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Nella splendida cornice di Amelia (TR), arroccata al confine tra Lazio e Umbria, numerosi specialisti e professionisti del mondo dell’Arte e dell’Archeologia sono stati invitati al confronto e al dialogo sulle annose problematiche che minano il Patrimonio Culturale. La molteplicità di campi trattati, dall’ambito legale ai software informatici, ha creato un ricco intreccio di expertise e offerto valide indicazioni di lavoro per il futuro. Cerchiamo dunque di fare il punto di quanto è stato proposto e discusso.

 

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Veduta di Amelia (foto di M. De Bernardin)

 

Spunto di avvio della conferenza è stata la ricorrenza del ventesimo anniversario dei Washington Principles on Nazi-Confiscated Art, sanciti durante la Washington Conference on Holocaust Era Assets il 3 dicembre 1998. L’attività di ricerca e le conseguenti misure legali intraprese negli ultimi anni hanno portato all’identificazione e al recupero di svariate opere d’arte all’epoca confiscate dai Nazisti (soprattutto tra 1939 e 1945). Molto  altro però rimane da fare, come sottolinea Marc Masurovsky (co-fondatore del Holocaust Art Restitution Project): è auspicabile una più decisa collaborazione tra gli esperti del settore (case d’asta comprese) e una collettiva assunzione di responsabilità. Temi scottanti, quali il controverso principio di “acquisto in buona fede” e l’arricchimento post-bellico dei musei nazionali con beni originariamente di proprietà privata, sono stati affrontati in un acceso dibattito che ha coinvolto anche i legali dell’Art Loss Register e dell’Art & Cultural Property Law Group della Constantine Cannon LLP. Seppur ricorrente una certa discrepanza tra i principi morali, che imporrebbero la restituzione, e i complessi meccanismi legali soggetti a diversi indirizzamenti, è innegabile che i Principi di Washington abbiano costituito e tuttora costituiscano uno strumento di grande efficacia per far valere le richieste di restituzione mosse dagli eredi delle vittime del Nazismo. La loro applicazione si potrebbe persino estendere alle opere sottratte in età coloniale, con il riconoscimento dell’ingiustizia compiuta dagli Stati che si sono impossessati della proprietà culturale di altri Paesi.

Il ruolo cruciale delle realtà museali è quindi balzato in primo piano. Creato nel 1946 e riconosciuto dall’UNESCO come proprio braccio operativo nel 1947, l’ICOM (International Council of Museums) ha il compito dichiarato di stabilire gli standard etico-gestionali delle collezioni museali al fine di proteggere il Patrimonio Culturale. France Desmarais, Director of Programmes and Partnerships, ha sottolinato l’incessante attività di sensibilizzazione ai temi della provenance e della due diligence svolta da ICOM. Attività che sta dando sempre maggiori frutti nella forma di volontarie restituzioni da parte dei musei, o di rifiuto all’acquisizione di opere di provenienza dubbia: la pratica museale appare così in progressivo cambiamento. Inoltre, la redazione di specifiche Red List dei manufatti archeologici a maggior rischio di saccheggio e traffico illegale si è dimostrata un decisivo passo avanti nella lotta al contrabbando delle Antichità. Altrettanto rilevante è il lavoro di UNIDROIT, l’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato attivo dal 1926 e ora sostenuto da ben 63 Stati. Marina Schneider, Senior Legal Officer, ha enfatizzato l’importanza della Convenzione UNIDROIT del 1995, che permette ai paesi membri di muovere richiesta di restituzione dei beni culturali (pubblici e privati) rubati, o illecitamente fuoriusciti dai confini nazionali. La firma e la ratifica ufficiale della Convenzione, recentemente effettuata anche dalla Siria, rappresenta quindi un passaggio fondamentale per la protezione del proprio Patrimonio Culturale. 

 

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Un momento della conferenza (credits to ARCA)

 

Il primo pomeriggio di discussione ha visto come protagonisti alcuni significativi casi-studio di beni archeologici trafugati e venduti: le sculture funerarie greco-romane di Cirene, ricomparse in particolare sul mercato spagnolo (Morgan Belzic – Mission archéologique française en Libye), le numerose statuette di divinità indiane manomesse dai restauratori nel tentativo di renderle irriconoscibili (S. Vijay Kumar – India Pride Project) e il famoso Atleta di Fano. Maurizio Fiorilli, Vice Avvocato Generale dello Stato, ha ribadito la sentenza del Tribunale di Pesaro dell’8 giugno scorso, con la quale si ordina la confisca della statua attualmente al Getty Museum. La proprietà italiana del bronzo è convalidata sia dal diritto del mare, sia dalla legge italiana vigente. Il legittimo possesso americano, propugnato dagli avvocati del Getty sulla base del presunto ritrovamento in acque internazionali, non è in realtà sostenibile. Al contrario, il fatto che lo stesso patron J. Paul Getty avesse a suo tempo tergiversato e infine rifiutato di comprare la statua, visti i costi e la dubbia provenienza, getta forti ombre sulla dichiarata good faith dell’acquisto poi condotto da Jiri Frel.

Particolarmente interessanti i contributi relativi agli strumenti informatici per il contrasto dei crimini contro il Patrimonio Culturale. L’uso dei Big Data nell’analisi dei social network e dei social media risulta di grande utilità nella ricostruzione delle reti criminali e dei passaggi di mano delle opere d’arte (Aaron Mannes – ISHPI Information Technologies). Laurel Zukerman ha invece presentato un nuovo software open source che rende rapidissima l’individuazione delle cosiddette red flag connesse alla provenienza dubbia o problematica di un’opera. Il programma Voyant è in grado di analizzare un qualsiasi testo selezionato (ad esempio il catalogo di un’asta) alla ricerca delle parole chiave desiderate (ad esempio nomi propri di collezionisti o mercanti d’arte), restituendo come output una nuvola di parole dall’impatto immediato. Sempre maggiore attenzione da parte del mercato dell’arte è rivolta anche alla tecnologia Blockchain, che dovrebbe garantire l’immutabile trasparenza e tracciabilità delle transazioni (si veda l’Art + Tech Summit organizzato da Christie’s in luglio).

Aggiornamenti su importanti iniziative internazionali hanno infine occupato la sessione conclusiva della conferenza. Con la promozione dell’UNESCO e in collaborazione con ARCA (Lynda Albertson e Sam Hardy), UNIDROIT (Marina Shneider), ICOM, UNODC e INTERPOL, Samer Abdel Ghafour, consulente UNESCO e fondatore di ArchaeologyIN, ha organizzato un innovativo Training Program for Specialists Working to Deter Cultural Property Theft and the Illicit Trafficking of Antiquities, tenutosi a Beirut lo scorso aprile. Coinvolgere e formare gli specialisti locali, attivi nei paesi a grave rischio di traffico illecito, è infatti cruciale per permettere loro di affrontare con consapevolezza il fenomeno del contrabbando di Antichità. In costante crescita risultano anche i provvedimenti assunti dai Paesi del Sud America per prevenire e combattere il traffico illecito di beni culturali. In particolare il Brasile ha costituito nel 2015 una Commissione per la lotta al traffico illecito del Patrimonio Culturale, che sta compiendo progressi nel tentativo di coordinare le leggi federali in materia e assicurare la loro efficacia (Anauene Dias Soares – consulente UNESCO per il Ministero Brasiliano della Cultura).

In un’atmosfera caratterizzata dal frequente invito al dialogo e alla condivisione di idee e soluzioni, palesi assenti all’ARCA Convention 2018 sono stati proprio i galleristi e le case d’asta, seppur interlocutori di assoluto rilievo nel mondo dell’arte. L’unico intervento di un rappresentante della categoria, Gareth Fletcher del Sotheby’s Institute, si è concentrato sulla rapida esposizione degli attuali meccanismi deterrenti rispetto al riciclaggio di denaro e alla compra-vendita di materiale di dubbia provenienza. È evidente che ci sia ancora lavoro da fare per condurre al tavolo della trattativa davvero tutte le voci interessate e avere in futuro un’efficace e uniforme posizione di contrasto agli illeciti in questo settore. Tuttavia, essendosi ormai avviati in modo decisivo anche gli apparati internazionali, le premesse sembrano buone.

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