Il trono violato di Napoli e i suoi risvolti penali. Un approfondimento

È rimbalzata su più canali la notizia che ha visto coinvolto il trono del palazzo reale di Napoli, utilizzato come set fotografico da quattro signore durante una serata di gala lo scorso 10 maggio e in questa sede proveremo ad esaminare le questioni penali connesse

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La Sala del Trono, Palazzo Reale (Napoli)

 

Ampia è stata l’indignazione e tanta, forse troppa, la gogna a cui queste donne sono state sottoposte, patendo personalmente più di quello che effettivamente meriterebbero, ma ciò non toglie che quanto accaduto sia assolutamente disdicevole e meriti una netta e decisa condanna. Una reprimenda morale è stata pressoché unanime, ma una condanna di tipo giuridico, auspicata dai più, è tutt’altro paio di maniche, anche perché è doveroso sottolineare come non ogni comportamento vietato sia necessariamente un comportamento penalmente rilevante. Si è parlato infatti sui media dei risvolti penali di tale faccenda, ma soltanto accennandoli, senza scendere nel dettaglio circa quale reato sia effettivamente contestabile. E ciò diventa fondamentale perché una denuncia è un’azione che può essere intrapresa soltanto se c’è una norma che prevede e punisce quel comportamento. Poi, se l’ente preposto ha dubbi sulla specifica norma da applicare, ben può presentare un esposto alla Procura in cui si limita a descrivere i fatti lasciando all’autorità giudiziaria il compito di individuare eventuali ipotesi di reato.

Immagine trono napoli

Quindi, quale reato potrebbe configurarsi? Non essendo stato causato alcun danno materiale non è configurabile il reato di danneggiamento previsto dall’art. 635 c.p., il quale punisce chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibile un bene altrui. Non si configura nemmeno la forma più lieve di danneggiamento, quello per deterioramento, poiché questo richiede una modificazione materiale della res tale da peggiorarne la qualità e ridurne il valore anche se in maniera non irreversibile (ad esempio la mutilazione di una statua, l’imbrattamento di un dipinto). Per la Cassazione il reato di danneggiamento mediante deterioramento è configurabile soltanto quando la situazione creata richiede per il ripristino un’attività non agevole. Tra le altre cose il reato di danneggiamento è punito soltanto a titolo doloso, solo cioè se commesso con la volontà specifica di danneggiare: il danneggiamento non è punito a titolo di colpa. Al più potrebbe applicarsi l’art. 639 c.p. – Deturpamento e imbrattamento di cosa altrui – i cui comportamenti consistono in una alterazione della cosa tale da renderla sudicia e disarmonica con pregiudizio della pulizia della stessa. Francamente appare inverosimile che le quattro donne abbiano effettivamente alterato l’estetica delle cose pregiudicandone la pulizia. Sia l’art. 635 che il 639 puniscono un deterioramento ma con una differenza: il deterioramento nel danneggiamento richiede un intervento ripristinatorio dell’essenza e della funzionalità della cosa; il deterioramento nel deturpamento e nell’imbrattamento arreca un’alterazione solo superficiale e facilmente reintegrabile. Ma non essendo avvenuto nulla di tutto ciò bisogna quindi ricercare tra quelle norme che puniscono prima e a prescindere della verificazione effettiva di un danno, grande o piccolo che sia. Vi è un’unica norma che potrebbe apparire applicabile e si trova nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio:

Art. 170 – Uso illecito
È punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque destina i beni culturali indicati nell’Articolo 10 ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità.

Tale norma prevede un cosiddetto reato di pericolo, che opera attraverso una tecnica di tutela che si anticipa la tutela stessa punendo la semplice situazione pericolosa; tale situazione, nell’art. 170, si configura con la destinazione, la preparazione o l’approntamento verso un utilizzo vietato: vietato perché incompatibile con il carattere storico o artistico del bene o vietato perché pregiudizievole della conservazione o dell’integrità del bene stesso. La norma presenta forti problematicità poiché non è agevole definire concretamente in sede applicativa gli usi incompatibili con il carattere storico artistico del bene (che secondo la Corte di Cassazione sono quelli che determinano la distorsione dal godimento che è proprio del bene, ovvero di studio, ricerca o piacere estetico complessivo) così come non immediata è l’individuazione di quegli altri comportamenti puniti da questa norma, ossia quelli pregiudizievoli della conservazione o dell’integrità del bene. Quindi, mettersi in posa farsi scattare delle foto per frivola giovialità, per quanto di dubbio gusto, è molto difficile da valutare se integri o meno un uso incompatibile. Sul punto ci sono autori che attribuiscono a tale condotta una connotazione lesiva dell’integrità materiale del bene, la Cassazione ha invece ritenuto configurare tal reato quegli interventi sul bene culturale non “finalizzati a valorizzare la natura storica od a garantirne il miglior utilizzo, quanto, piuttosto, a soddisfare beni ed interessi privi di relazione con tale natura e con la destinazione pubblica” (Sentenza n. 42065 del 2011, la quale ha censurato dei lavori di costruzione di un parcheggio all’interno di un parco pubblico). Comunque la si veda è a mio avviso estremamente difficile che possa configurarsi un uso illecito di cui all’art. 170, la qual cosa non significa che il comportamento sia consentito ma solo che non risulta essere penalmente rilevante. Questa è la norma che ipoteticamente più si potrebbe avvicinare al caso in questione anche se permangono dei forti dubbi poiché il tenore letterale della norma induce a ritenere sia sanzionato non chi fa del bene culturale un uso vietato ma “chiunque destini” ad un uso vietato, limitando quindi gli autori del reato ai proprietari, ai possessori e ai legittimi detentori i quali sono per l’appunto coloro che hanno un potere di disposizione sulla cosa. Così posta questa norma al più sarebbe contestabile all’eventuale custode o addetto che avesse acconsentito all’oltrepassamento delle barriere.

Allo stato quindi ci troviamo al cospetto di un vuoto normativo, di una ipotesi non contemplata dall’ordinamento penale e quindi né denunciabile e né tantomeno sanzionabile. Questo accadimento, di certo non nuovo o isolato ma solo clamoroso perché pubblicizzato, può essere lo spunto per un ragionamento serio su una Riforma del Trattamento sanzionatorio dei reati contro il patrimonio culturale, che è stata all’esame delle Camere nella scorsa legislatura, ma che però era limitato alla previsione di norme, sostanzialmente copiate dal Codice penale, aggiungendo l’attributo della culturalità alle res oggetto di tutela penale. Una operazione più consapevole è invece necessaria e non può che partire dalle dinamiche effettive dei beni culturali per rendere la normativa penale maggiormente aderente alle necessità repressive: a tal scopo è importante una riflessione specifica e specialistica sull’eziopatogenesi dei singoli fenomeni antropici che si relazionano col patrimonio culturale e che potrebbero essere oggetto di una disciplina penale, e a maggior ragione oggi dove aumentando le occasioni di fruizione aumenta l’esposizione a rischi di natura antropica.

Un’ultima considerazione riguarda quanto dichiarato da una delle donne, comunque dispiaciuta e provata per l’accaduto che le ha viste protagoniste, la quale, da avvocato, ha tra le righe introdotto degli argomenti che in ambito penale hanno una valenza specifica ai fini della non configurabilità del reato: infatti, sostiene di aver appreso solo dopo essere il trono appartenuto ai Borbone, senza avere la minima consapevolezza dell’autenticità dello stesso, né del pregio inestimabile di un tappeto che le appariva del tutto anonimo. Sul punto bisogna sottolineare come il carattere storico artistico di un bene prescinde dal pregio della cosa ed è desumibile anche dal contesto in cui il bene è collocato; in secondo luogo, da un punto squisitamente probatorio, appare poco credibile agli occhi di un giudice e di chiunque che non ci si sia resi conto del valore culturale di una ricca poltrona color oro, ornata con aquila e leoni , posta da sola sopra un palchetto e sotto un baldacchino di velluto rosso, all’interno di un palazzo reale.

Mi concedo a margine una nota schiettamente polemica. Trovo francamente assurdo che abbiano avuto più clamore quattro donne messe in croce perché si son sedute su un trono per farsi un paio di foto senza arrecare alcun danno, rispetto a chi a Terracina ha organizzato e consentito una scalata su monumenti ed evidenze storiche che hanno comportato anche dei danni. Ebbene, per rimanere a tema, in quella situazione credo sia sì contestabile un Uso illecito e un Danneggiamento.

Napoli foto di chiusura
La posa fotografica sul Trono di Napoli e le arrampicate nel centro storico di Terracina

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