi, piuttosto che a un lungo e tortuoso processo penale. Il fatto può lasciare un certo amaro in bocca, soprattutto considerato il fatto che il miliardario si dichiara “soddisfatto dal fatto che la lunga indagine si è conclusa senza accuse, e che gli oggetti ingiustamente presi da altri verranno riconsegnati alle loro nazioni native” negando, de facto, qualunque presa di responsabilità etica. 

Affresco da Ercolano, con Ercole bambino che strangola il serpente mandatogli da Era per ucciderlo, 50 a.C., saccheggiato dalla Villa in “Oliva dei Monaci” a Ercolano e venduto da Pasquale Camera a Raffaele Monticelli prima del 1995 per 120.000 dollari.

Di certo, gli oggetti sequestrati verranno prontamente restituiti agli stati di provenienza (51 rientreranno in Italia) e le evidenze raccolte dall’indagine internazionale, sintetizzate nello Statement of Facts e di futuro approfondimento sulle nostre pagine, sono di altissimo interesse: portano infatti alla luce numerosi nuovi tasselli che vanno ad aggiungersi all’intricato puzzle del traffico internazionale di beni culturali.

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