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Con il ritorno della testa di Ade, trafugata negli anni settanta in Sicilia nei pressi del Santuario extraurbano di San Francesco Bisconti a Morgantina (Enna) e esportata illegalmente negli Stati Uniti al Paul Getty Museum di Malibù, è tornata sulle prime pagine dei giornali italiani la storia delle restituzioni di materiale trafugato in Italia.

Il rientro si deve a due archeologhe italiane, Serena Raffiotta e Lucia Ferruzza, che hanno riconosciuto in un ricciolo di barba, custodito nei depositi del museo di Aidone, uno dei piccoli pezzi mancanti dalla testa conservata nel noto museo americano che l’aveva acquistata, nel 1985, dal collezionista di New York Maurice Tempelsman, per 500 mila dollari. Uomo d’affari belga-americano e mercante di diamanti, forse più noto  per essere stato per lungo tempo il compagno di Jacqueline Kennedy, ex first Lady del presidente John Fitzgerard Kennedy, è noto anche per aver venduto al P.Getty Museum la sua raffinata collezione archeologica che annoverava, tra gli altri, due reperti in marmo policromo di inestimabile valore: un sostegno per mensa (trapezophoros) con due grifoni che attaccano una cerva e un bacile rituale (podanipter) decorato all’interno con la scena di Tetide e le Nereidi che portano le armi di Achille, trafugati nel territorio di Ascoli Satriano in Puglia. Le restituzioni dei marmi, insieme ad una serie di reperti archeologici, è stato il frutto di lunghe trattative tra il MiBACT e i direttori delle importanti istituzioni americane, culminate con l’esposizione dei capolavori rientrati in una grande mostra al Quirinale dal titolo, quanto mai indicativo, “Nostoi – Capolavori ritrovati”.

Non tutti però sanno che questo eccellente risultato è stato ottenuto grazie a un lungo e paziente lavoro svolto “dietro le quinte” da uno staff molto solido, nato casualmente dalla collaborazione tra la Procura della Repubblica di Roma, le forze di polizia e i funzionari delle Soprintendenze, collaborazione che ha evidenziato come gli archeologi, che in sostanza indagano nel passato, abbiano fornito un fondamentale apporto alla magistratura in una serie di indagini “moderne”, concatenate tra loro.

Il percorso è stato lungo; da quando a partire dal 1997 il Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma Paolo Giorgio Ferri, da poco scomparso, ha iniziato ad indagare in quel mondo,  coinvolgendo fin dall’inizio – e per la prima volta in modo così continuativo – gli archeologi.

La storia inizia nel 1995 con una brillante operazione dei Carabinieri dell’allora Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, in stretta collaborazione con la Polizia svizzera, che portò al sequestro di un deposito al Porto Franco di Ginevra intestato ad una società che faceva capo a un cittadino italiano, molto noto nel territorio dell’Etruria meridionale*. Il sequestro era composto da circa 3800 reperti, da una copiosa documentazione e da fotografie, polaroid e numerosi negativi, in cui erano raffigurati migliaia di reperti provenienti per il 90% dal territorio italiano. Una delle prime cose che attirò la nostra attenzione fu la presenza di cartellini della Sotheby’s di Londra su molti dei reperti in sequestro: il procuratore Ferri ottenne dai legali della casa d’asta la documentazione riguardante i rapporti intercorsi nel tempo con la società ginevrina e chiese a me e a Daniela Rizzo di scoprire qualcosa di anomalo nelle lunghe liste di reperti che questa inviava periodicamente alle aste londinesi, oppure attraverso gli esiti delle vendite che la Sotheby’s trasmetteva al proprietario dei reperti. Il lavoro sembrava improbo ma, tra un mare di cifre, fotografie, riscontri bancari, ricevute e fatture, scoprimmo che i reperti rinvenuti nel deposito svizzero, apparentemente acquistati ad una vendita pubblica e, quindi, in possesso di una legittima provenienza, in realtà erano stati messi in vendita e riacquistati mediante società di comodo.

Nel 1999, dopo oltre un anno di sopralluoghi presso il porto Franco di Ginevra, nel corso del quale sono stati collegati i documenti e le fotografie con i materiali sequestrati e con gli acquisti effettuati dai più grandi musei del mondo, abbiamo cominciato a raccogliere tutti gli elementi utili per sostenere la lunga e illecita attività nel campo del mercato internazionale di beni archeologici.

Non tralasciammo di esaminare nemmeno le fotografie “private”, quelle che il trafficante italiano aveva effettuato nel corso dei suoi viaggi all’estero e che aveva incautamente conservato insieme a quelle “di lavoro”, rivelatesi poi una preziosa linea-guida. In particolare ci concentrammo su quelle in cui appariva in compagnia di Robert Emanuel Hecht, personaggio di spicco del mercato illecito internazionale e venditore del cratere di Eufronio al Metropolitan Museum, accanto alle vetrine che custodivano importanti capolavori archeologici, tra i quali il sostegno di mensa in marmo policromo al J.Paul Getty Museum. Ipotizzammo che quelle che potevano sembrare innocenti foto-ricordo di un bel viaggio erano invece l’attestazione della complicità nelle vendite portate a termine dai due che, quasi con orgoglio, vi si erano fatti fotografare accanto. Tra le polaroid sequestrate a Ginevra, infatti, ne trovammo alcune che raffiguravano proprio il sostegno in frammenti, fotografato dentro il portabagagli di una macchina o appoggiato su giornali italiani, e il bacile rituale, ricoperto di incrostazioni terrose, tutte con lo stesso numero del supporto fotografico (00057703532) e nessun altra indicazione tranne che numeri sequenziali manoscritti, prova che le stesse erano state riprese insieme o in un breve lasso di tempo.

Nel 2001, presso il prestigioso Getty Center di Los Angeles come consulenti del dr. Ferri, partecipammo all’interrogatorio di Marion True, allora responsabile della sezione antichità del Getty Museum, e in quella occasione chiedemmo delucidazioni su alcuni dei materiali acquistati dal museo e, in particolare, del trapezophoros, del bacile rituale e di una statua di Apollo in marmo, oggi restituiti all’Italia e esposti al museo di Ascoli Satriano. Fin qui il passato, ma proprio su questi materiali – e molti altri – c’è una nuova storia da raccontare.

Nel corso del processo aperto presso il Tribunale di Roma contro Marion True, curatrice della sezione antichità del Getty Museum e Robert Emanuel Hecht, il notissimo trafficante internazionale, si è a lungo dibattuto su un documento datato ottobre 1985 che due giornalisti del Los Angeles Times, Jason Felch e Ralph Frammolino, erano riusciti ad ottenere da una loro fonte confidenziale, probabilmente interna al Getty museum.

Il documento, una nota riservata, scritto da Arthur Hougthon, predecessore di Marion True alla sezione antichità del Getty, a Deborah Gribbon, Direttrice associata del museo, riguardava alcune considerazioni relative ad un articolo scientifico pubblicato poco prima, in cui l’autore indicava per tre capolavori marmorei recentemente acquisiti dal museo la stessa provenienza e datazione. Hougthon invece, a sostegno della sua tesi che i marmi provenissero da una stessa zona geografica ma da contesti diversi e di differente datazione, riportava testualmente: ” ….ho avuto la possibilità di discutere la questione con il mercante che ha comprato i tre oggetti dagli scavatori. Questo individuo(con tanto di nome e cognome del mercante italiano n.d.r.) ha venduto il bacile a Robert Hecht e i grifoni e l’Apollo a Robin Symes. In seguito Hecht ha venduto la lekanis/bacile a Symes, che poi ha trasferito le tre sculture, come un unico gruppo, a Maurice Templesman, dal quale noi le abbiamo comprate.”  Houghton continua la relazione affermando che il mediatore italiano ha confermato non solo che il trapezophoros e il bacile rituale provenivano da una stessa tomba “non lontano da Taranto“, ma che il contesto includeva anche “un discreto numero di vasi del Pittore di Dario”**. Anche se il documento interno “confidenziale” sembra dare una certa credibilità alle asserzioni del trafficante italiano, e per altro dimostra come il museo fosse consapevole della provenienza illecita dei tre reperti, si ha sempre bisogno di trovare prove concrete che trasformino ipotesi in certezze. 

Sempre nelle nostre ricerche ci siamo imbattuti in un gruppo di 21 vasi apuli esposti nello Staatliche Museen di Berlino, tutti provenienti da una stessa tomba, come lo stesso museo indica.

Il nostro interesse si è rivolto soprattutto verso due crateri a mascheroni apuli a figure rosse, attribuiti al Pittore di Dario; il complesso dei vasi apuli è stato acquistato nel 1984, a detta del museo tedesco, da una famiglia svizzera che li deteneva dai primi anni del 1970. L’ indicazione veniva suffragata da due testimoni, Fiorella Cottier Angeli, cittadina italiana residente a Ginevra, collezionista di oggetti in bucchero e in impasto, restauratrice, funzionaria delle dogane elvetiche del Porto Franco e, soprattutto, fida collaboratrice del mercante italiano, e Jacques Chamay, direttore del Museo di Ginevra più volte implicato in indagini della magistratura italiana. La Cottier dichiara di aver restaurato essa stessa gli oggetti, garantendo di avere rilevato altri interventi di restauro, molto antichi. Ma la realtà appare decisamente diversa.

Ben 4 dei 21 vasi apuli sono stati rintracciati nelle polaroid dell’archivio Medici, e due di questi appaiono ancora in frammenti, quindi prima di qualsiasi restauro, in un gruppo di polaroid con lo stesso numero di serie (00057703532), che facevano parte di una confezione di polaroid “300 Istant Film” da 20 scatti.

Orbene, 13 polaroid della stessa confezione ritraggono due crateri apuli a mascheroni del Pittore di Dario, mentre sei polaroid, con l’identico numero di serie, mostrano il trapezophoros in pezzi e il bacile rituale dipinto ricoperto di incrostazioni terrose: tutto ciò dimostra che i vasi apuli, oggi a Berlino, e i reperti marmorei restituiti dal Getty museum, ora esposti ad Ascoli Satriano, provengono sicuramente dalla stessa importante tomba apula della seconda metà del IV sec. a. C.

Lo stesso numero hanno un altro vaso apulo in frammenti, che stiamo ancora cercando, e uno splendido cratere del pittore di Dario, decorato con scene dall’Iliade, individuato in una pubblicazione a cura dell’associazione Hellas & Roma, di cui la Cottier e lo Chamay erano fondatori, ricomparso nel 2016 in mostra alla TEFAF di New York, di proprietà della Phoenix Ancient Art dei fratelli Aboutaam, più volte inquisiti a Roma, a Ginevra e a New York. Alla mano del Pittore di Dario sono attribuiti anche altri capolavori come, l’anfora a figure rosse decorata con la scena della morte di Atreo, venduta dallo stesso Hecht al Museum of Fine Arts di Boston inv. 1991.437); la pelike apula a figure rosse decorata con il ritorno di Andromeda venduta al P.Getty Museum (inv. 87.AE.23); la loutrophoros apula a figure rosse decorata con Niobe in lutto, venduta al Princeton University Museum of Art (inv.1989-29); un cratere a volute apulo a figure rosse venduto al Cleveland Museum of Art (inv. 1988.41); un dinos apulo a figure rosse con Ercole e Busiride venduto al Metropolitan Museum of Art di New York (inv. 1984.11.7). Tutti questi vasi, acquistati dai musei americani tra il 1984 e il 1991 attraverso gli stessi personaggi, non a caso sono stati restituiti allo Stato italiano.

Cratere alla TEFAF
Polaroid sequestrata

Certo, non si può sostenere con assoluta sicurezza che tutti questi vasi provengano dalla stessa tomba di Ascoli Satriano ma l’ipotesi è suggestiva; chissà se le analisi delle ceramiche o quelle di eventuali concrezione, ancora presenti all’interno dei vasi, potrebbero darne la conferma.

   Cronologia delle indagini

• 1995 – Raid della Polizia Svizzera e dei Carabinieri presso il Porto Franco di Ginevra
• 1997 – Analisi delle fotografie dei reperti e della documentazione della Edition Service da parte dei funzionari della Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini
• 1998 – Inizio delle attività di consulenza presso il Porto Franco di Ginevra su incarico del PM Ferri da parte di Pellegrini per studiare la documentazione sequestrata
• 1999 – Consulenze alla Procura di Roma sui materiali in sequestro e relazioni da parte di Rizzo e Pellegrini su i materiali presenti nei musei americani, tra cui il Getty
• 2000 – Arrivo in Italia dei materiali archeologici sequestrati a Medici e depositati presso i magazzini del museo di Villa Giulia e di tutta la documentazione depositata poi in Procura e messa a disposizione dei consulenti
• 2001 – Missione del Procuratore Ferri a Los Angeles presso il Getty Center con la presenza dei consulenti Rizzo e Pellegrini
• 2001/03 – Rogatorie internazionali, altri sequestri in Europa
• 2002 – Savino Berardi, il tombarolo di Ascoli Satriano, confida ai CC la provenienza dei marmi. Inizio indagini su altri marmi sequestrati anni prima dalla GdF
• 2005 – Inizio processo contro M. True e R.E. Hecht con la testimonianza di Pellegrini e Rizzo come consulenti del PM 
• 2006 – Indagine dei giornalisti del Los Angeles Times J. Felch e R. Frammolino
• 2006 – Arrivo a Roma degli altri marmi provenienti da Ascoli Satriano. Il dott. Angelo Bottini individua la relazione tra questi e i due ancora al Getty museum. Condanna di G. Medici in I grado di giudizio
• 2011/12 – Condanna definitiva del Medici a 8 anni di reclusione – assoluzione per scadenza dei termini per M. True e R. E. Hecht.


** Pittore di Dario

Nome convenzionale attribuito al grande artista dopo il ritrovamento nel 1851 del “vaso di Dario”, in una località poco distante da Canosa di Puglia e oggi esposto al Museo Nazionale di Napoli, dove è raffigurato Dario re dei persiani. Il ceramografo fu attivo nella seconda metà del IV secolo a.C. con una produzione di vasi di grandi dimensioni, per lo più crateri a volute, anfore e loutrophoros, decorati con uno stile del tutto particolare per la trattazione del soggetto, la composizione delle figure su più registri, per la ricchezza della decorazione e per l’abbondanza di colori aggiunti. La scelta iconografica era frequentemente ispirata alle scene teatrali, in particolare le tragedie di Euripide, e ai temi mitologici che, a volte, sono noti solo attraverso i suoi capolavori non essendo rappresentati nei testi letterari. Nella composizione delle scene l’artista tende a utilizzare tutto lo spazio disponibile del vaso, disponendo le figure armonicamente in più registri ed inserendo nelle diverse zone fregi ornamentali che distinguono i diversi piani. Il suo attivissimo atelier era probabilmente a Taranto e vi lavoravano giovani artisti e allievi mentre il maestro si dedicava ai lavori che gli venivano commissionati dalle famiglie aristocratiche dell’Apulia meridionale.  
Arthur Dale Trendall, un’autorità nel campo della pittura vascolare del sud Italia, ha definito il Pittore di Dario il più importante pittore di scene mitologiche dell’intera ceramografia apula.

Bibliografia

Watson-Todeschini,  The Medici Conspirancy, Publicaffair 2006.
Godart (a cura di), Nostoi Capolavori Ritrovati,  Roma Palazzo del Quirinale 21 dicembre 2007.
Isman, I Predatori dell’Arte, Skyra 2009.
Felch-Frammolino, Chasing Aphrotide, Mifflin 2011.

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